Italia
Il Protocollo di Amsterdam tuttavia non può, a mio avviso, essere considerato un punto di arrivo. La riaffermazione della centralità del ruolo del servizio pubblico e della legittimità dei suoi finanziamenti, contenuta in quell¿atto comunitario, dovrebbe anzi impegnare oggi ciascun Paese europeo ad uno sforzo maggiore nella individuazione di quelle che possono essere le nuove missioni del servizio pubblico nel contesto digitale. Anche perché, non dobbiamo dimenticare che l¿UE si è riservata un controllo sulla disciplina adottata in concreto dagli Stati Membri, laddove prevede anche per i servizi pubblici radioTv l¿applicabilità del criterio di proporzionalità: quindi le deroghe alla libera concorrenza saranno ammissibili in quanto strettamente legate alle missioni che ciascun servizio pubblico si sarà dato ed in quanto non concretizzino una alterazione sproporzionata delle condizioni degli scambi e della concorrenza.
Allora se non è in discussione che lo ¿specifico europeo¿ del sistema misto sia ancora attuale, e dunque soggetti pubblici e privati che operano con pari dignità ma sulla base di presupposti diversi, quali potrebbero essere in concreto gli obiettivi che ciascuno di quei soggetti dovrebbe perseguire nell¿appena avviata stagione della televisione digitale multicanale? E quali potrebbero essere i contenuti di un servizio pubblico che sia in grado di soddisfare realmente le esigenze di carattere democratico, sociale e culturale, che ne costituiscono il presupposto e continuano, anche agli occhi della UE, a legittimarne la permanenza nell¿era del digitale?
Presupposto indispensabile di questa perdurante legittimità del servizio pubblico è a mio avviso la capacità di continuare ad assicurare il più largo accesso possibile da parte del pubblico alla propria programmazione ed ai servizi offerti. Cioè non può esistere, almeno nel contesto europeo, un servizio pubblico di nicchia. Sarebbe una macroscopica contraddizione. Come potrebbero i bisogni di cultura e pluralismo essere assicurati da un emittente marginale che concentrandosi su particolari tipologie di programmi si rivolge ad un limitato segmento di pubblico già acculturato? Al contrario, invece. la funzione di qualità della programmazione di servizio pubblico andrebbe ¿spalmata¿ su tutti i programmi, di informazione come di intrattenimento. Dunque la capacità di rispondere alla più ampia possibile domanda di consumo culturale e di pluralismo da parte di tutte le comunità del nostro territorio nazionale, non di singoli segmenti di pubblico o di audience.
Realizzato questo presupposto, allora, quali sono gli obiettivi che un emittente di servizio pubblico potrebbe in concreto realizzare nel contesto digitale multicanale? Credo innanzitutto nella sua possibilità di assolvere ad una ancora necessaria funzione di coesione nazionale, soprattutto in occasione di grandi eventi di interesse pubblico nazionale. Penso ancora alla possibilità che assuma il ruolo di apripista nei processi di innovazione tecnologica, traghettando, accompagnando il pubblico nel percorso al digitale, verso un utilizzo, quindi, il più semplice e diffuso possibile degli strumenti informatici da parte di tutti i cittadini. Ed ancora, il sostegno all¿industria dell¿audiovisivo nazionale ed europea.
Un emittente di servizio pubblico, insomma, che conservi una posizione importante nel contesto televisivo nazionale, essendo in grado di tenere testa al suo competitor commerciale.
D¿altronde mi sembra questa una direzione che hanno già preso altri Paesi Europei. Penso ad esempio al Regno Unito, dove, qualche mese fa, i vertici della BBC hanno delineato delle linee guida per il rinnovo della concessione, in un documento intitolato ¿costruire il valore pubblico¿, dove appunto il valore pubblico viene indicato come una misura del contributo che la Tv di Stato dà alla qualità della vita del Paese. Valore pubblico che in quel documento viene articolato specificamente in cinque profili: democratico, dunque informazione e notizie affidabili; culturale e creativo, attraverso la valorizzazione della cultura nazionale; educativo, offrendo al pubblico l¿opportunità di acquisire delle conoscenze; sociale, ovvero promozione della coesione e della tolleranza tra le varie comunità, attraverso una diffusa conoscenza delle loro diversità globale, capacità di promuovere il prodotto culturale nazionale all¿estero e al contempo di importare informazione dall¿estero, fornendola in modo attendibile.
Ecco, io credo che all¿interno questa cornice vi siano degli spazi in qualche modo ¿riservati¿ alle emittenti di servizio pubblico, senza che su di essi possa ipotizzarsi un intervento parimenti soddisfacente ad opera delle concorrenti commerciali.
