Italia
di Antonio Sassano
Professore Ordinario di Ricerca Operativa
UNIVERSITA” “La Sapienza“
La transizione dalla tecnologia analogica a quella digitale nel mercato radio-televisivo è un processo inevitabile, spinto dall¿evoluzione tecnologica e già avviato in tutti i paesi industrializzati.
Elementi caratteristici di questo processo saranno:
a)la moltiplicazione del numero di programmi a parità di frequenze utilizzate;
b)la realizzazione di un ¿pluralismo strutturale¿ fondato sull¿abbassamento delle barriere all¿ingresso di nuovi editori;
c)i nuovi vantaggi per gli utenti, come la qualità delle immagini e la disponibilità di contenuti ¿premium¿ a basso costo;
d)la possibilità offerta ai ¿broadcaster¿ analogici di competere con cavo e satellite (come mostra l¿importante iniziativa Mediaset nel digitale ¿pay¿) anche sfruttando il ¿plus¿ specifico del Digitale Terrestre costituito dalla decomponibilità a livello regionale;
e)la digitalizzazione dei contenuti e della distribuzione, con le conseguenti sinergie con le altre piattaforme tecnologiche. In particolare con le reti mobili di terza generazione (anche grazie agli standard DVB-H e Wi-Max);
f)la nuova struttura della filera di mercato con la distinzione tra chi trasporta il segnale e gestisce la rete (¿Operatore di rete¿) e chi realizza i contenuti (¿Fornitore di contenuti¿);
g)la possibilità di razionalizzare lo spettro e liberare frequenze per nuovi servizi di ¿broadcast¿ rivolti all¿utenza mobile.
In tutti i principali Paesi industrializzati la transizione (o ¿switch-over¿) è stata pianificata tenendo conto dei vantaggi appena elencati e delle specificità delle reti di trasmissione. La significativa diffusione dell¿utenza via cavo negli Stati Uniti e in Germania ha consentito a questi paesi di pianificare lo ¿switch-off¿ delle trasmissioni analogiche per il 2008-2010. Negli Stati Uniti, in particolare, si prevede di liberare 108MHz attualmente utilizzati dalle emittenti analogiche e di ricavare circa 50 Miliardi di dollari dalla loro messa all¿asta. Francia, Spagna e Regno Unito presentano una situazione dell¿emittenza analogica più simile alla nostra ma sono favorite dalla presenza di pochi ¿operatori di rete¿ in grado di gestire in modo unitario lo spettro e garantire una transizione ordinata al digitale.
La situazione italiana: il ¿caos analogico¿
Nel nostro Paese la transizione parte da una situazione di ¿caos analogico¿ caratterizzato dalla mancanza di informazioni sull¿effettivo uso dell¿etere, da una cattiva utilizzazione delle risorse e dal controllo sullo sviluppo del mercato esercitato dai due operatori dominanti.
Il ¿caos¿ è il prodotto di anni di evoluzione non governata dell¿uso della banda di frequenze destinata alle trasmissioni radio-televisive. L¿ERO (European Radiocommunications Office) segnala nel 2004 l¿esistenza di circa 23.000 impianti (frequenze) utilizzati dai nostri ¿broadcaster¿, contro i 13.000 utilizzati in Francia e i 10.000 utilizzati in Germania.
L¿altissimo numero di frequenze in uso e il conseguente livello di interferenza ha l¿effetto di limitare il numero di frequenze libere disponibili per avviare il servizio digitale. La transizione dovrà quindi necessariamente avvenire utilizzando frequenze analogiche attualmente in esercizio.
La recente Indagine Conoscitiva dell¿Autorità Antitrust ha anche mostrato che la predetta situazione di scarsità di risorse è aggravata dalla presenza di impianti ridondanti. Si tratta di impianti e frequenze in esercizio che hanno bacini potenziali di milioni di utenti ma che sono indispensabili per coprirne solo una limitatissima percentuale. Si pensi che il 34% degli impianti RAI e il 20% degli impianti Mediaset con bacini superiori a 15.000 abitanti sono indispensabili per la copertura di meno dell¿1% del proprio bacino potenziale. La presenza di impianti ridondanti è confermata dalle coperture multiple dei centri principali e dall¿anomala percentuale di impianti con bacino d¿utenza superiore ai 500.000 abitanti (più del 15% contro il 2% della Francia). E¿ d¿altra parte un¿esperienza di tutti i giorni quella di incontrare, nel fare ¿zapping¿, un ¿paio di Rai2¿ o un ¿paio di Canale 5¿.
