Unione Europea
Le proposte di aggiornamento delle regole europee sul broadcasting, presentate a dicembre dalla Commissione europea per stare al passo con lo sviluppo tecnologico e gli sviluppi del mercato nel settore audiovisivo in Europa non hanno ricevuto il consenso unanime dell’industria mobile e media.
Molte compagnie – tra cui BT Group, Vodafone, ITV e le filiali britanniche di Yahoo!, Intel e Cisco Systems – hanno spiegato che la proposta di imporre ai new media le regole dei broadcaster tradizionali potrebbe avere “conseguenze inaspettate” e ripercussioni negative sugli investimenti.
In linea con il principio di una migliore regolamentazione, la proposta del commissario ai media e alla società dell’informazione Viviane Reding, intende alleggerire la normativa che grava sui fornitori europei di servizi televisivi e di tipo televisivo e rendere più flessibile il finanziamento dei contenuti audiovisivi con nuove forme di pubblicità.
La proposta introdurrà inoltre pari condizioni di concorrenza per tutte le società che forniscono servizi di tipo televisivo, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata per distribuirli (per es. radiodiffusione, trasmissione a banda larga ad alta velocità, telefoni cellulari di terza generazione).
La Commissione propone quindi di sostituire le varie normative nazionali sulla tutela dei minori, contro l’incitamento all’odio razziale e contro la pubblicità occulta con un’unica norma minima di base, applicabile in tutta l’UE, per la protezione dei servizi audiovisivi a richiesta. Questo nuovo approccio politico dovrebbe accelerare l’avvento di un mercato unico uniforme dei servizi televisivi e di tipo televisivo e promuovere un’industria europea dei contenuti forte e creativa.
Il gruppo di ‘contestatori’, guidato dall’associazione Intellect e dal Broadband Stakeholder Group (BSG), si dice d’accordo con gli obiettivi della direttiva, incluse le questioni della protezione dei consumatori e della promozione di una solida economia europea, ma è anche preoccupata dei suoi possibili effetti collaterali.
Se lasciata invariata, la direttiva potrebbe danneggiare sia i nuovi media che quelli tradizionali e allontanare gli investimenti e l’innovazione dai mercati europei e potrebbe finire per ledere i consumatori indebolendo l’attuale legislazione e gli schemi di autoregolamentazione che fin qui hanno svolto un ruolo soddisfacente.
“Non stiamo dicendo che i nuovi servizi on-demand dovrebbero essere esclusi da standard legali – ha dichiarato John Higgins, direttore generale di Intellect – ma questo non è il metodo più efficace per proteggere i consumatori o per creare un forte settore media in Europa”.
La direttiva, insomma, rischia di complicare l’operato delle aziende, di creare un eccesso di regolamentazione e di svantaggiare i consumatori poiché la sua “portata è troppo ampia e le definizioni usate troppo vaghe”, ha spiegato Antony Walker, CEO di BSG, che ha sottolineato come il risultato del provvedimento potrebbe rivelarsi troppo complicato da implementare o addirittura inapplicabile.
Anche Richard Nash, segretario generale della European Internet Services Providers Association si è detto perplesso dalla ‘mancanza di chiarezza’ della proposta della Ue che dovrà comunque ricevere l’approvazione del Parlamento europeo e dei 25 Stati membri prima di essere adottata.