Italia
Proponiamo di seguito una sintesi del libro E-Work. Lavoro, rete, innovazione,
a cura dell”autore Sergio Bellucci. Il libro, edito da Derive Approdi (Roma), è in distribuzione da oggi 24 gennaio 2005.Il libro verrà presentato il 4 febbraio a Bologna, alla presenza da Sergio Bellucci e di Franco Berardi (bifo), Antonio Negri, Valerio Monteventi, Vittorio Rieser, Giovanni Russo Spena, Benedetto Vecchi. Coordinerà Enrico Zini.
L¿8 febbraio Bellucci sarà invece a Roma, in un doppio appuntamento. Dapprima alla Camera dei deputati, presenti Alfonso Gianni, Alfonso Pecoraro Scanio, Vincenzo Vita, Luciana Castellina, Oscar Marchisio, Sandro Curzi, coordinerà Giulio De Petra.
Mentre nel pomeriggio, l¿incontro sarà alla Facoltà di Scienze della Comunicazione, con Fausto Bertinotti, Domenico De Masi. Coordinerà Arturo Di Corinto.
Per svariati anni la trasformazione è stata annunciata. Ora è in atto senza le remore e le resistenze che ne avevano caratterizzato l¿avvio. L¿impatto delle tecniche digitali si preannuncia come in grado di modificare la stessa dimensione umana. Da una somministrazione dei primi anni, che potremmo definire omeopatica e riservata agli adepti della nascente ¿religione informatica¿, la medicina digitale viene ora iniettata a dosi crescenti verso il cuore della collettività. La sua caratteristica ubiquità applicativa ne consente un¿espansione del dominio oltre i confini tradizionalmente caratteristici delle precedenti tecnologie. Merci, apparati produttivi, mezzi di comunicazione, sistemi di controllo, armi, entità mediologiche, relazioni umane, sono s/travolti dall¿avvento della digitalizzazione. L¿imponenza dei processi investe ogni individuo, sia esso alfabetizzato alle tecnologie informatiche, sia esso escluso attraverso quello che è stato definito come il digital divide, e lo trasforma, da passivo elemento investito dal cambiamento come nei primi anni d¿espansione, ad attore protagonista della sua accelerazione. Molto spesso tutto ciò avviene inconsapevolmente e nei modi più disparati; come attraverso l¿acquisto e il consumo di merci o informazioni che mantengono un apparente aspetto tradizionale, ma che al loro interno accumulano dosi crescenti di strumenti e funzioni digitalizzate.
Non è solo la relazione tra l¿individuo e la società, dunque, a trovare un nuovo ente mediatico ¿ attraverso la complessa infosfera comunicativa resa possibile dalle tecniche digitali – ma è lo stesso ruolo dell¿uomo nella sfera naturale a mutare profondamente.
Non c¿è luogo dell¿agire umano che ne venga risparmiato, che risulti ¿non contaminato¿ o, per qualche motivo, esterno al processo di mutazione. Dal lavoro all¿intrattenimento, dalla casa agli oggetti di consumo più svariati, dai processi formativi alle forme comunicative, fino alle stesse progettazioni (e spesso riprogettazioni) della vita, nulla sembra essere in grado di resistere all¿ubiquità tecnologica del digitale. Le cose, gli oggetti, il fare, vengono trasformati, ripensati, investiti da un vento di mutamento in apparenza impalpabile ma, in realtà, costante e imponente, ormai anche nel breve periodo.
In questo quadro, i tempi dei cambiamenti sembrano abbreviarsi al punto di imporre uno slittamento della dimensione temporale stessa, con un passaggio dal ¿vecchio tempo¿, quello che era possibile definire come il tempo ¿della comprensione¿ ¿ il tempo nel quale era possibile ricercare i nessi logici, sociali o storici – a quello costruito intorno all¿intuizione, che spinge sempre più alla percezione soggettiva, togliendo possibilità al racconto sociale. Sembra svanire il tempo – una volta principe delle relazioni umane – concesso e necessario agli individui e alle collettività, per comprendere, per capire; oggi, per procedere sembra essere necessario e sufficiente, sempre più imprudentemente e inconsciamente, solo l¿intuire. La stessa guerra può farsi ¿preventiva¿, cioè in risposta ad un attacco mai sferrato, ma ipotizzabile o esistente in potenza.
La scelta di passare dalla ¿comprensione¿ all¿¿intuizione¿ apre le porte alle pulsioni e alle paure più profonde, soprattutto se lo scenario ¿percepito¿ come quello della propria vita materiale diviene la dimensione mondo, una dimensione troppo complessa e in/conoscibile per essere vissuta come comprensibile. È in questo quadro che l¿altro da sé può essere facilmente trasformato (attraverso semplici operazioni mediatiche) in un avversario al quale mostrare ¿ rivendicandola in maniera autistica ¿ la propria identità. Un¿identità che si configura, nella realtà, come un elemento ormai mutante, ma esibita come un valore assoluto.
