Italia
The Internet was designed with no gatekeepers over new content or services. The Internet is based on a layered, end-to-end model that allows people at each level of the network to innovate free of any central control. By placing intelligence at the edges rather than control in the middle of the network, the Internet has created a platform for innovation. This has led to an explosion of offerings – from VOIP to 802.11x wi-fi to blogging – that might never have evolved had central control of the network been required by design“.
Vinton Cerf, novembre 2005 in una audizione al Congresso degli USA.
Creatore di Internet, Chief Evangelist di Google.
11 anni di internet commerciale e innovazione
Lo sviluppo di Internet e delle relative tecnologie associate e complementari è stato tumultuoso. Probabilmente unico nella storia dell’umanità per velocità e per ricchezza.
Internet commerciale in Italia nasce nel 1994 quando, oltre ai primi sistemi di Bulletin Board che offrivano gateway di posta elettronica verso UUCP/ARPA/BITNET/DECNET, sono nati i primi operatori commerciali che offrivano accessi commutati o dedicati assegnando indirizzi IP appartenenti allo spazio mondiale degli indirizzi pubblici.
In questi 11 anni nel mondo vi sono state numerosissime storie di successo e anche di insuccesso. Come non ricordare società che hanno innovati i paradigmi precedenti quali Amazon, eBay, salesforce.com, Yahoo, Google, Directa, Internet bookshop, Kataweb e di recente Skype, solo per nominarne alcuni ? (ma si devono ricordare anche i grandi fallimenti quali quello di Worldcom, ed, i reati finanziari associati).
Queste storie di successo nascono quasi sempre da piccole società di innovatori, da poche persone con una ispirazione geniale supportata da un contesto finanziario che gli ha assicurato i capitali di rischio necessari per divenire i grandi operatori mondiali che conosciamo. Non deve sorprendere se Skype, Netscape, ma il www stesso, per imporsi, pur avendo un forte imprinting europeo, sono dovute emigrare in USA dove si concentra più della metà dei fondi di venture capital mondiale.
Una situazione, questa, che dovrebbe indurre delle riflessioni in un momento in cui si parla della centralità dell’innovazione: ricerca (e relativi costi) made in Europe è diventata innovazione (e relativi ricavi) made in USA.
La rete Internet, a differenza delle reti di telecomunicazioni che l’hanno preceduta, ha generato questo fermento di innovazione applicativa in quanto rete “aperta”, ovvero in cui il trasporto dei bit è indipendente dalla loro natura e pertanto per innovare è sufficiente scrivere una applicazione, metterla a due estremi della rete, e il gioco è fatto.
Non sarebbe l’Internet che conosciamo se ci fossimo trovati in un contesto differente, in una situazione in cui la natura del traffico trasportato deve essere negoziata con un gestore centrale che ne assicuri il livello qualitativo, la possibilità tecnica di trasporto dei bit o anche il diritto contrattuale.
In questo caso un innovatore avrebbe dovuto assicurarsi il diritto di passaggio dall’operatore, e anche ammettendo che lo ottenesse quasi sempre, l’innovazione sarebbe stata mediata, distorta, rallentata.
A ben vedere, è proprio ciò che sta accadendo oggi, purtroppo senza che né l’opinione pubblica né i regolatori registrino il fenomeno (1): gli Operatori che occupano una posizione dominante nel mercato dell’accesso larga banda ad Internet stanno oggi imponendo dei severi vincoli tecnologici tesi a “separare” la banda di accesso al web da quella utilizzata per gli altri servizi.
Anche in Italia è stata fatta tanta innovazione in questi anni, sia di prodotto che di processo che di mercato. Anche qui vanno ricordate alcune cose fatte dai piccoli operatori la cui nascita è stata resa possibile dalle normative Europee (a partire dalla Open Network Provision del 1992, nonostante non sia stata pienamente realizzata). Tra questi i punti di interscambio di traffico neutrale (primo tra tutti il MIX), le associazioni per la promozione della sicurezza informatica (Clusit, AIPSI, ecc.), i servizi di sicurezza gestita, i servizi di hosting, la posta elettronica, l’housing (anche la parola è nata in Italia, con un inglesismo storpiato degno di Totò).
Ma anche le prime reti di access point Wifi, le prime offerte di VoIP, e le prime e principali esperienze di Video su Internet (dal primo Grande Fratello del 1999 alle esequie del Santo Padre, l’evento in assoluto più visto al mondo su Internet). Tutte innovazioni portate in Italia da ISP, Internet Service Provider, nati perlopiù dal prodotto di imprenditorialità italica e un quadro normativo tutelante l’innovazione e la nascita di nuove aziende.