Siamo quindi in presenza di gravi inefficienze di rete in una situazione di estrema carenza di risorse.
RAI e Mediaset gestiscono l¿85% delle frequenze a disposizione delle reti nazionali e il 50% del totale. Esiste dunque un significativo squilibrio nell¿uso delle risorse. Ad esempio, Rai 1 utilizza 2064 impianti, Canale 5 1689 mentre La7 ne utilizza 703 e ReteA 172.
Le coperture effettive ovviamente risentono di questo squilibrio. Si va dal 99% di popolazione coperta da parte di RAI 1 al 91% di Canale 5, al 65% de La7 al 47% di ReteA.
Come detto, le reti maggiori oltre ad essere le più estese sono anche le più inefficienti. Infatti, le stesse coperture di popolazione potrebbero essere ottenute da reti ridotte, costituite, ad esempio, da un sottoinsieme di 1263 impianti di RAI 1 o da 1223 impianti di Canale 5.
Infine, l¿analisi delle reti compiuta dall¿Autorità Antitrust ha consentito di valutare gli effetti positivi della razionalizzazione ottenibile mediante una gestione ¿cooperativa¿ dello spettro. Come si vede, Canale 5 passerebbe da una copertura di popolazione del 91% ad una del 95%, La7 dal 65% all¿ 87% e Rete A dal 47% al 72%.
In conclusione, possiamo così riassumere gli elementi che caratterizzano lo scenario attuale dello spettro televisivo nel nostro Paese:
a)scarsa conoscenza della situazione effettiva di impianti e frequenze;
b)saturazione dello spettro e scarso numero di frequenze libere;
c)esistenza di un grande numero di impianti ¿ridondanti¿;
d)inefficienza d¿uso della risorsa spettrale ed enormi spazi per la razionalizzazione;
e)squilibrio tra le reti nazionali sia nell¿uso dello spettro che nell¿estensione del servizio.
A questo proposito è interessante sottolineare come le reti analogiche che possono dirsi ¿nazionali¿, anche nella versione indebolita della Legge Gasparri (il 50% della popolazione servita contro l¿80% del territorio previsto dalla Legge Maccanico) siano soltanto 9: le tre RAI, le tre Mediaset, le due Telecom e Sport Italia.
Il Piano Digitale
A questo ¿stato iniziale¿ indefinito e caotico, corrisponde uno scenario ¿a regime¿ ordinato: Il Piano Digitale dell¿Autorità per le Comunicazioni.
Il Piano prevede l¿uso ottimizzato delle risorse e la possibilità di gestire in modo flessibile l¿avvento di nuove tecnologie (come il DVB-H).
Il Piano dimostra che l¿uso attuale delle risorse è inefficiente e che, in uno scenario razionale e ordinato, sarebbe possibile la realizzazione di 18 ¿multiplex¿ ad estensione nazionale (secondo la Maccanico), ciascuno in grado di assicurare la copertura del 90% della popolazione e dell¿80% del territorio con meno di 300 impianti. In totale il Piano prevede la realizzazione di 36 ¿multiplex¿ per bacino d¿utenza che consentiranno, a regime, la messa in onda contemporanea di 60 programmi nazionali, 30 programmi regionali e 54 programmi locali.
E¿ importante sottolineare che il Piano Digitale aumenta il numero dei programmi, ma riduce il numero di operatori di rete.
Una transizione alla moviola?
Lo scenario di Piano appena descritto consente di comprendere perché la transizione dal ¿caos analogico¿ alla situazione ottimizzata prevista a regime non sia ancora iniziata e non si abbia alcuna garanzia che essa inizi nel breve-medio periodo.
Infatti, sebbene Rai e sopratutto Mediaset mostrino di credere che nel lungo periodo la tecnologia digitale sostituirà quella analogica, i due operatori dominanti non hanno alcun interesse ad accelerare il processo di transizione e hanno, al contrario, l¿interesse a gestire una ¿transizione lenta¿ che consenta loro di conservare ed incrementare il controllo dello spettro e, quindi, del mercato. Una transizione lenta, bisogna sottolinearlo, nella quale non si realizza la moltiplicazione dei programmi per tutti i cittadini italiani promessa dal Piano Digitale.