Inoltre, l¿affermarsi delle tecniche della digitalizzazione – o, se si vuole, sul piano tecnologico dei processi di informatizzazione diffusa (e quindi non solo delle attività direttamente connesse al personal computer), ed il loro integrarsi con quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana – configura profondamente alcune trasformazioni del rapporto tra il sapere e il potere, tra la consapevolezza individuale e la sua rappresentazione sociale, che stanno caratterizzando l¿occidente capitalistico in questa fase storica. È il rapporto tra i singoli individui e le istituzioni collettive, civili e politiche, quindi, che viene ad essere ridisegnato.
È l¿affermarsi di nuove organizzazioni portatrici di senso, che vanno ad affiancarsi e sovrapporsi a quelle storiche tradizionali e a quelle critiche (costruite dall¿avvento della società di massa e che avevano avuto la più alta espressione attraverso le potenti strutture prodotte dal movimento operaio, come il sindacato e il partito) che modificano le percezioni d¿appartenenza (ad esempio quelle ad una classe sociale) così come si erano affermate e consolidate nel novecento. È l¿intero mondo che, mutando ad una velocità progressiva, lacera non solo il vissuto personale, ma gli stessi tessuti sociali, che erano il frutto della possibilità di ¿raccontare¿ e, quindi, tramandare gli accadimenti e la storia all¿altro da sé. La condizione soggettiva è oscurata e non sembra più sufficiente il racconto, la sua descrizione, a rigenerare un¿identità collettiva. Ecco emergere, allora, processi di traslazione delle relazioni sociali, una sorta di piani semplificati, disponibili e proposti dalle strutture produttrici di senso; l¿appartenenza ad un territorio, ad una squadra o ad una comunità virtuale sulla rete. La dimensione collettiva riemerge modellata attraverso frammenti di un discorso sociale, che assumono una dimensione caleidoscopica e multiforme, senza una capacità di ricostruzione del vissuto sociale, ma alla ricerca di una rappresentanza e di una rappresentatività. Gli avversari divengono nemici (come pure lo divengono i vicini più prossimi) procurando una miopia sociale che nasconde la impenetrabilità prodotta dalla complessità alla quale ci si ritrova di fronte.
Quello al quale stiamo assistendo, dunque, non è la lotta tra il virtuale e il reale, come ampiamente ci era stato predetto nel decennio scorso, ma l¿integrazione, nel vissuto concreto degli individui, di potenzialità comunicative che estendono le capacità/possibilità della propria infosfera, all¿interno di una massiccia offerta fatta di tecnologie utili a questo scopo e messaggi sociali prodotti a tal fine.
Siamo in presenza, in altre parole, di quella che potremmo definire come una realtà aumentata, arricchita, cioè, da un di più di relazione tra osservato e osservatore, reso disponibile dall¿avvento delle comunicazioni digitalizzate.
Quello che era il reale e quello che è stato chiamato virtuale sono lì concretamente intrecciati a modificare strutturalmente la vita delle persone. La differenza sostanziale, però, è che questo nuovo quadro relazionale, a differenza di quelli del passato, ha sempre dietro una transazione economica. La struttura del nuovo capitalismo avvolge la condizione di vita al punto di porsi come la nuova struttura relazionale, ma ad un costo preciso, quello dell¿apparecchiatura necessaria, dei costi del collegamento, del pagamento di un servizio, di imporre un lavoro implicito.
Il senso d¿appartenenza, ineliminabile dal corpo della società e dalla percezione degli individui, riemerge trattato come una merce sul nuovo mercato dei sensi, caratteristico del cosiddetto capitalismo della conoscenza. Questo nuovo mercato si produce sia a livello individuale sia a livello di gruppo sociale. Sul primo piano la tendenza è quella di produrre in maniera mercantile tutto ciò che è gestibile dai sensi. Questo meccanismo è il cuore del cambiamento di pelle del capitalismo della conoscenza. Infatti, l¿innovazione prodotta dalle tecnologie digitali consente la possibilità di gestire, sotto forma d¿informazioni, le percezioni dei cinque sensi. Il mercato produce una sfera di informazioni che avrà una caratteristica di complessità sempre più alta.
Ovviamente l¿avvento della digitalizzazione non rappresenta il cambiamento esclusivo di questo inizio secolo; ne descrive, però, una sorta di topografia, quasi a rappresentarne una sorta di mappa genetica. Per quanto ciò sia possibile l¿analisi dell¿impatto e del senso sociale e cognitivo che essa produce, fornisce una forte capacità descrittiva dei mutamenti in atto.
