Europa
Un nuovo dubbio si insinua tra coloro che non approvano l¿ingresso della Turchia nell¿Unione europea. Questo Paese fino a oggi ostacolato per via di leggi non troppo democratiche, da anni sta bussando alle porte della Ue che, se fino a settembre erano rimaste chiuse, adesso con qualche mirata modifica alle proprie leggi, potrebbero finalmente aprirsi.
Ma siamo così sicuri che la Turchia sia diventato un Paese democratico, o sta solo vestendo l¿abito della circostanza?
Qualche fondato dubbio resta, specie quando ormai mancano alcuni giorni all¿entrata in vigore del nuovo codice penale che, stando alle più accreditate fonti internazionali e turche, minaccerebbe la libertà di stampa.
I media turchi hanno già lanciato una campagna contro questo codice, che dovrebbe allineare la legislazione alle norme europee, ma che ritengono rappresenti una seria minaccia alla libera espressione.
Il nuovo codice pensale potrebbe aprire la via ad ¿azioni legali arbitrarie (¿) e riempire le prigioni di giornalisti¿, hanno dichiarato diversi gruppi editoriali in una lettera indirizzata al Primo ministro Recep Tayyip Erdogan.
La campagna, che ha colto di sorpresa il governo, vuole ottenere la sospensione del testo, fino a quando non saranno apportate le modifiche necessarie ad alcune disposizioni.
L¿adozione a settembre aveva lasciato soddisfatta l¿Unione europea e i media turchi. La riforma del codice penale, infatti, era tra le condizioni richieste da Bruxelles per l¿avviamento delle negoziazioni per l¿ingresso della Turchia nell¿Unione.
Oral Calislar, responsabile dell”Associazione dei giornalisti turchi, ha commentato che i grandi gruppi mediatici, affascinati dalla campagna per la Ue, ¿non hanno visto o non hanno voluto vedere i pericoli di questa legge¿.
Ma i recenti attacchi portati avanti da Erdogan contro la stampa hanno spinto i giornalisti a esaminare meglio il nuovo codice.
Secondo gli esperti, alcune disposizioni del codice relative ai media sono troppo vaghe e consentono ai giudici di avviare delle azioni giudiziarie arbitrarie, introducendo la detenzione, abolita dalla precedente riforma maggiormente a favore dei giornalisti.
Un articolo prevede addirittura la condanna fino a 15 anni di detenzione per coloro che diffondono attraverso i media, e in cambio di benefici materiali provenienti dall¿estero, informazioni contrarie agli ¿interessi fondamentali dello Stato¿.
Alcune note esplicative, allegate al disegno di legge, potrebbero riguardare coloro che chiedono il ritiro delle truppe turche da Cipro o quelli che vogliono che siano classificato come genocidi, i massacri dell¿Impero ottomano nel 1915.
¿Che succederà, per esempio, a un¿istituzione che riceve fondi dalla Ue e critica la politica cipriota della Turchia?¿, si chiede Calislar.
Ricordiamo che la Turchia ha una triste storia di repressione della libertà di stampa e parecchi giornalisti e intellettuali hanno pagato con la prigione le proprie opinioni.
Adem Sozuer, uno dei giuristi che ha partecipato alla stesura del codice penale, ha riconosciuto che alcune disposizioni dovrebbero essere emendate.
Tuttavia Sozuer approva questo codice, ritenendo che rappresenti ¿un passo avanti per la Turchia¿.
La riforma era stata sostenuta soprattutto per via del rafforzamento delle sanzioni contro gli autori di reati contro i diritti dell¿uomo e per le misure che migliorano i diritti delle donne.
Il governo ha respinto la possibilità di sospensione del nuovo codice penale, ritenendo che gli emendamenti potrebbero essere adottati successivamente.
Koksal Toptan, capo della Commissione parlamentare di Giustizia, ha sminuito le preoccupazioni dei giornalisti, sostenendo che l¿entrata in vigore del nuovo codice leverà ogni dubbio a riguardo. E se così non fosse?
Sono tanti i Paesi del mondo dove ancora oggi si combatte la battaglia per difendere la libertà di stampa. E purtroppo le lotte non riguardano più solo i regimi totalitari. Adesso a preoccupare maggiormente sono le limitazioni poste anche ai giornalisti dei Paesi cosiddetti democratici.
Gli Stati Uniti, da sempre esempio di libertà e democrazia, sono finiti nella lista dei Paesi americani che praticano restrizioni al lavoro della stampa e minacciano d¿arrestare i giornalisti che si rifiutano di rivelare le proprie fonti. Si tratta di accuse pesanti che emergono dal rapporto dell¿Inter American Press Society (IAPA), presentato il 14 marzo nel corso dell¿assemblea generale di Panama.
Il documento approvato sottolinea che la guerra in Iraq, il rafforzamento delle misure di sicurezza in questo Paese e le pressioni per identificare le fonti delle informazioni, hanno limitato oltre modo la libertà di stampa.
Ma se il caso degli Stati Uniti desta scalpore, bisogna sottolineare che le principali minacce alla libertà di stampa provengono come sempre dai Paesi sudamericani.
Il rapporto presentato a Panama fa ancora riferimento al presidente cubano Fidel Castro, all¿argentino Nestor Kichner e al venezuelano Hugo Chavez.
Cuba resta uno dei Paesi a maggior rischio per i giornalisti. Il governo di Castro ¿detiene da 46 anni il monopolio delle informazioni¿ e i mezzi di comunicazioni sono tutti volti alla propaganda del regime.
L¿organizzazione Reporters sans Frontières ha lanciato proprio ieri una nuova campagna di sensibilizzazione a sostegno dei 21 giornalisti detenuti nelle prigioni cubane dopo l¿ondata repressiva del marzo 2003.
Due anni dopo la ¿primavera nera¿ di Cuba e l¿arresto, il 18 marzo 2003, dei 75 dissidenti e giornalisti, Reporters sans frontières si appella alla solidarietà per ottenere la liberazione di questi prigionieri, la cui sola colpa è di pensarla diversamente da Fidel.
Nonostante siano già stati liberati sei dei giornalisti arrestati dopo la retata della primavera 2003, tra cui Raúl Rivero il 2 dicembre 2004, la stampa indipendente cubana ¿resta sottoposta alla censura e alla minaccia permanente da parte delle autorità¿, scrive RSF in un comunicato.
¿Continuiamo a denunciare i processi abbreviati e le pene smisurate, da 14 a 27 anni di reclusione, nei confronti dei giornalisti il cui solo torto è d¿aver fatto il proprio lavoro e di pensarla diversamente¿ dal potere politico.
Per ulteriori approfondimenti, leggi:
Gli Stati Uniti nella lista dei Paesi che violano la libertà di stampa. Rapporto IAPA
Più di un terzo della popolazione mondiale è privata della libertà di stampa. Studio RSF
Libertà di stampa nel mondo: Italia 53a per l¿irrisolto conflitto di interessi. Indagine RSF