Nel tempo, il quadro regolamentare si è evoluto e la precedente divisione tra ISP e OLO (operatori telefonici tradizionali) non esiste più: da qualche anno entrambi ricadono sotto la categoria degli OTA (Operatori di Telecomunicazioni Autorizzati) e le garanzie a difesa dei piccoli operatori si sono, de facto, progressivamente ridotte.
AIIP è l’associazione che racchiude i principali OTA operanti nel mercato di Internet; la sigla infatti significa “Associazione Italiana Internet Provider (2)”.
Il Decreto Landolfi
Il Ministro Mario Landolfi ha il merito di aver stilato un provvedimento (3) lungamente atteso dagli operatori che non riguarda, come è stato talvolta scritto, solo il Wifi, ma in generale l’utilizzo, in tutto il territorio nazionale (e non più solo in fondi chiusi), di frequenze condivise con potenze fino a 100mW per i 2,4GHz e fino a 1W per i 5,4GHz per l’accesso nomadico e fisso a Wireless Lan .
Ma più che questi aspetti “tecnologici” che comunque sono rilevanti in quanto consentono una moderna apertura della tecnologia, mi preme sottolineare altri aspetti, peraltro giustamente evidenziati in conferenza stampa dal Capo di Gabinetto Guido Salerno: la possibilità di collegamento tra punti di accesso wireless dello stesso operatore e l’utilizzo da parte di diversi operatori.
Il collegamento wireless tra punti di accesso dello stesso operatore significa che è possibile realizzare reti interamente wireless, senza dover essere costretti da un punto di vista normativo ad “alimentare” un punto di accesso con un collegamento via filo.
Se si dovesse collegare un filo ad un punto di accesso, significherebbe che in quel posto c’è già la possibilità di avere accesso a Internet e quindi il collegamento wireless perderebbe molto del suo interesse essendo limitato ai piccoli spazi (uffici o abitazioni). Dato che questa limitazione è esclusa dal provvedimento, significa che è possibile portare il collegamento ad Internet in modo wireless ai punti di accesso (quindi anche dove non c’è il DSL), rendendo possibile l’estensione della connettività wireless anche ai piccoli centri.
La condivisione di punti di accesso da parte di più operatori, per ridurre la proliferazione dei punti di accesso, pone l’accento su una questione centrale che è quella dell’interoperabilità tra operatori: un operatore deve interoperare con gli altri per consentire la validazione delle richieste di accesso degli utenti. Ciò implica che il proprietario della infrastruttura fisica deve essere remunerato, analogamente a quanto avviene con il GSM, dall’operatore che ne usa l’infrastruttura: i punti di accesso wireless forniti all’ingrosso da un operatore all’altro.
Dal punto di vista di garanzia dell’esistenza di una molteplicità di operatori economici, ciò è importante, altrimenti per il fenomeno che gli economisti chiamano “esternalità di rete”, in condizioni di interoperabilità limitata o assente gli operatori dominanti rafforzerebbero la propria posizione dominante a scapito della concorrenza, del pluralismo degli operatori e conseguentemente dell’innovazione.
Il mercato Broadband
Il decreto Landolfi si inserisce in un contesto di mercato accesso a larga banda che, in tutta Europa, data la sua centralità allo sviluppo economico, è sotto la lente di ingrandimento delle Autorità di Regolamentazione.
Tradizionalmente l’autorità della Gran Bretagna (OFCOM) è il paese di riferimento per le attività delle Autorità di Regolamentazione.
In Gran Bretagna, BT è l’operatore che detiene pressoché la totalità del mercato all’ingrosso e fornisce sia i concorrenti che la divisione “retail” della stessa BT che vende al dettaglio, come previsto dalle leggi vigenti. La divisione retail di BT ha una quota di mercato broadband pari a circa il 25%.
Questa situazione era giudicata fortemente insoddisfacente da parte dell’Autorità che aveva ipotizzato lo spezzamento in due parti di BT: una azienda fornitrice di rete all’ingrosso ed una azienda che vende al dettaglio.
