Italia
di Paolo Zocchi
Presidente Associazione UNARETE
Coordinatore Osservatorio Nazionale ICT, DL-Margherita
Sulla complessa questione della brevettabilità del software sono state dette molte cose, a volte esatte, a volte meno. Premetto che questa posizione non esprime in alcun modo quella ufficiale della Margherita (per quanto vi sia molta vicinanza con le tesi del Dipartimento Innovazione e Sviluppo), né quella dell¿Osservatorio ICT che io coordino, ma che vede al proprio interno opinioni estremamente articolate. In linea di principio sono favorevole alla concessione di brevetti che riguardino programmi software laddove tali programmi siano alla base di una invenzione, ovvero di un¿opera dell¿ingegno, realmente innovativa, sviluppata attraverso le nuove tecnologie informatiche. Ma non sempre le cose sono chiare.
In primo luogo, ci si scontra col concetto stesso di invenzione. Ad esempio, se scrivo un software che crea l¿icona di una rosa sul desktop per attivare un device che produca odori, è ovvio che si potrà brevettare il software che produce odori, compresa la rosa che costituisce la sua icona distintiva; questo non significa che nessuno potrà usare rose come icone (si potrebbe trattare di un mero trademark; quindi, al limite non si potrà usare una rosa per un device analogo a quello che produce odori), bensì che non si potranno usare gli algoritmi che servono per quello specifico device. Insomma l¿invenzione non è la rosa, ma il software che produce odori: non si tratta di un ¿alfabeto¿ per dirla con Cortiana, ma di un¿opera dell¿ingegno che utilizza alfabeti liberi. Questo determinerà il valore economico di quello specifico software che produce odori, ma non impedirà a qualcuno di produrre (e brevettare) un software diverso che produca odori più intensi.
Al contrario, se io scrivo un software che fa paghe e stipendi e dichiaro che solo io faccio paghe e stipendi con il calcolo dell¿INPS a destra invece che a sinistra, appare chiaro che non si tratta di invenzione brevettabile.
Dunque, il primo punto consiste nel determinare, in modo univoco, cos¿è l¿invenzione e, siccome ciò non è detto che sia possibile oggettivamente, nel qualificare un organismo super partes alla valutazione. Solo in questo modo sarà determinabile la possibilità di brevettare righe di software e algoritmi.
Il secondo punto consiste nella questione dell¿interoperabilità: l¿emendamento Ortega pone uno sbarramento alla brevettabilità del software laddove tale software contenga elementi utili allo scambio di dati tra applicazioni. In parole povere non è possibile brevettare le API di un software proprietario (che servono per interfacciare quel software con hardware e software terzi) né tanto meno standard come XML. Questa sembra una posizione abbastanza chiara: dunque sì alla brevettabilità laddove si escluda il software relativo alla interoperabilità. Quindi sì all¿emendamento Ortega.
Altra questione concerne il software open source. Intanto dirimiamo il campo da un equivoco: il fatto che un software sia a codice aperto non significa che esso non sia brevettabile. Fatto sta che, però, un surplus di brevetti di software proprietario, renderebbe angusta l¿area di azione dei software open source. E viceversa, laddove il software open source non venga brevettato, tutte le idee che vengono dal movimento open source potrebbero essere prese e brevettate a loro volta da multinazionali senza scrupoli. Ebbene, anche in questo caso, sarà necessario che, anche per il software open source, venga definita l¿invenzione ed essa, a sua volta, venga protetta da una sorta di ¿brevetto open source¿ (a cui si potrebbe affiancare anche una terza tipologia, un ¿brevetto creative commons¿) che, pur lasciando aperta quella medesima invenzione, al tempo stesso renda impossibile brevettarla in futuro. In tal modo si creerebbe una concorrenza di fatto tra software brevettabile proprietario e software brevettabile open source, con indubbio vantaggio per la ricerca. Tali innovazioni dovrebbero, come è ovvio, essere recepite anche dalla contrattualistica e in particolare dai contratti GPL, dato che, altrimenti, la brevettabilità open source non garantirebbe di per sè l¿utilizzo comune di quello specifico software.
Dopodiché c¿è il problema della relazione che le norme sulla brevettabilità definite a livello europeo dovranno avere con l¿EPO statunitense.
Sarà necessario far sì che l¿Europa dia il via alla creazione di un organismo internazionale di controllo e verifica sulle invenzioni e sui brevetti del software che, con appositi accordi e sotto l¿egida delle Nazioni Unite, sul modello di quanto proposto per la Internet Governance in alternativa all¿ICANN, possa evitare gli eccessi americani (tipo brevetti sui ¿business models¿) e al tempo stesso costituisca un punto di pari opportunità per le grandi multinazionali e per le PMI. Non sarebbe male inserire questo punto all¿ordine del giorno del prossimo WSIS di Tunisi. In tal senso potrebbe essere un¿idea rivedere (senza annullarli tout court), i brevetti rilasciati dall¿EPO e validi in Europa anche alla luce di queste posizioni.
Ricordo infine che senza una normativa sulla brevettabilità, le aziende multinazionali e nazionali continueranno ad aggirare con l¿escamotage del trade mark e della registrazione individuale quello che una normativa fatiscente sulla brevettabilità oggi non consente solo sulla carta. Questo non vale solo per i grandi gruppi, ma a maggior ragione per quelle realtà piccole e medie del panorama ICT nazionale che non riescono a competere con prodotti propri e quindi tendono a sopravvivere con prodotti di scarso valore o vendendo persone, senza investire un euro in ricerca. Probabilmente una normativa diversa potrebbe far tornare la ricerca ad essere, per questi soggetti, un investimento concreto e non un costo puro.
© 2005 Key4biz.it