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Reporters sans frontières ha pubblicato alcuni giorni fa sei proposte concrete per garantire che le società Internet rispettino la libertà di espressione anche quando operano in paesi repressivi.
L’organizzazione di difesa della libertà di stampa ha invitato blogger e internauti a firmare una petizione online per sostenere l’iniziativa.
Le raccomandazioni e la lista dei firmatari verranno inviate al governo degli Stati Uniti, dal momento che tutte le società chiamate in causa sono americane.
Esse riguardano tuttavia tutti i paesi democratici e saranno trasmesse all’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) e ai responsabili dell’Unione europea.
Reporters sans frontières ha scelto di suddividere le raccomandazioni in funzione del tipo di servizio o di attrezzatura commercializzata.
Per quanto riguarda i servizi di posta elettronica, dice RsF, “Le aziende americane non dovrebbero ospitare i server email sul territorio di un paese repressivo e se le autorità di questi paesi cercassero di ottenere informazioni personali sugli utenti…dovrebbero farlo nel quadro di una procedura supervisionata dalla giustizia americana”.
I motori di ricerca, da canto loro, non dovrebbero più “integrare filtri automatici di censura delle parole chiave dette ‘protette’. Una lista di queste parole – come ‘democrazia’ o ‘diritti umani’ – dovrebbe essere unita alla legge o al codice deontologico”.
I fornitori di contenuti (siti web, blog, forum, ecc) non dovrebbero più situare i loro server nei paesi repressivi. “Se le autorità di questi paesi cercassero di ottenere la chiusura di una pubblicazione ospitata da una società americana”, la procedura dovrebbe rispettare le leggi americane.
Come i motori di ricerca, i provider di contenuti non dovrebbero essere autorizzati a mettere in funzioni sistemi di filtraggio delle parole ‘protette’.
Per quanto riguarda le tecnologie di censura, RsF propone due opzioni: la prima prevede di non autorizzare le imprese americane a vendere software di censura ai regimi repressivi; la seconda prevede invece l’inclusione di un sistema che renda tecnicamente impossibile censurare la lista di parole chiave ‘protette’.
Le aziende americane che volessero vendere sistemi per intercettare le comunicazioni elettroniche, dovrebbero dunque ottenere l’autorizzazione del dipartimento del commercio.
Queste raccomandazioni, spiega ancora RsF, hanno come obbiettivo di proteggere la libertà di espressione e non vogliono in alcun modo limitare la necessaria collaborazione internazionale nell’ambito della lotta al terrorismo, alla pedofilia e alla criminalità.
Necessario, per l’organizzazione, non tanto un nuovo quadro normativo, quanto un codice deontologico che si ispiri a queste raccomandazioni.
RsF ha denunciato più volte il delirio etico di alcune aziende Internet operanti in regime repressivo.
Yahoo! Inc., ad esempio, accetta dal 2002 di censurare i risultati della versione cinese del suo motore di ricerca, in base a una black list fornita dalle autorità di Pechino. RsF ha inoltre provato che la società ha aiutato la polizia cinese a identificare e un giornalista che criticava il mancato rispetto dei diritti umani nel suo paese.
I server email della divisione cinese di Yahoo sono situati in Cina.
Anche Microsoft, secondo RsF, censura la versione cinese del suo servizio blog, Msn Space. Parole come ‘democrazia’ e ‘diritti umani’ vengono infatti rifiutate dal sistema. Microsoft avrebbe anche chiuso il blog di un giornalista cinese in seguito alle pressioni subite dal governo di Pechino.
I server su cui era ospitato il blog sono situati negli Usa.
Google, da canto suo, ha ritirato dalla versione cinese del suo motore di ricerca news, tutte le fonti d’informazione censurate nel paese.
Secure computing ha venduto alla Tunisia la tecnologia che permette al paese di censurare i siti di informazione indipendente, tra cui quello di RsF.
Cisco Systems ha messo in commercio dei sistemi specificatamente concepiti per facilitare la sorveglianza delle comunicazioni elettroniche ed è anche sospettata di aver preparato degli ingegneri cinesi all’utilizzo dei suoi prodotti per censurare il web.
Queste pratiche, conclude RsF, attentano alla liberta di espressione come definita dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, un testo fondante delle Nazioni Unite che dovrebbe applicarsi a tutti, quindi anche alle aziende.