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La trasmissione di contenuti multimediali sui telefonini è uno dei segmenti più caldi e più giovani dell’arena wireless e pone per questo l’attenzione su temi che l’industria e le autorità di regolazione non sanno ancora bene come affrontare.
Tra le questioni più controverse, la gestione dei diritti digitali (DRM), espressione con la quale si intendono i sistemi tecnologici mediante i quali i titolari di diritti d’autore esercitano e amministrano tali diritti nell’ambiente digitale, grazie alla possibilità di rendere protetti, identificabili e tracciabili tutti gli usi in rete di materiali adeguatamente “marchiati”.
Molti osservatori e anche una parte dell’industria, vorrebbero questi sistemi ‘aperti’, cioè in grado di garantire l’interoperabilità e il dialogo dei diversi dispositivi (cellulari, lettori MP3, CD, DVD ecc) attraverso uno standard unico, ma altri player chiedono invece che sia il mercato a stabilire quale tecnologia di gestione sia migliore, soprattutto per una questione di royalty.
Un nuovo studio di ABI Research da ragione a questi ultimi.
La questione è in realtà molto intricata: la Open Mobile Alliance (OMA) – un gruppo industriale che comprende operatori, vendor, compagnie IT e fornitori di contenuti – ha sviluppato uno standard aperto per la distribuzione di contenuti multimediali sulle piattaforme mobile e ha dato mandato alla MPEG LA di gestire le licenze.
Ne è nato però un lungo braccio di ferro con gli operatori, che si sono ribellati di fronte a un regime tariffario – 1 dollaro per telefonino più l’1% del fatturato derivante dalla vendita on line di musica e video – ‘impraticabile, eccessivo e miope’.
L’associazione ha accolto le rimostranze delle compagnie mobili riducendo le precedenti tariffe a 65 centesimi per dispositivo e 25 centesimi l’anno per abbonato, pagabili dopo il primo anno, a prescindere dal numero di brani o altro materiale digitale scaricato dagli utenti.
Queste diatribe hanno creato una grande opportunità per i sistemi DRM proprietari, spesso incompatibili l’uno con l’altro ma comunque essenziali per cominciare a lanciare i servizi mobili multimediali su larga scala.
E così, ad esempio, Verizon Wireless utilizza le soluzioni Microsoft per il suo servizio V CAST; Sprint usa il sistema proprietario di Groove Mobile e Vodafone ha scelto le tecnologie DRM di Secure Digital Container (SDC).
“Questo è un classico esempio di cosa non fare per aiutare lo sviluppo di un nuovo mercato”, ha spiegato l’analista di ABI Research Vamsi Sistla.
“E’ completamente sbagliato perseguire una soluzione aperta in un mercato nuovo di zecca. Il momento ideale è dopo un paio d’anni, quando il mercato è ormai disgregato, la competizione è cambiata e le società possono collaborare per trarre vantaggio dalle economie di scala”, ha aggiunto.
Al momento, agli operatori non importa delle economie di scala, essendo ancora concentrati sulla capacità di monetizzare questo trend e sul bisogno di lanciare sul mercato le proprie soluzioni prima degli altri.
Gli operatori, in sostanza, non vogliono restare impantanati in questioni di licenze e interoperabilità o in compromessi sulla funzionalità delle tecnologie adottate.
“Ogni tecnologia emergente – ha aggiunto Sistla – dovrebbe trovare la sua strada sul mercato anche a colpi di errori e soluzioni multiple”.
Molto spesso, infatti, nel primo periodo di sviluppo di un mercato sono le aziende che producono “soluzioni integrate e indipendenti ad avere la meglio su quelle che devono aderire agli standard di altri player del settore” ha concluso l’analista, citando come esempio calzante quello di Apple e dell’iTunes.
La società di Steve Jobs, pur adottando un sistema DRM esclusivo, è riuscita a conquistare l’80% del mercato della musica digitale.
L’analisi ABI – Mobile DRM Market Analysis and Forecasts – conclude che i vantaggi di uno standard DRM aperto potranno materializzarsi soltanto quando nel mercato entrerà un maggior numero di operatori e i servizi cominceranno a dimostrare di essere veramente proficui.