Sommandosi a quelle esistenti, le nuove strutture comunicative producono una miscela che contiene, apparentemente, un alto tasso di ambiguità sia dei modelli comunicativi sia dei prodotti della comunicazione stessa, ma che rivela una ¿tensione¿, una linea di tendenza, che mira ad egemonizzare gli esiti sociali ed economici, soprattutto nei vari livelli della percezione individuale, dello scambio comunicativo, tra l¿individuo e la società, e nella struttura della conoscenza. Ambiguità sottolineata dalle modalità di affermazione delle tecnologie digitali nella sfera produttiva. L¿impatto destrutturante delle forme e dei segni delle modalità produttive precedenti ha offuscato la capacità di lettura del processo. Per i primi periodi, infatti, si parlò della fine del fordismo come dell¿ingresso in una nuova fase. In realtà, l¿ingresso delle tecnologie digitali nella produzione ha determinato, e continua a determinare ancora oggi, l¿estrapolazione più intensa della logica tayloristica, estendendo le capacità della triade della produzione scientifica fino alle più estreme conseguenze. Dovremmo parlare, infatti, del taylorismo nella fase digitale o, meglio ancora, del taylorismo digitale. Le forme della parcellizzazione della cooperazione e del controllo assumono declinazioni nuove attraverso la sussunzione all¿interno dei software e della logica della rete. La loro oggettivazione diviene pervasiva quanto impalpabile, frutto di scelte che fanno apparire fantasmi inesistenti i sistemi di potere preesistenti all¿interno delle macchine. Il controllore, spesso appare sotto la forma di una finestra di comunicazione sullo schermo a segnalare un comportamento non idoneo o inaccettabile.
Tutto ciò, inoltre, allude al modello a rete come nuovo fattore di socializzazione, modello in grado di ridefinire, attraverso la logica della struttura frattale di cui è innervata, l¿intero corpo delle relazioni umane. Organizzazioni produttive, scambi comunicazionali, forme della politica, strutture sociali, comunità reali o virtuali, si ridefiniscono attraverso la logica frattale della rete e ri-contrattano le forme di relazione e di appartenenza. La rete definisce uno spazio che non prefigura esternità e determina nuovi rapporti e forme di inclusione/esclusione.
L¿onnivoracità del processo connesso all¿avvento del digitale risiede nelle sue stesse basi costitutive. L¿informatica moderna deve la sua possibilità di sviluppo alla teorizzazione dell¿algebra di Boole fondata su una triade, di stampo dialettico-hegeliano, come quella della congiunzione, disgiunzione e negazione che sarà a fondamento dell¿avvio di un nuovo processo di razionalità. Qualche decennio più avanti, un nuova disciplina psicologica, il cognitivismo, proporrà una lettura dei processi di relazione umana fondata su una triade non troppo dissimile, conferma, negazione e disconoscimento, che sembra portare a compimento l¿¿egemonia¿ di una razionalità nuova.
Per queste ragioni, la digitalizzazione e i processi di mutazione che essa determina, vanno messi sotto osservazione dalle forze critiche e devono divenire un terreno privilegiato di sperimentazione di nuove forme di conflitto e di dialogo.
Le analisi, purtroppo, si sono incentrate spesso sulla novità del singolo impatto e non sul significato complessivo. Ogni analisi era frutto di specialismi esasperati e si soffermava su un singolo aspetto della mutazione introdotta, spesso ritenendola centrale, talvolta quasi esclusiva. Questo approccio, potremmo dire per parti separate, ha prodotto un ritardo nella comprensione della qualità del fenomeno, della sua dimensione sociale e delle trasformazioni del reale quadro della percezione individuale.
Da un lato, in altre parole, c¿era chi nell¿avvento delle tecnologie digitali vedeva la nascita di nuovi strumenti comunicativi, dall¿altro chi analizzava le nuove tecniche sotto il profilo della produzione e riproduzione di linguaggio, dall¿altro ancora chi esaminava la nuova struttura produttiva determinata dalle macchine a controllo numerico, talvolta a livello micro (con le conseguenze del lavoro nella singola azienda), talvolta a livello macro, evidenziando quella che è stata chiamata la ricorsività del ciclo, ovvero l¿avvento della cosiddetta ¿automazione ricorsiva¿. Pochi i nessi ricercati tra l¿affermazione dell¿uso di apparecchi digitali (come ad esempio i cellulari o il pc) e il consenso prodotto verso le nuove strutture tecnologiche di lavoro imposte dentro il luogo produttivo. Come contestare al Padrone il ciclo affidato alle stesse macchine usate per il tempo libero, i processi di socializzazione e, talvolta, la produzione di status symbol? Inoltre, che impatto aveva, sul piano sociale, la percezione dell¿arrivo dell¿automazione ricorsiva?
Tutti questi aspetti, però, non erano e non potevano essere disgiunti, né analizzabili separatamente – se non scontando una perdita del vero ¿senso¿ delle trasformazioni che stavano iniziando ad attraversare l¿intera società capitalistica – rispetto a quelli delle modificazioni della percezione della realtà sociale nella quale si è inseriti. I processi economici (ma anche quelli tecnologici e, soprattutto, quelli legati alle tecnologie della comunicazione) non possono essere de-embedded, cioè disassemblati, divisi, scorporati dalla matrice sociale nella quale emergono; analogamente, ma a questo si è un po¿ più avvezzi, i processi sociali non possono essere ¿scorporati¿ dalle basi materiali e tecnologiche nelle quali essi si ri/producono.
Un nuovo capitolo della storia del pensiero critico si pone come necessaria.
© 2005 Key4biz.it