Europa
Il 25 maggio 2004 è stata pubblicata in via definitiva sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea la direttiva 2004/40/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 Aprile 2004, sulle norme minime per la salute e sicurezza in relazione all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi elettromagnetici, quale diciottesima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16(1) della direttiva 391/89/EEC, vale a dire la direttiva quadro in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro a suo tempo recepita tramite il D.lgs. 626/94. La direttiva 2004/40/CE ha quindi lo scopo di articolare e chiarire i principi generali della direttiva quadro (che rimane valida in tutta la sua generalità) nel caso dei rischi conseguenti all’esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici.
Già nel 1993 la Commissione Europea aveva presentato una proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio sulla sicurezza dei lavoratori nei confronti dell’esposizione ad agenti fisici, che comprendeva rumore, vibrazioni, e radiazioni a frequenze non ottiche (campi elettromagnetici 0-300 GHz) e ottiche (infrarosso, visibile, e UV). La proposta di direttiva fu parzialmente modificata nell’anno successivo a seguito di parere del Parlamento Europeo, ma l’iter rimase fermo per l’eccessiva complessità derivante dall’approccio comune nei confronti di agenti fisici dalla differente natura e trattazione protezionistica. In tempi più recenti la Commissione ha ripreso l’ esame della direttiva scorporando i singoli agenti fisici, per cui alla fine del 2002 è stata emanata la direttiva sulle vibrazioni (2002/44/CE), all’ inizio del 2003 la direttiva sul rumore (2003/10/CE), e da ultima la direttiva 2004/40/CE [1] sui campi elettromagnetici fino alla frequenza di 300 GHz.
La direttiva sui campi elettromagnetici affronta il merito specifico degli obblighi a carico dei datori di lavoro, dei provvedimenti per ridurre l’ esposizione, e della sorveglianza sanitaria per i lavoratori professionalmente esposti, ed ha come scopo la protezione dai soli effetti considerati accertati. Nel preambolo è infatti esplicito il riconoscimento dell’assenza di evidenze tali da ritenere scientificamente provati possibili effetti a lungo termine, compreso il cancro. La direttiva stabilisce ad ogni modo requisiti minimi e lascia agli stati membri la facoltà di mantenere o di adottare disposizioni più favorevoli per la protezione dei lavoratori.
Quale riferimento tecnico-scientifico per la definizione dei limiti di esposizione si assumono le linee guida dell’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP) [2], che già sono alla base della Raccomandazione Europea sulla protezione della popolazione dai campi elettromagnetici del luglio 1999 [3], affrontando però anche il merito della titolarità delle azioni nei confronti dei soggetti coinvolti.
La struttura base e l’ articolato ricalcano quelli delle direttive “vibrazioni” e “rumore”, a loro volte basate sulla proposta “agenti fisici” del 1994. In particolare tale schema prevede la definizione di limiti di esposizione e di valori di azione. Il limite di esposizione è quel valore che non deve essere superato in nessun caso, il valore di azione rappresenta invece un livello di esposizione inferiore, al superamento del quale il datore di lavoro deve intraprendere misure tecnico-organizzative volte a ridurre l’ esposizione e attivare un regime di sorveglianza sanitaria.
Anche la direttiva 2004/40/CE si articola quindi in valori limite di esposizione e valori di azione, i cui valori numerici sono stati posti identici, rispettivamente, alle restrizioni di base e ai livelli di riferimento raccomandati dall’ ICNIRP [2], l’armonizzazione con la cui filosofia è stata raggiunta attraverso una rimodulazione delle definizioni rispetto alle precedenti direttive (articolo 2):
Valori limite di esposizione: limitazioni all’esposizione dei campi elettromagnetici direttamente basate su effetti sanitari accertati e su considerazioni biologiche. Il rispetto di questi limiti assicura che i lavoratori esposti siano protetti da tutti gli effetti nocivi noti;
Valori di azione: il valore di parametri direttamente misurabili a cui si devono intraprendere una op più delle misure specificate nella direttiva. Il rispetto di questi valori assicura il rispetto dei pertinenti limiti di esposizione.