Ma qual è lo scenario di fondo a livello nazionale in cui il nostro servizio pubblico deve oggi trovare una sua nuova collocazione?
La nuova cornice normativa in ambito nazionale è disegnata dalla legge Gasparri, a cui vorrei accennare con riguardo agli effetti che la stessa induce sul piano della competizione ma anche e innanzitutto con riferimento al suo approccio alla innovazione tecnologica.
Ho già voluto nei mesi scorsi esprimermi più volte su quest¿ultimo punto, mi sembra infatti che la nuova legge abbia l¿indiscutibile merito di instradare il nostro sistema radiotelevisivo in modo adeguato a recepire tutte le istanze tecnologiche, rafforzando inoltre, in numerose sue disposizioni, la ¿vocazione¿ del digitale terrestre a costituire un¿opportunità di sviluppo della convergenza tra i diversi sistemi di comunicazione ed una fondamentale occasione di crescita per il mercato televisivo. Mi sembra cioè che l¿opportunità adesso offerta dalla tecnologia digitale di espandere il sistema nazionale, a sostegno della presenza delle imprese italiane nel mercato nazionale ma anche nei mercati internazionali, uscendo dalla situazione di ¿rachitismo¿ che lo ha caratterizzato per anni, sia colta a pieno dalla nuova legge.
Si tratta dunque di un reale passo avanti, importante e positivo, per un Paese come il nostro che nel passato ha perso non poche occasioni di mettersi al passo con lo sviluppo delle nuove tecnologie.
Nello stesso senso, trovo adeguato ai tempi l¿approccio verso la ¿convergenza¿ che la legge sceglie laddove abbatte steccati e misure, ereditate dal passato e ormai anacronistiche, a protezione di singoli segmenti e mercati, a favore invece di un nuovo sistema integrato delle comunicazioni. Non entro nel merito della già molto dibattuta questione relativa ai potenziali rischi che, alla effettiva tutela del pluralismo, potrebbero essere posti dalla straordinaria, probabilmente eccessiva ampiezza dei mercati di riferimento che vanno a comporre il SIC. Mi limito solo a richiamare il fatto che, in ogni caso, l¿impianto della disciplina sulle ¿posizioni dominanti¿ nei media ridisegnato nella Gasparri, sembra essere adeguato al nuovo ambiente tecnologico basandosi, in conformità al dettato normativo comunitario, sulla distinzione tra fornitore di contenuti ed operatori di rete. Mentre, infatti, per gli operatori di rete la legge non fissa norme speciali, che peraltro potrebbero scoraggiare i cospicui investimenti richiesti per la costruzione di reti digitali, per i fornitori di contenuti la legge opera su due piani: da un lato fissa per ogni emittente obblighi di equilibrio e imparzialità nell¿informazione (il c.d. pluralismo interno) estesi a tutto l¿anno; dall¿altro, in accordo con la linea comunitaria, punta a rafforzare le garanzie alla concorrenza sul mercato mediante valutazioni ex post basate su vari criteri e affidate all¿Autorità di settore.
Insomma, se fino ad un paio di anni fa la spinta al cambiamento rimaneva ancora frenata dalla separazione dei diversi segmenti che compongono il sistema – giornali, tv, radio, libri ecc ¿ e dalla sua scarsa internazionalizzazione anche in termini di investimenti esteri in Italia, il sistema integrato delle comunicazioni introdotto dalla legge Gasparri da una parte, e, credo, anche la crescente diffusione delle parabole per la ricezione di Sky dell¿ultimo anno, mi sembra abbiano definitivamente destabilizzato l¿assetto complessivo delle comunicazioni italiano ereditato dal decennio precedente. Forse per la prima volta nella storia dei media nel nostro Paese, il sistema nel suo complesso verrà ¿regalato¿alla dinamica competitiva o, se vogliamo usare una terminologia più tecnica, ¿regolato¿ dalla dinamica competitiva.
Insomma credo che siano, tutti quelli a cui ho accennato, cambiamenti che hanno significativamente mutato la prospettiva con cui gli operatori guardano al loro business. E, una volta adottato anche il Testo Unico in materia radiotelevisiva, che dovrebbe andare a completare l¿ampia azione di riordino e allineamento al diritto comunitario della materia della ¿comunicazione¿, sarà dunque questo l¿impianto con il quale l¿Italia dovrà costruire una propria via italiana alla multimedialità.
