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I campi elettromagnetici sono nocivi per la salute umana? E’ la domanda che i cittadini continuano a porre agli scienziati, senza però ottenere quelle risposte definitive e categoriche che vorrebbero.
Non si sottolineerà mai abbastanza che la scienza, per sua natura, non potrà mai fornire certezze assolute, e che qualunque risultato sarà sempre affetto da un margine di incertezza. Non si potranno quindi mai fornire prove certe di innocuità, per nessun agente chimico o fisico, o per nessuna tecnologia o attività umana.
Ciò premesso, si deve però osservare che le nostre conoscenze su come i campi elettromagnetici interagiscono con l’organismo umano, e quindi sui loro possibili rischi per la salute, sono enormemente cresciute negli ultimi anni, consentendo di esprimere valutazioni che possono ritenersi ragionevolmente certe. Di ciò si ha evidenza in numerosi rapporti di comitati di esperti, che giungono a valutazioni sostanzialmente concordi, nonché in vari documenti prodotti da organizzazioni internazionali e governi nazionali nelle più diverse parti del mondo.
L’avanzamento delle conoscenze è la naturale conseguenza dei progressi della ricerca, che ha subito negli ultimi tempi non solo una vistosa accelerazione, ma un vero e proprio salto di qualità sia nella pianificazione sia nella conduzione degli studi, grazie soprattutto all’azione coordinata di importanti istituzioni internazionali.
Nel 1996, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) avviò un Progetto internazionale Campi Elettromagnetici al fine, tra l’altro, di coordinare le ricerche che, sebbene numerose, erano state fino ad allora condotte indipendentemente da vari laboratori, con conseguenti sovrapposizioni e duplicazioni di sforzi in alcuni settori e carenze conoscitive in altri. L’OMS, attraverso seminari di studio ed altre occasioni di confronto tra gli esperti, ha individuato le lacune nelle conoscenze sugli effetti biologici e sanitari dei campi elettromagnetici ed ha raccomandato le ricerche più appropriate per colmarle.
Queste raccomandazioni hanno indirizzato le attività di singoli laboratori e, in qualche paese, anche costituito la base per progetti nazionali di ricerca. Ma la risposta più importante è venuta dalla Commissione Europea che ha inserito la tematica dei campi elettromagnetici e dei loro effetti tra le tematiche prioritarie del Quinto Programma Quadro di Ricerca. In questo ambito, sono stati approvati e finanziati una decina di progetti internazionali di grande respiro, in prevalenza concentrati sui campi elettromagnetici tipici della telefonia cellulare. Il programma Quadro si è formalmente concluso da qualche mese ed è quindi il momento di un bilancio scientifico, anche se alcuni studi sono ancora in corso e di altri si attende la pubblicazione dei risultati.
Cosa possiamo dunque dire oggi, in particolare sulla telefonia cellulare che costituisce per il pubblico la maggiore fonte di dubbi e di apprensioni?
La complessità del problema impone una certa schematizzazione, distinguendo tra tre diverse tipologie di effetti che la ricerca scientifica ha analizzato.
In primo luogo esistono gli effetti cosiddetti acuti, o immediati, che si manifestano come risposta diretta all’esposizione. Questi sono legati all’assorbimento di energia elettromagnetica da parte dei tessuti del nostro corpo, che di conseguenza si riscaldano. Se si considera che, nel caso dei telefonini, i tessuti interessati sono quelli cerebrali, gli interrogativi del pubblico appaiono assolutamente giustificati. Fortunatamente, però, già da diversi anni è stato dimostrato con studi sia teorici sia sperimentali che l’entità del riscaldamento è tale da far aumentare la temperatura (nella zona della testa più vicina all’antenna) al massimo di un decimo di grado circa, una variazione che rientra ampiamente tra le normali oscillazioni fisiologiche. La conclusione è quindi che non esiste, da parte dei telefonini, la possibilità di effetti “termici” importanti per la salute.
Un secondo problema è costituto dai sintomi soggettivi, cioè dai disturbi di natura prevalentemente neurovegetativa (mal di testa, astenia, irritabilità, debolezza sessuale ecc.) lamentati da molti cittadini e da questi attribuiti alla presenza di campi elettromagnetici generati da telefoni cellulari, stazioni radio base o altre sorgenti. Questi sintomi sono stati messi in relazione con una possibile “ipersensibilità ai campi elettromagnetici”, che si manifesterebbe in taluni soggetti sia con una particolare capacità di riconoscere la presenza di campi anche di debole intensità, sia con i disturbi sopra citati. Le segnalazioni di questi disturbi sono state accolte con molta prudenza dai ricercatori, data l’ovvia possibilità che i sintomi siano dovuti ad altri fattori, o siano di natura psicosomatica se non addirittura frutto di suggestione.