All’ articolo 4 viene stabilito che il datore di lavoro debba valutare i livelli di esposizione dei lavoratori, e se su tale base i valori di azione risultano superati, il datore debba stabilire se siano superati o meno i limiti di esposizione. In sostanza, si prevede che al di sotto dei valori di azione non sia necessario intraprendere alcuna iniziativa; qualora questi vengano superati l’azione conseguente è la verifica del rispetto dei limiti di base. La procedura è quindi identica a quella dell’ ICNIRP, e si concilia l’ esigenza di mantenere uno schema comune per le direttive sui diversi agenti fisici con la volontà di adottare le linee guida internazionali. A differenza sostanziale dalla normativa quadro nazionale, la direttiva prevede che il datore di lavoro possa avvalersi della valutazione dell’esposizione in termini delle grandezze di base, e non solo in termini delle intensità dei campi ambientali. Va precisato in merito che le valutazioni dosimetriche in ambito occupazionale sono estremamente complesse e richiedono metodi di calcolo molto sofisticati, disponibili per il momento solo presso centri di ricerca altamente specializzati, il cui utilizzo non è ancora adeguatamente validato e standardizzato. Ove si verifichi il superamento dei valori di azione, il datore di lavoro potrebbe quindi ritenere più vantaggioso e risolutivo un immediato intervento di mitigazione, specie se praticabile a costi moderati, piuttosto che una complessa verifica sui limiti di esposizione, e del resto la direttiva consente pienamente tale facoltà che non è però tecnicamente percorribile in molte delle reali situazioni di esposizione.
Nell’ ambito della valutazione del rischio il datore di lavoro deve ad ogni modo considerare la possibilità anche di rischi indiretti per la salute quali:
· interferenze con attrezzature e dispositivi medici elettronici;
· rischio propulsivo di oggetti ferromagnetici per campi magnetici statici;
· innesco di dispositivi elettro-esplosivi;
· incendi ed esplosioni dovuti all’accensione di materiali infiammabili.
Secondo i principi generali della direttiva 391/89/EEC, il datore di lavoro deve adattare la valutazione del rischio e le misure per la riduzione di questo, al caso di lavoratori particolarmente a rischio, vale a dire caratterizzati da particolari patologie o condizioni tali da renderli più suscettibili. E’ il caso ad esempio dei soggetti portatori di pace-maker o altri dispositivi medici impiantati, per i quali la protezione dagli effetti indiretti di interferenza elettromagnetica assume carattere prioritario rispetto alla protezione dagli effetti acuti. Come peraltro chiarito nel preambolo della direttiva, l’aderenza ai valori limite di esposizione e ai valori di azione non evita necessariamente effetti sul funzionamento di dispositivi medici; problemi di interferenza, specialmente con gli stimolatori cardiaci, possono verificarsi per valori inferiori ai valori di azione ed esigono appropriate precauzioni e misure protettive. L’articolo 8 reca le disposizioni sulla sorveglianza sanitaria. Nel caso delle direttive “rumore” e “vibrazioni” la sorveglianza sanitaria è obbligatoria per i lavoratori che risultano esposti a livelli superiori ai valori di azione. Nella direttiva 2004/40/CE tale disposizione non è presente e si usa una formula più generica per cui: “ai fini della prevenzione e diagnosi precoce di qualunque effetto per la salute imputabile all’esposizione a campi elettromagnetici un’adeguata sorveglianza sanitaria è effettuata a norma dell’articolo 14 della direttiva 89/391/CEE”.
L’unica disposizione stringente riguarda il caso delle sovraesposizioni,
per cui: “Ove venisse rilevata un’esposizione superiore ai valore limite, i lavoratori interessati devono potersi sottoporre a un controllo medico, in conformità del diritto e della prassi nazionale”.
La genericità delle disposizioni sulla sorveglianza sanitaria deriva dal disaccordo in merito fra diverse delegazioni e la Commissione. Il testo finale è quindi un sorta di compromesso al ribasso, che lascia facoltà agli stati membri di meglio regolamentare in sede nazionale il regime di sorveglianza medica.
La direttiva 2004/40/CE dovrà essere recepita dagli stati membri entro il 30 aprile del 2008, anche perché il CENELEC, che ha ricevuto il mandato M/351 dalla Commissione Europea per la definizione delle norme tecniche necessarie all’applicazione pratica (misure, calcoli, ecc.), si è riservato allo scopo un tempo di quattro anni.
La direttiva 2004/40/CE è stata inserita nell’elenco di cui al progetto di legge comunitaria 2005, recentemente approvato dal Senato e trasmesso alla Camera dei Deputati per la prosecuzione dell’iter.
Bibliografia
[1]. Direttiva 2004/40/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 Aprile 2004, sulle norme minime per la salute e sicurezza in relazione all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (diciottesima Direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16(1) della Direttiva 391/89/EEC). G.U. UE L184 del 24 maggio 2004.
[2]. International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP). Guidelines for Limiting Exposure to Time-Varying Electric, Magnetic, and Electromagnetic Fields (Up to 300 GHz). Health Physics 1998; 74: 494-522. www.icnirp.org
[3]. Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea relativa alla limitazione dell’ esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con frequenza da 0 Hz a 300 GHz. G.U. Comunità Europee 30 luglio 1999, L199/62.