La conclusione del ripensamento di OFCOM non è stata così drammatica per BT: è stato introdotto il concetto di separazione in due società separate ma con la stessa proprietà. La società che vende all’ingrosso sia a BT che ai concorrenti dovrà avere personale separato, sistemi informativi separati, sedi separate, logo diverso, furgoni diversi ed il consiglio di amministrazione sarà composto da una maggioranza di consiglieri non espressi dalla proprietà (4).
Un simile provvedimento non pare realizzabile in Italia a meno di interventi del legislatore che ne pongano la possibilità giuridica nelle mani dell’Autorità delle Comunicazioni.
In Italia la situazione di mercato è simile per quanto riguarda il mercato all’ingrosso; anche Telecom Italia detiene pressoché la totalità del mercato all’ingrosso ma, per quanto riguarda il mercato al dettaglio, la quota di mercato è ben superiore al 25% di BT essendo infatti pari a circa il 73% (5).
Anche i margini operativi vedono rispetto a BT una Telecom Italia assai più redditiva: circa il 45% per Telecom Italia contro circa il 30% di BT.
Non deve pertanto sorprendere che l’amministratore delegato di BT si lamenti del quadro regolamentare vigente e che le tecnologie wireless siano al centro della strategia di BT in Gran Bretagna. Le stesse tecnologie wireless che, dopo il decreto Landolfi, consentono anche in Italia la realizzazione di reti di accesso wireless da fornire all’ingrosso ad altri operatori.
La storia italiana è molto densa di investimenti in infrastrutture fisiche fatti da aziende municipalizzate che inseguivano il modello di business delle “multiutility”, investimenti che sono sostanzialmente falliti a causa dell’altissimo costo di realizzazione di nuove reti in rame o fibra ottica scoraggiando queste aziende dall’investire nelle telecomunicazioni.
Persino Fastweb che è stata uno dei pionieri mondiali delle reti in fibra ottica, ha ripiegato sul riutilizzo della rete metallica di accesso di Telecom Italia.
Ma le infrastrutture wireless hanno un costo assai inferiore, non richiedendo costosi scavi e complicati diritti di passaggio e logistiche realizzative. Coprire wireless 4-5 chilometri quadrati di un paese costa circa come realizzare una rotonda ad un incrocio.
Questa è una opportunità per le amministrazioni neglette dagli aggiornamenti degli apparati di centrale di Telecom Italia in quelle zone ove la redditività potenziale è giudicata insoddisfacente, è pertanto una opportunità soprattutto per i piccoli centri Digitalmente Divisi per realizzare delle infrastrutture wireless da concedere in uso a tutti gli operatori.
Oltre il wifi
Sui 2,4GHz funziona non solo il Wifi, ma anche i “transponder” attivi , i “mote” e tutta una nuova generazione di dispositivi wireless che rendono concettualmente possibile realizzare una vera e propria “Internet delle cose” estendendo le funzionalità della rete oltre le persone, agli oggetti.
Gli operatori telefonici sono tradizionalmente portati a misurare la propria capacità in termini di ARPU: Average Revenue Per User: ricavi medi per utente.
Già però la storia ha dimostrato che in Italia vi sono più utenze cellulari che persone e questo non solo perché alcuni utenti hanno più telefoni, ma anche per tutti gli impianti di allarme, antifurto, e sistemi di localizzazione di veicoli collegati a GPS e GSM. Tutte queste innovazioni non sono state introdotte dagli operatori telefonici cellulari che però ne hanno beneficiato.
“Pupillo” di H3G, la videocamera UMTS che ci consente di guardare da lontano ciò che accade nella casa di vacanza, è il primo esempio al mondo di questo tipo, ed è il primo esempio che un newcomer, che necessariamente deve innovare, inizia a pensare che al mondo esistono molte più cose che utenti.
Chi di noi può pensare, a medio termine, in un futuro diverso da una molteplicità di oggetti connessi in rete sia mediante collegamenti wifi che RFID che UltraWideBand? tra 20 anni possiamo immaginare che PDA, stampanti, storage, macchine fotografiche, proiettori, telecamere, schermi tv, sensori, sistemi di localizzazione, sistemi di identificazione non siano collegati always on ad una rete wireless?
Per fare questo, il decreto Landolfi è solo il primo passo nella direzione giusta, è importante recepire le indicazioni dell’organismo europeo preposto (ETSI) per consentire lo sviluppo del mercato; per usare le parole del Presidente di Federcomin, Alberto Tripi :”La mancata adozione della normativa europea priverebbe il nostro Paese di una grande opportunità,estromettendola da un settore che si preannuncia in grandissimo sviluppo”
Strada sdrucciolevole
Ma la strada per arrivare a questa visione di mondo interconnesso il percorso non è garantito esente da difficoltà. Internet ha determinato un fenomenale progresso grazie al fatto che essa è una rete aperta. Così è stata voluta dai suoi creatori.
