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WSIS: il braccio di ferro tra gli Usa e il resto del mondo sulla gestione di Internet
La governance di Internet è stato l’argomento al centro del dibattito internazionale a partire dalla prima edizione del Summit mondiale sulla società dell’informazione (WSIS) di Ginevra nel 2003.
La prima fase del WSIS ha stabilito l’importanza del tema della governance, ma non ha prodotto nessuna proposta concreta su un nuovo sistema di gestione, pur dando vita a un apposito Working Group (WGIG) con l’obiettivo di studiare delle raccomandazioni da presentare nella seconda edizione del Summit, che si terrà a Tunisi dal 16 al 18 novembre.
In vista di questo nuovo appuntamento, dunque, si infiamma il dibattito, che vede contrapposti da un lato chi teme che la Rete sia controllata da interessi commerciali piuttosto che essere gestita come una risorsa globale disponibile per tutti.
Dall’altro, c’è chi invece teme che una riforma della governance mascheri più che altro il desiderio di alcuni governi di controllare i contenuti trasmessi e limitare la libertà di espressione sul Web.
Attualmente, Internet non ha un singolo sistema di governance: diversi aspetti sono gestiti da organizzazioni differenti.
La questione alla base delle polemiche in corso, sollevata proprio da un report del WGIG a luglio, è se i governi debbano avere un ruolo più ampio all’interno dell’ICANN, l’organismo creato nel 1998 con l’incarico della gestione internazionale dei nomi di dominio e delle questioni tecniche legate al Web, sotto il controllo del ministero del Commercio americano.
In questo caso, si profilerebbe la creazione di un ente intergovernativo, sotto l’egida dell’ITU, organismo delle Nazioni Unite.
Chi si oppone a questa visione, gli Usa in primis, crede che l’attuale sistema di gestione vada più che bene e teme che dare più potere ai governi possa tradursi in un ostacolo alla libera crescita della rete e alla libertà di espressione, anche nel caso in cui si tratti di controllare contenuti ‘indesiderabili’ come la pornografia o l’incitamento all’odio razziale.
Diversi Paesi, tra cui la Cina e il Brasile, chiedono invece che sia messo fine allo stretto controllo degli Usa sull’ICANN, mentre l’Unione europea sostiene la creazione di un Forum che garantisca l’equa partecipazione, l’interazione e la cooperazione dei governi, del settore privato e della società civile nella gestione della Rete.
Questo Forum non sostituirebbe gli attuali meccanismi o istituzioni, ma “contribuirebbe alla sostenibilità, alla stabilità e robustezza di Internet, regolando in modo appropriato questioni di policy che non sarebbero altrimenti trattate adeguatamente ed escludendo qualsiasi intervento nelle operazioni quotidiane di Internet”.
La Ue incoraggia ugualmente il rafforzamento del ruolo dei governi all’interno dell’ICANN; una “continua internazionalizzazione dell’organismo e delle sue funzioni”, il consolidamento dell’Internet Regional Resource Management Institutions, “per assicurare l’autonomia regionale nella gestione delle risorse”, e l’aumento della partecipazione dei Paesi in via di sviluppo all’interno delle istituzioni specializzate nella gestione tecnica e degli enti di standardizzazione.
La posizione assunta dall’Europa è stata considerata un vero e proprio voltafaccia e la reazione degli Usa non si è fatta attendere.
David Gross, il delegato americano al WSIS, ha immediatamente riferito che “questo cambiamento profondo di fronte da parte della Ue è scioccante e sembra corrispondere a una marcia indietro storica per quanto riguarda la gestione di Internet, da una concezione basata sulla leadership privata a un’altra che si appoggia invece sui controlli dei governi”.
Nei giorni scorsi, dunque, il senatore Usa Norm Coleman ha presentato una Risoluzione per “proteggere il ruolo storico degli Stati Uniti nella supervisione delle operazioni di Internet” e impedire di trasferire il controllo della governance globale all’ONU.
“Non c’è una giustificazione razionale per politicizzare la governance di Internet all’interno di un framework dell’ONU”, spiega Coleman, “né c’è una base razionale per questo risentimento contro la proposta” di mantenere lo status quo.
“Privatizzazione, non politicizzazione è il regime di Internet governance che bisogna promuovere e proteggere”, aggiunge il senatore, presagendo nefasti scenari per il futuro della Rete nel caso in cui il governo americana non rispondesse in maniera adeguata.
Prima di tutto, “…rischiamo di dover sacrificare la libertà e lo spirito d’impresa propri del Web, l’accesso alle informazioni, la privacy e la protezione della proprietà intellettuale da cui tutti abbiamo finora dipeso”.
Nel caso in cui l’Internet governance passasse nelle mani dell’ONU o di qualche altro ente, poi, “gli Usa avrebbero lo stesso controllo sulle informazioni di quei Paesi le cui politiche nazionali bloccano l’accesso alle informazioni, arrestano i dissidenti politici e mantengono strutture di comunicazione antiquate”.
Molti aspetti della gestione di Internet hanno profonde implicazioni sul commercio, la competitività, la democratizzazione e la libera espressione, ragion per cui gli Stati Uniti “…non possono stare a guardare mentre alcuni governi cercano di rendere Internet uno strumento di censura e di repressione politica”.
Internet – conclude Coleman – “…è cresciuto sotto la supervisione e il controllo degli Stati Uniti. Si è sviluppato ed evoluto su principi basati sul mercato e sotto la leadership del settore privato”.
L’appello di Coleman si unisce a quello di 4 deputati – due democratici e due repubblicani – che hanno inviato qualche giorno fa una lettera al ministero del Commercio e degli affari esteri perché rappresentanti del governo a Tunisi difendano strenuamente la posizione americana.
“Data l’importanza degli Stati Uniti nell’economia mondiale, è essenziale che il sistema dei nomi di dominio resti stabile e sicuro” e ciò potrà avvenire solo se saranno gli Usa a “mantenere il proprio ruolo storico che consiste nel controllo delle modifiche fatte in questo campo”.
Da canto suo, Viviane Reding, il commissario europeo ai media e alla società dell’informazione, ha cercato di sdrammatizzare il dibattito.
“La richiesta della maggior parte delle nazioni del mondo di essere associate alla definizione dei grandi principi del governo del Web, è legittima”, e la Ue non vuole certo avallare una gestione basata sulla censura, come nel caso della Cina.
“Quello che i 25 Paesi dell’Unione chiedono, con il sostegno di una buona parte del resto del mondo, è un accordo su una nuova formula di cooperazione”, prosegue il Commissario Reding, “che includa uno spazio di dialogo globale e aperto a tutti gli attori coinvolti, oltre che un mezzo attraverso cui gli Stati possano dire la loro sui principi fondamentali dell’organizzazione di Internet e la messa in atto di un meccanismo di risoluzione dei conflitti”.
Le negoziazioni tra le parti dovrebbero riprendere tre giorni prima del Summit, per cercare di trovare una soluzione di compromesso.