Italia
Riportiamo di seguito la sintesi dell’intervento dell’Avv. Elisabetta Cicigoi alla giornata studio “Telecomunicazioni, Innovazione Tecnologica, Protezione Ambientale” organizzata da Elettra2000 e dall’ARPA Lombardia (Milano, 12 dicembre).
di Elisabetta Cicigoi
Avvocato amministrativista
A fronte di uno sviluppo delle tecnologie di telecomunicazione, negli ultimi anni si è assistito ad un incremento di interesse da parte della popolazione nei confronti del cosiddetto “elettrosmog”. Il sempre più crescente uso di telefoni cellulari ha comportato un aumento delle installazioni sul territorio di impianti per la telefonia mobile, le cosiddette stazioni radio base, con evidente allarme da parte della popolazione che ha temuto e teme tutt’ora effetti nocivi per la propria salute a causa della vicinanza di tali impianti.
Spesso, comitati di cittadini sono insorti contro i gestori della telefonia, al fine di impedire l’installazione di impianti di telecomunicazione, creando notevoli disagi ai gestori nello svolgimento della propria attività, considerata di pubblica utilità. In questo clima di tensione i Comuni si trovano a dover contemperare, da un lato, le esigenze dei gestori, ai quali l’installazione dei propri impianti non può essere aprioristicamente impedita; dall’altro, le richieste dei cittadini, che, spesso intimoriti dal verificarsi di possibili danni alla propria salute, richiamano i Comuni alle loro funzioni di tutela della popolazione.
Negli ultimi due anni grazie ad alcune pronunce della Corte Costituzionale (nn.303/2003 – 307/2003) si sono chiarite quali competenze facciano capo allo stato ed agli enti locali con riferimento alla complessa materia dell’esposizione ai campi elettromagnetici.
In particolare, nel confermare la giurisprudenza di legittimità formatasi antecedentemente, la Corte ha ribadito che le uniche misure a tutela della salute possono essere adottate esclusivamente dallo Stato e che tali misure coincidono, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, unicamente con la fissazione di valori di campo di cui al D.P.C.M. 8 luglio 2003 “Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100kHz e 300 GHz”. Ogni diversa misura adottata dalle regioni o dagli enti locali, finalizzata alla protezione della salute della popolazione e diversa dal rispetto dei suddetti valori di campo deve considerarsi illegittima.
Su questo punto proprio con la sentenza n. 307 del 7 ottobre 2003, la Corte Costituzionale ha precisato che in materia di inquinamento elettromagnetico allo Stato spetta “la determinazione dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità intesi quali valori di campo, non potendo le Regioni introdurre limiti più restrittivi o misure equivalenti. Rientra invece nelle competenze delle Regioni la indicazione degli obiettivi di qualità, consistenti in criteri localizzativi degli impianti di comunicazione, standard urbanistici, prescrizioni ed incentivazioni, che devono
però consentire una possibile localizzazione alternativa; qualora il criterio sia invece tale da poter determinare l’impossibilità della localizzazione stessa si è in presenza non di un “criterio di localizzazione”, che rende in concreto impossibile, o comunque estremamente difficile, la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni”.
In altre parole la Consulta ha evidenziato che nell’esercizio dei propri poteri le regioni e quindi i Comuni possono indicare in quali zone preferibilmente installare gli impianti per la telefonia mobile, ma non possono introdurre limiti quali, ad esempio, la fissazione di distanze, in quanto tali limiti non sarebbero volti ad una regolamentazione prettamente urbanistica, ma piuttosto ad una tutela sanitaria, funzione quest’ultima rimessa esclusivamente allo Stato. La Corte Costituzionale ha ritenuto legittima la disposizione della legge Regione Lombardia, con la quale veniva stabilito che gli impianti di telefonia non potessero venir installati “in corrispondenza” di asili, scuole, ospedali o edifici similari.
La sentenza 7 novembre 2003, n. 331 ha precisato che “il divieto ora in questione non eccede l’ambito di un “criterio di localizzazione”, sia pure formulato in negativo, la cui determinazione, a norma dell’art. 3, comma 1, lett. d), n.1), e dell’art. 8, comma 1, lett. e) della Legge Quadro, spetta alle Regioni. Esso, infatti, comporta la necessità di una sempre possibile localizzazione alternativa, ma non è tale da poter determinare l’impossibilità della localizzazione stessa”. La Corte Costituzionale ha dunque precisato che il fatto di prevedere un divieto di installazione degli impianti di telefonia cellulare in corrispondenza di determinati edifici adibiti ad attività scolastiche e similari, deve considerarsi quale “criterio localizzativo” ai sensi della L. 36/2001, in quanto non rappresenta un limite all’installazione degli impianti, ma solo la possibilità di localizzazioni alternative.
Le pronunce della Corte Costituzionale sopra menzionate hanno dunque avuto il merito di chiarire che, in assenza di evidenza scientifica sulla presunta nocività della protratta esposizione ai campi elettromagnetici, i criteri cautelativi adottati dalla Stato, consistenti nella fissazione di valori di campo di cui al DPCM 8 luglio 2003, devono ritenersi sufficienti a tutelare la salute della popolazione.
Questo ha indubbiamente rallentato, se non ridimensionato, il contenzioso promosso dai cittadini avverso l’installazione sul territorio delle stazioni radio base, fondate sul presupposto della loro possibile nocività alla salute.
Dopo questa prima fase giurisprudenziale avente per oggetto esclusivo la tutela della salute, ora si assiste ad una nuova fase, in base alla quale la ragioni addotte per impedire l’installazione sul territorio degli impianti di telefonia mobile, non poggiano più sulla presunta nocività dell’esposizione ai campi elettromagnetici, ma su due distinte ragioni.
Da un lato si adducono motivi di carattere edilizio-urbanistico o di presunti difetti procedurali nel rilascio delle autorizzazioni amministrative (parte della giurisprudenza, infatti, ritiene necessario il contemporaneo rilascio sia del titolo edilizio, sia dell’autorizzazione ex art. 87 del Codice delle Comunicazioni); dall’altro alcuni privati hanno intentato causa ai gestori della telefonia mobile sul presunto danno economico che gli impianti di telefonia mobile possano arrecare alle proprietà immobiliari.
Questo ultimo filone giurisprudenziale riveste indubbiamente maggior interesse, data la novità delle prime pronunce intervenute.
Sono infatti comparse le prime ordinanze del Tribunale di Bologna secondo le quali l’installazione di una stazione radio base sul lastrico solare di un condominio, ad esempio, risulterebbe, ad avviso del giudice, “lesivo del diritto dominicale del proprietario dell’immobile… ravvisabile nel pericolo di deprezzamento dell’immobile conseguente all’incertezza oggettiva ed alla diffusa diffidenza soggettiva circa le conseguenze derivanti da una persistente esposizione alle onde elettromagnetiche prodotte dalla stazione radiobase per telefonia cellulare“. Ciò in quanto “una siffatta situazione di incertezza e di inevitabile diffidenza … secondo l’id quod plerumque accidit, non può non aver negativa incidenza sulle valutazioni operate sul mercato immobiliare, nel senso di una minore appetibilità di un immobile esposto a tali pericoli rispetto ad un altro esente da questi“.
Pare che queste pronunce giurisprudenziali siano destinate ad avere seguito anche presso altri fori (su Milano sono già state instaurate cause in questo senso) e quindi occorrerà valutare quali ragioni giuridiche possano essere utilizzate per fronteggiare anche questo aspetto, che di per sé costituisce un indubbio ostacolo all’installazione sul territorio degli impianti di telecomunicazione.
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