Nessuno di loro immaginava un futuro in cui un unico soggetto, in un bacino economico, controllasse la stragrande maggioranza dei collegamenti e, nel contempo, la quasi totalità della infrastruttura sottostante.
Chi controlla gli utenti e nel contempo la infrastruttura può controllare anche i contenuti, il loro gradimento, le interazioni degli utenti, e, per estensione, il mercato pubblicitario.
Questo è ciò che promettono le reti di nuova generazione, le cosiddette Next Generation Networks (NGN) che sono oggi il nuovo Sacro Graal delle grandi imprese di telecomunicazioni, uno scenario che pone con rinnovato vigore la centralità di temi quali il pluralismo e la privacy.
Internet è sempre stata intrinsecamente garantista: alcuni operatori fornivano l’accesso ed altri soggetti fornivano i contenuti e solo dall’intersezione di queste informazioni, raccolte da una autorità giudiziaria è possibile risalire con accuratezza ai comportamenti ed alle azioni degli utenti.
Il Professor Lawrence Lessig, direttore del Center for Internet and Society (CIS) dell’Università di Stanford, assai influente a livello mondiale ma poco noto nel nostro Paese, ha chiaramente esposto il rischio di questa deriva della rete in “The Future of Ideas“, un testo che è considerato da molti una pietra miliare dell’evoluzione di Internet.
Il rischio è la “chiusura” della rete per quanto concerne i servizi innovativi, una limitazione del paradigma della “openIP” che è stato alla base del fenomenale sviluppo di Internet.
La “chiusura della rete” può avvenire in molti modi, ad esempio impedendo per contratto agli utenti certi utilizzi, o architetturalmente disegnando delle strozzature del traffico che limitano il fluire dei dati, o anche tariffariamente con articolazioni di prezzo che rendano di antieconomico per l’utente veicolare tipologie di traffico “non gradito” all’operatore, ed altre ancora.
Limitare in qualsiasi modo l’interoperabilità dei servizi tra gli operatori si configura certamente come una lesione di un diritto fondamentale degli utenti, ma significa soprattutto rimuovere una base essenziale per assicurare il continuo sviluppo e l’innovazione.
Una scelta per il futuro
Clayton Christensen nel suo testo “The Innovator’s Dilemma” descrive il problema che affrontano le imprese di successo di fronte all’innovazione: tutelare gli investimenti e la posizione consolidata o favorire l’innovazione?
Questo stesso problema si pone a livello Paese in termini di politica industriale: cosa bisogna tutelare? gli investimenti effettuati e il mercato delle aziende (che legittimamente spingono e fanno lobby in questa direzione a tutela dei propri interessi? oppure l’innovazione e la capacità di rigenerazione del sistema ?
Oltre il Wifi ci aspetta il WiMax, una tecnologia di comunicazione che offre portate molto più grandi del Wifi a distanze molto maggiori.
Come verranno assegnate le frequenze del WiMax? mediante aste o procedure che favoriscano la concorrenza con la nascita di nuovi operatori (beauty contest)?
Per le casse dell’erario, l’asta è il meccanismo che probabilmente assicurerà i maggiori ritorni, grazie al fatto che i grandi operatori tenterebbero di accaparrarsi le frequenze per limitare il rischio portato da nuovi entranti.
Avremo presto la risposta che il nostro Paese si darà al dilemma dell’innovatore. Basterà vedere i criteri di assegnazione delle frequenze del WiMax.
Seven Questions: Battling for Control of the Internet. Intervista a Lawrence Lessig
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(1) Rischio annunciato, e poi fatto rilevato dal Prof. Lessig, direttore del Center for Internet and Society (CIS) dell’Università di Stanford in numerosi interventi e pubblicazioni
(2) Anche se questa classificazione è per l’appunto obsoleta
(3)Il Decreto Landolfi dell’ottobre 2005 dà completa attuazione alla disciplina comunitaria in materia: Direttiva 99/05/CE del 1999.
(4) BT ha anche assicurato la interconnessione e la interoperabilità della propria “Next Generation Network” con le reti IP dei concorrenti.
(5)”Broadband access in the EU: situation at 1 January 2005″, draft 30 Marzo 2005