Europa
Via libera definitivo del Parlamento europeo alla proposta di direttiva per la conservazione dei dati telefonici e Internet, per un periodo da 6 a 24 mesi.
Il Parlamento ha fatto proprio l’accordo negoziato con il Consiglio, in particolare per quel che riguarda i tipi di dati che possono essere conservati e il periodo di conservazione degli stessi.
I contenuti delle comunicazioni non potranno essere conservati e chi subirà un abuso per l’illecito trattamento dei dati personali potrà chiedere il risarcimento dei danni.
La relazione ha ottenuto 378 voti favorevoli, 197 contrari e 30 astensioni. Al termine della votazione il relatore Alexander Alvaro, scontento del risultato, ha dichiarato di ritirare il proprio nome dalla relazione. In precedenza, con 428 voti contrari, 161 favorevoli e 13 astensioni, il Parlamento non aveva accolto la mozione avanzata da Verdi e GUE/NGL di respingere la proposta di direttiva.
La direttiva potrà quindi essere adottata formalmente nelle prossime settimane, a meno di tre mesi dalla pubblicazione della proposta da parte della Commissione.
Nella versione licenziata dal Parlamento, la direttiva ha l’obiettivo di armonizzare le disposizioni degli Stati membri relative agli obblighi, per i fornitori di servizi di comunicazione elettroniche accessibili al pubblico o di una rete pubblica di comunicazione, in materia di conservazione di determinati dati “da essi generati o trattati”, allo scopo di garantirne la disponibilità a fini di ricerca, accertamento e perseguimento di reati gravi, «quali definiti da ciascuno Stato membro nella propria legislazione nazionale». La proposta originale, invece, trai i reati gravi citava, a titolo esemplificativo, la criminalità organizzata e il terrorismo. Inoltre, la conservazione dei dati era prevista anche a scopo di prevenzione.
L’accesso ai dati sarà consentito solo alle autorità competenti determinate dagli stessi Stati membri, i quali dovranno garantire che i dati conservati “siano trasmessi solo in casi specifici e conformemente alle legislazioni nazionali” e che essi siano soggetti ad adeguate misure tecniche e organizzative intese a garantire che l’accesso sia effettuato soltanto da persone autorizzate.
Il processo da seguire e le condizioni per potere accedere ai dati dovranno essere definiti da ogni Stato membro nella legislazione nazionale. Questo processo, inoltre, dovrà conformarsi alle esigenze di proporzionalità e “con riserva delle disposizioni in materia del diritto dell’Unione o del diritto pubblico internazionale, in particolare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo”.
Le autorità pubbliche responsabili della sicurezza dei dati dovranno esercitare le loro funzioni “in totale indipendenza”. Ogni Stato membro, inoltre, dovrà adottare le misure necessarie per garantire che le misure nazionali di attuazione in materia di ricorsi giurisdizionali, responsabilità e sanzioni siano pienamente attuate con riferimento al trattamento di dati. In particolare, ciascuno Stato membro definirà le misure necessarie per garantire che l’accesso o il trasferimento intenzionale di dati conservati, che non sia autorizzato dalle disposizioni nazionali, sia passibile di sanzioni, “segnatamente a carattere amministrativo o penale, che sono efficaci, proporzionate e dissuasive”.
D’altra parte, è precisato che resta valido il diritto al risarcimento – previsto dalla legislazione comunitaria – di cui godono le persone che hanno subito un danno in conseguenza di un trattamento illecito dei dati personali raccolti in forza alla direttiva.
Un emendamento alla risoluzione legislativa, fatto proprio dall’Aula, precisa che la direttiva, per quanto riguarda l’accesso ai dati, “costituisce solo un primo passo necessario” e invita il Consiglio ad una leale collaborazione in vista di una rapida adozione di garanzie adeguate sulla protezione dei dati e sul loro trattamento.