Una risposta conclusiva è giunta al termine di un seminario internazionale organizzato dall’OMS nel 2004. In questa sede sono stati illustrati e discussi numerosi studi sperimentali, condotti con rigorosi protocolli ed in condizioni controllate su individui che si dichiaravano ipersensibili. I risultati hanno concordemente mostrato che i soggetti non erano in grado di riconoscere la presenza di campi elettromagnetici quando le sorgenti erano attivate o disattivate a loro insaputa e che i sintomi lamentati, anche se reali, non erano associati all’effettiva presenza dei campi. L’OMS ha pertanto raccomandato di abbandonare il concetto stesso di “ipersensibilità ai campi elettromagnetici” e di non usare questo termine come diagnosi medica.
Resta invece più aperto il problema dei possibili effetti a lungo termine, non per l’ambiguità dei risultati quanto per le limitazioni intrinseche date dal periodo relativamente breve di osservazione. Sono stati effettuati diversi studi epidemiologici che, pressoché concordemente, non hanno indicato aumenti di tumori cerebrali o altre forme di cancro negli utenti di telefoni mobili rispetto ai non utenti. Ciò ha portato ad escludere ragionevolmente un ruolo dei campi elettromagnetici generati dai telefonini nella cancerogenesi, almeno per il periodo d’uso che si è potuto prendere in considerazione e che, per la giovane età della tecnologia, non supera i 3-5 ani in media. Risultati più conclusivi potranno venire da studi attualmente in corso, soprattutto nell’ambito del progetto Interphone, che comprende gruppi di ricerca di 13 Paesi, tra cui l’Italia. Si deve comunque aggiungere che le indicazioni rassicuranti dell’epidemiologia sono rafforzate dai dati della ricerca di laboratorio, sia in vitro sia in vivo, che non fornisce evidenze di effetti che possano favorire la cancerogenesi.
Queste conclusioni, valide per i telefoni cellulari, lo sono a molto maggior ragione per quanto riguarda le stazioni radio base., le quali danno luogo ad esposizioni di ordini di grandezza inferiori a quelle che l’utente sperimenta utilizzando il telefonino. Il punto sulle stazioni radio base è stato fatto nel corso di un seminario organizzato dall’OMS a Ginevra nel giugno 2005. Le conclusioni sono risultate in perfetto accordo con quanto già espresso dalla stessa OMS in vari convegni, nonché con la pubblicazione di “promemoria” per il pubblico, disponibili anche in versione italiana.
Il fatto che, da un lato, non vi siano evidenze scientifiche di effetti nocivi dei campi a radiofrequenza a livelli di esposizione inferiori ai limiti raccomandati dalle linee guida internazionali e che, dall’altro, le stazioni radio base diano luogo a esposizioni di diversi ordini di grandezza al di sotto di tali limiti consente ai ricercatori e alle autorità sanitarie di affermare con ragionevole certezza l’assenza di rischi per la salute.
Su questa valutazione si registra il consenso unanime non solo della comunità scientifica e delle organizzazioni protezionistiche internazionali, ma anche di molti governi o autorità sanitarie nazionali che, nei rispettivi paesi, hanno prodotto documenti di informazione al pubblico estremamente chiari. Una raccolta pressoché completa di questi documenti, come anche dei principali rapporti scientifici prodotti da commissioni e gruppi di studio internazionali, è curata dal Consorzio Scientifico Elettra 2000 ed è accessibile al sito www.elettra2000.it/scienza/docs2.htm.
Tutto ciò evidenzia ancora una volta come il problema dei campi elettromagnetici – in particolare per quanto riguarda le stazioni radio base di telefonia cellulare – sia un problema di percezione del rischio, piuttosto che di un vero e proprio rischio sanitario. Per questo, è prioritario stabilire una comunicazione corretta ed efficace tra le diverse parti coinvolte nella problematica: ricercatori, autorità sanitarie, industria, mezzi di informazione, cittadini e loro organizzazioni. In questa direzione sta attivamente operando l’OMS, che ha prodotto un manuale su “Come stabilire un dialogo sui rischi dei campi elettromagnetici”, tradotto in italiano a cura del già citato Consorzio Elettra 2000.
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