Anche per il fatto dell¿essere questa una materia fortemente caratterizzata dalla continua accelerazione dei processi di innovazione tecnologica, immagino comunque che alcuni aspetti della nuova disciplina di settore necessiteranno ancora di ulteriori approfondimenti in sede tecnica e probabilmente in un futuro, non so quanto prossimo, di adeguamenti o integrazioni normative. In questo senso ho già altre volte parlato della opportunità della c.d. flessibilità legislativa, ovvero una legislazione che – con approccio flessibile, pragmatico e privo di eccessive certezza – vada via via adeguandosi allo sviluppo del mercato delle comunicazioni elettroniche.
Vorrei concludere su questo punto, evidenziando che, definite già le piattaforme e le figure di operatori del digitale terrestre, se è vero che i contenuti con la loro veicolabilità su diverse piattaforme tecnologiche, su una pluralità di canali distributivi si pongono ora al centro del nuovo scenario competitivo, è importante che si crei certezza anche sulla loro regolamentazione. E proprio sul tema dei contenuti nell¿era digitale, vorrei ricordare che l¿Isimm ha recentemente dato vita insieme alla FUB ad una associazione che si chiama proprio Input-contenuti digitali.
L¿esigenza di mantenere, nel periodo di transizione ai new digital media, un level playing field tra i soggetti operanti sul mercato, non fa venir meno l¿esigenza di sanare, nel prossimo futuro, alcune ingiustificate disparità di trattamento oggi esistenti a livello comunitario e, conseguentemente, negli ordinamenti nazionali tra la disciplina applicabile al broadcasting e quella prevista per i servizi della Società dell¿Informazione. E mi riferisco soprattutto ad alcuni servizi le cui differenze tecniche sono del tutto irrilevanti per l¿utente, ma ricevono ancora un trattamento giuridico profondamente diverso.
Ma, su questo punto, a Bruxelles, il dibattito sulla riforma della direttiva ¿Tv senza frontiere¿ è ancora aperto.
Insomma, credo che ormai sia necessario regolamentare tutte le dinamiche competitive, sia che si giochino tra le diverse piattaforme distributive di contenuti televisive ¿ satellite, cavo, digitale terrestre più le due nuove DSL e telefonia mobile ¿ sia che si giochino tra fornitori di contenuti all¿interno delle singole piattaforme distributive. Ovviamente penso ad un assetto regolamentare che sia compatibile anche con le esigenze di tutela dei diritti di proprietà intellettuale e più specificamente con i diritti di esclusiva sui contenuti, che pongono problemi e di tipo concorrenziale e di tipo legislativo.
Modifiche e adattamenti normativi, investimenti, sperimentazioni tecnologiche e di nuovi modelli di business, stanno insomma andando avanti e il digitale terrestre diviene sempre più una realtà del nostro Paese. Che ruolo può ritagliarsi, in tutto questo, il nostro servizio pubblico?
Ho già prima accennato al fatto che a mio avviso le emittenti di servizio pubblico, a determinate condizioni (separazione contabile, ecc.), continuano a giocare un ruolo essenziale nel nuovo scenario multimediale.
E credo anche che alla luce di quanto finora detto sul cammino dell¿Europa, ed il richiamo va naturalmente anche alla Costituzione Europea, la scelta della privatizzazione della Rai, come indicata nella legge Gasparri, sollevi più di un interrogativo, anche in rapporto appunto con l¿indirizzo comunitario e con quanto si sta realizzando in tutti gli altri Paesi europei.
Non credo sia questa la sede adatta per approfondire questo argomento, richiederebbe una relazione a sé. Avviandomi alla conclusione del mio intervento, quindi, vorrei solo limitarmi a confermare quanto ho già altre volte avuto occasione di dire, ovvero che il mutamento del sistema di cui ho cercato di indicare oggi alcuni caratteri essenziali, mette in luce, in linea con l¿orientamento comunitario, la necessità di un rinnovato ruolo del servizio pubblico con nuove e decisive missioni nell¿interesse della comunità nazionale. E ciò, mi sembra, è anche reso necessario dal fatto che il sistema istituzionale che aveva il baricentro e la fonte di legittimità nel Parlamento è divenuto ormai obsoleto, anche per il passaggio dal sistema proporzionale a quello maggioritario.
Necessità di una nuova governance del servizio pubblico, quindi, attraverso una ridefinizione dei meccanismi legislativi, organizzativi e finanziari sui quali oggi si regge la Rai.
Discorso questo, che abbiamo già avuto modo di iniziare ed esplicitare in precedenti occasioni e che Isimm si ripromette di approfondire in future iniziative.
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Per ulteriori approfondimenti, leggi:
Convergenza, modelli di competizione e nuovo ruolo del servizio pubblico. L¿evoluzione del sistema audiovisivo italiano nella Ue