Italia
Resta a Milano il processo che coinvolge il premier Silvio Berlusconi, insieme ad altre 14 persone, per presunte irregolarità nell’acquisto di diritti cinematografici e televisivi da parte di Mediaset. Lo ha deciso stamani il giudice dell’udienza preliminare Fabio Paparella, che ha respinto così la richiesta delle difese di spostare il procedimento a Brescia.
L’istanza per un trasferimento in altra sede era stata fatta dai legali di parte civile Mediaset, in quanto era risultato che 62 magistrati, togati e onorari, del distretto di Corte d’Appello di Milano erano proprietari o ex proprietari di azioni Mediaset.
Durissimo il commento dell’avvocato Niccolò Ghedini, difensore di Silvio Berlusconi: “E’ una decisione gravissima”. Lunedì scorso, a lungo, le difese dei 14 imputati, tra i quali quella del premier, avevano chiesto, infatti, con insistenza di trasferire il procedimento a Brescia. Secondo Ghedini è grave, in particolare, la motivazione sostenuta dal giudice secondo il quale “assume la qualità di persona offesa una persona solo nel momento in cui fa qualche cosa“. “A questo punto – prosegue il legale – qualsiasi magistrato potrebbe costituirsi nel processo e questo verrebbe automaticamente azzerato”.
Fra gli imputati dell’udienza preliminare, ci sono fra gli altri il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e l’avvocato britannico David Mills (marito del Ministro britannico della Cultura Tessa Jowell, ndr) mentre i capi di imputazione, vanno, a vario titolo, dall’appropriazione indebita, alla frode fiscale, al falso in bilancio, alla ricettazione e riciclaggio.
L’inchiesta, condotta dai Pm Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo, riguarda la compravendita di diritti televisivi e cinematografici acquistati da due società off-shore della Fininvest (Century One e Universal One), e poi rivenduti a Mediaset, per 470 milioni di euro, negli anni 1994-1996. Secondo la procura di Milano, alcune major americane avrebbero venduto i diritti televisivi a due società off-shore, le quali li avrebbero poi rivenduti con maggiorazione di prezzo a Mediaset, che avrebbe ereditato dopo la quotazione in Borsa del 1994 il sistema operativo di Fininvest.
Il tutto, con l’obiettivo di aggirare il fisco italiano e creare fondi neri nella disponibilità di Berlusconi. Gli imputati e Mediaset hanno sempre respinto le accuse sostenendo di non avere mai avuto fondi neri e di aver agito rispettando sempre le regole di trasparenza a tutela degli investitori.
Dall’inchiesta principale, chiusa nella seconda metà di febbraio, sono state stralciate le posizioni di Pier Silvio e Marina Berlusconi, rispettivamente vice presidente Mediaset e presidente di Fininvest, per i quali proseguono le indagini.
Mediaset si è sempre detta assolutamente estranea ai fatti ipotizzati nelle congetture dell’accusa: “L’inchiesta si trascina ormai da più di tre anni ed è animata da una sterile volontà di spettacolarizzazione cui fa eco la consueta grancassa mediatica”.
L’azienda ritiene che l’accusa si basa non su prove, ma su un teorema privo di alcun elemento di sostegno e il ripetersi a brevi intervalli di perquisizioni spettacolari ne è dimostrazione evidente.
Per Mediaset “I diritti cinematografici acquistati dalla società sono veri, esistenti, qualitativamente ineccepibili. Sono stati regolarmente messi in onda e hanno concorso a determinare i successi di audience del gruppo. Tali diritti sono stati acquistati a prezzi di mercato e da operatori del settore, conosciuti sul mercato e accreditati presso le varie rassegne internazionali“.
Intanto in un’intervista a La Repubblica, il presidente di Telecom Italia, Marco Tronchetti Provera, ha smentito le indiscrezioni che da tempo circolano sui mercati sulla possibilità di una fusione tra il gruppo di tlc e Mediaset.
Una fusione “non ha alcun senso dal punto di vista industriale“, ha commentato il presidente.
“Telecom è un’autostrada sulla quale possono transitare in molti. Con Mediaset stiamo solo collaborando per ottimizzare la distribuzione dei loro prodotti”, ha spiegato, sottolineando che anche “per chi produce contenuti è più interessante avere più reti di distribuzione” e che le società televisive hanno peraltro “diversità di gestione non indifferenti” con le società telefoniche, “obbligate a investire molto in tecnologia e nello sviluppo delle reti“.