Italia
Riportiamo di seguito l”intervento di Patrizia Grieco, Amministratore Delegato di Siemens Informatica, al Convegno ”Innovazione tecnologica, sviluppo dell”occupazione e nuova competitività del Sistema Paese”, Roma, 22 giungo 2005.
di Patrizia Grieco
Amministratore Delegato
Siemens Informatica
La situazione italiana non è affatto rassicurante, lo dimostrano i ranking che mettono il nostro Paese a poca distanza da Portogallo e Grecia. Vorrei invitare a soffermare l¿attenzione su alcuni punti a mio avviso fondamentali. Siamo un Paese dove i Grandi Gruppi industriali rappresentano lo 0,1% del totale. Il primo ostacolo all¿innovazione è, quindi, dimensionale, pensiamo alle difficoltà che incontra l¿Università a interfacciarsi con un mercato così frammentato.
La formazione è alla base di tutto e da lì bisogna ripartire. Solo operando una revisione profonda dell¿offerta formativa potremo creare le condizioni per rafforzare la coerenza tra formazione erogata e fabbisogni del mercato del lavoro. Un gap che non è certo un problema recente, ma di cui l¿Italia soffre da molti anni, ormai.
Riguardo alla flessibilità del mercato del lavoro, se guardiamo al contesto europeo balza subito agli occhi che altri Paesi, come per esempio la Germania, sono più competitivi di noi. Pensiamo poi all¿accesso, al rischio. Si parla tanto di distretti, della necessità che le aziende di piccole e medie dimensioni si aggreghino, ma per questo occorrono strumenti principalmente fiscali e finanziari che favoriscano tali concentrazioni e supportino la propensione al rischio.
Altrettanto preoccupante è la capacità sempre minore di attrarre investimenti stranieri in Italia. Un problema che chiama in causa fattori strutturali diversi, tutti riconducibili all¿efficienza del nostro Sistema Paese: dalle infrastrutture al costo del lavoro, al carico fiscale, normativo e burocratico non paragonabili nel mondo occidentale. Una maggiore attrattività, richiamando risorse nuove finanziarie e umane oltre a competenze e know how innovativo, favorisce un incremento della competitività locale che stimola un miglioramento e accentua e promuove la cultura del confronto con Paesi e aree concorrenti. E¿ proprio su quest¿ultima e sull¿internazionalizzazione che si potrà giocare la partita della competitività dell¿Italia e delle imprese. Ossia il problema è la capacità del nostro Paese di attrarre risorse che autonomamente non è in grado di generare: perché, come già detto, non disponiamo di un numero di grandi imprese tali da poter pensare di realizzare quegli investimenti in innovazione e ricerca le cui ricadute sarebbero essenziali per il tessuto imprenditoriale. Perché non c¿è una collaborazione virtuosa tra il sistema dell¿impresa e mondo della formazione. Ma per attrarre risorse, investimenti, conoscenze il sistema delle imprese ha bisogno di aggregare aree di eccellenza, sviluppando strategie congiuntamente ad altri attori economici e, soprattutto, istituzionali.
A sua volta, l¿attrattività per un professionista si misura per la presenza di un ambiente culturale vivace, per la disponibilità di servizi, e così via. Ma quando parlo di attrattività di competenze mi riferisco non solo a chi viene dall¿estero ma anche ai nostri figli, ai nostri talenti che viaggiano, si muovono, conoscono altre realtà dove possono trovare opportunità migliori. Mi riferisco a chi va a studiare all¿estero, si forma, si specializza e poi trova ostacoli insormontabili a trasferire il know how nel proprio Paese d¿origine.
Emerge con evidenza quanto lo scenario sia complesso e in quale misura la riflessione, non più rimandabile, coinvolga l¿intero sistema.
Date queste premesse non possiamo prescindere da una pianificazione di lungo termine, dalla necessità di un Patto Sociale condiviso da Governo e Opposizione che getti le basi da qui a dieci anni di un rinnovato dialogo tra Governo, Sindacati, Impresa, e Università.
Di analisi si sono fatte a sufficienza, è l¿ora di prendere coraggio e di passare ad azioni concerete che facciano invertire la rotta.
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