Critici nei confronti del ‘compromesso’ i Verdi e i Liberali, che hanno giudicato troppo restrittiva della libertà individuale la proposta di direttiva emersa dal compromesso, e hanno quindi votato contro l’intero pacchetto. Sotto accusa, ad esempio, la decisione di includere le telefonate perse tra quelle che sarà possibile acquisire e tenere sotto controllo.
“Il Parlamento europeo si è svenduto – ha commentato il liberaldemocratico tedesco Alexander Alvaro, che aveva presentato una serie di emendamenti respinti nel voto – così abbiamo dato gli strumenti alle procure per fare ciò che vogliono”.
Mentre per Umberto Guidoni, europarlamentare Pdci, “…la direttiva approvata non solo è intrusiva per le libertà civili delle persone, ma difficilmente riuscirà nel perseguire la lotta al crimine in modo efficace”.
Secondo l’europarlamentare, “la durata della conservazione dei dati è troppo estesa e la quantità di dati da ritenere è troppo ampia. Inoltre, la definizione estremamente vaga di ‘autorità’ nazionali competenti atte alla conservazione dei dati, non esclude l’uso degli stessi da parte dei servizi segreti”.
I dati che è possibile conservare non riguardano in alcun modo il contenuto delle comunicazioni. Infatti, gli Stati membri sono autorizzati a conservare esclusivamente quelli necessari per rintracciare ed identificare la fonte di una comunicazione, per rintracciare e identificare la destinazione di una comunicazione, per determinare la data, l’ora e la durata di una comunicazione, per determinare il tipo di comunicazione, per determinare le attrezzature di comunicazione degli utenti, per determinare l’ubicazione delle apparecchiature di comunicazione mobile. Ciò si applica alle comunicazioni effettuate con telefoni fissi e mobili ma anche a quelle via Internet (accesso, posta elettronica e telefonate), compresi i tentativi di comunicazione non riusciti.
La Commissione libertà civili di Strasburgo aveva chiesto che i dati fossero conservati al massimo per un anno ma alla fine l’ha spuntata la presidenza britannica che chiedeva tempi più lunghi.
E così il compromesso autorizza gli Stati membri a conservare tutti i tipi di dati, indistintamente, per un periodo da un minimo di 6 a un massimo di 24 mesi. Alla fine di tale periodo i dati conservati dovranno essere distrutti, “fatta eccezione per quelli consultati e preservati”.
D’altra parte, agli Stati membri è consentita la possibilità di prorogare “per un periodo limitato” tale durata, qualora si trovino ad affrontare “circostanze particolari”. In tal caso, le misure adottate in questo senso andranno notificate alla Commissione e comunicate agli Stati membri, “motivandone l’introduzione”. Spetta poi all’Esecutivo approvarle o respingerle, entro sei mesi dalla notifica, “dopo aver accertato se costituiscano o meno un mezzo di discriminazione arbitraria o di restrizione occulta degli scambi fra gli Stati membri e se rappresentino o meno un ostacolo al funzionamento del mercato interno”.
Il compromesso approvato dal Parlamento ha soppresso la proposta della Commissione che imponeva agli Stati membri di rimborsare ai fornitori di servizi di comunicazione i costi supplementari sostenuti per adempiere agli obblighi ad essi incombenti in forza alla direttiva.
Gli Stati membri dovranno attuare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva al più tardi entro 18 mesi dalla sua adozione, contro i 15 proposti dalla Commissione.
D’altra parte, entro tre anni da quella data la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio, “tenendo conto degli ulteriori sviluppi delle tecnologie della comunicazione elettronica e degli elementi statistici ad essa forniti”, una valutazione dell’applicazione della direttiva e del suo impatto sugli operatori economici e sui consumatori. Questa analisi avrà lo scopo di determinare se è necessario modificare le disposizioni della direttiva, in particolare per quanto riguarda le categorie di dati che possono essere conservati e i periodi di conservazione.
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