Vediamo schematicamente i motivi che spingono i due operatori dominanti a privilegiare questo scenario misto analogico-digitale e una ¿transizione lenta¿.
a)Il processo di razionalizzazione dello spettro e di eliminazione delle ridondanze, implicito nel Piano Digitale, metterebbe a rischio la copertura delle reti analogiche, fonti di fatturato pubblicitario e generatrici di programmi di successo e di conseguenti contenuti ¿premium¿ (fortemente richiesti in altri segmenti del mercato digitale come satellite, cavo e ¿wireless¿).
b)Uno ¿switch off¿ ravvicinato (2006) delle trasmissioni analogiche costringerebbe ciascuno dei due operatori dominanti a restituire le frequenze analogiche o ad utilizzarle per realizzare un elevato numero di ¿multiplex¿ digitali (da 4 a 6 per ciascuno) da destinare al trasporto di programmi di altri editori (a causa dei limiti imposti dalla Legge Gasparri).
c)La nuova definizione di ¿rete nazionale¿ della Legge Gasparri non spinge i principali operatori a realizzare una copertura che vada oltre il 50% del territorio e circa il 70% della popolazione e li incoraggia, invece, a realizzare reti a basso costo sui grandi bacini d¿utenza.
d)A rafforzare questa tendenza c¿è anche il fatto che reti digitali a copertura limitata e realizzate a ¿macchia di leopardo¿ sui principali bacini d¿utenza possono più facilmente decomporsi per raggiungere con contenuti differenziati (anche pubblicitari) i singoli bacini locali. Possibilità invece preclusa dalla struttura del Piano Digitale.
Paradossalmente, la resistenza delle reti nazionali alla trasformazione analogico-digitale trova una sponda inattesa nelle emittenti regionali e locali.
Le emittenti locali, infatti, considerano le frequenze in uso come il loro ¿asset¿ principale e hanno difficoltà ad investire per rinnovare gli impianti o produrre contenuti. Di conseguenza, anche le associazioni più dinamiche sono costrette ad assumere un atteggiamento dove prevale l¿attesa. Questa scelta è anche incoraggiata dalla certezza che la data dello ¿switch-off¿ non verrà rispettata e dalla previsione (corretta, come abbiamo visto) di una riduzione del numero di operatori di rete conseguente all¿attuazione del Piano Digitale. La Legge Gasparri ha ulteriormente incoraggiato questo atteggiamento attendista delle emittenti locali riconoscendo i diritti acquisiti sull¿uso ¿di fatto¿ delle frequenze e imponendo agevoli condizioni per continuare a trasmettere in analogico e digitale.
Voglio sottolineare come questo atteggiamento faciliti il compito di chi auspica la ¿transizione lenta¿ ma danneggi, come vedremo tra un attimo, le stesse emittenti locali.
Riassumiamo brevemente le caratteristiche dello scenario che, verosimilmente, verrà prodotto da una ¿transizione lenta¿ governata dagli operatori dominanti:
a)mancato rispetto della scadenza dello ¿switch-off¿ al 2006 e mancata indicazione al mercato di una data alternativa certa e credibile;
b)convivenza a lungo termine tra reti analogiche e ¿multiplex¿ digitali nazionali, che assumeranno una struttura di ¿reti per i grandi bacini d¿utenza¿ più che di ¿reti a servizio universale¿ (come quelle previste dal Piano Digitale);
c)limitato aumento del numero di programmi nazionali (rispetto al Piano e alle attese);
d)forte penalizzazione per le emittenti locali, esposte ad una durissima selezione naturale da uno scenario di pubblicità locale decrescente a favore delle reti digitali nazionali concentrate sui grandi mercati cittadini, dalla decrescente richiesta di acquisto di frequenze da parte dei ¿multiplex¿ nazionali stabilizzati nella configurazione ¿a macchia di leopardo¿ e dalla mancanza di risorse per l¿aggiornamento degli impianti e la produzione di contenuti. E, sotto il profilo industriale:
e)perdita dei vantaggi economici derivanti da una possibile utilizzazione alternativa delle frequenze delle bande radio-televisive;
f)mancato sviluppo di tecnologie alternative e di esperienze di mercato per la trasmissione datiall¿utenza mobile.
Seconda parte
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