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Mediaset si dice assolutamente estranea ai fatti ipotizzati nelle congetture dell¿accusa, nel merito dell¿inchiesta condotta dalla procura milanese sulla cessione di diritti cinematografici al Gruppo italiano di media.
In un comunicato l¿azienda commenta che ¿L¿inchiesta si trascina ormai da più di tre anni ed è animata da una sterile volontà di spettacolarizzazione cui fa eco la consueta grancassa mediatica¿.
Per il Gruppo ¿non può che essere questo l¿obiettivo che ha ispirato, per ben due volte in tre mesi, l¿invasione degli uffici aziendali ad opera di drappelli di una trentina di uomini per sequestrare documentazione obsoleta, inutile ed eccedente l¿ambito di indagine¿.
Ogni volta sono stati compressi i diritti di difesa e si è trascurato persino di identificare la documentazione asportata, impedendo così alla società di conoscere quali e quanti documenti siano stati acquisiti al fascicolo processuale.
L¿azienda ritiene che l¿accusa si basa non su prove, ma su un teorema privo di alcun elemento di sostegno e il ripetersi a brevi intervalli di perquisizioni spettacolari ne è dimostrazione evidente. ¿Qui di fittizio ci sono solo le ipotesi dell¿accusa¿.
Nella nota si legge ancora ¿Non possiamo accettare che si offenda senza ragione la reputazione di Mediaset a cui sono dirette attenzioni giudiziarie mai riservate a nessun Gruppo industriale italiano, nemmeno a quelli che avrebbero davvero meritato la vigilanza della magistratura quantomeno per prevenire gravi danni ai risparmiatori e all¿intero sistema Italia¿.
Nel merito, Mediaset non può che ribadire quanto già detto da anni.
Da Cologno Monzese fanno sapere che ¿I diritti cinematografici acquistati dalla società sono veri, esistenti, qualitativamente ineccepibili. Sono stati regolarmente messi in onda ed hanno concorso a determinare i successi di audience del Gruppo. Tali diritti sono stati acquistati a prezzi di mercato e da operatori del settore, conosciuti sul mercato ed accreditati presso le varie rassegne internazionali¿.
Insomma, Mediaset ha operato in un contesto di concorrenza vera sotto il profilo degli acquisti e delle audience collegate agli stessi. E tutto questo è assolutamente dimostrato.
Il comunicato di Mediaset arriva ad alcuni giorni di distanza dalla perquisizione che gli uomini della Guardia di Finanza hanno effettuato nei suoi uffici, nell”ambito dell”inchiesta sulla compravendita dei diritti Tv in cui sono indagati, fra gli altri, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il presidente della società Fedele Confalonieri, e i due figli del premier, Marina e Pier Silvio Berlusconi.
I finanzieri, nell¿ambito della perquisizione, hanno raccolto oltre 100 faldoni di documenti che riguardano acquisizioni da Gruppi esteri di diritti televisivi nel periodo che va dal 1994 al 1999.
L¿indagine riguarda la compravendita di diritti televisivi e cinematografici acquistati da due società off-shore della Fininvest (Century One e Universal One), e poi rivenduti a Mediaset, per 470 milioni di euro, negli anni 1994-1996.
Secondo la procura di Milano, alcune major americane avrebbero venduto i diritti televisivi a due società off-shore, le quali li avrebbero poi rivenduti con maggiorazione di prezzo a Mediaset, che avrebbe ereditato dopo la quotazione in Borsa del 1994 il sistema operativo di Fininvest.
Il tutto, con l¿obiettivo di aggirare il fisco italiano e creare fondi neri nella disponibilità di Berlusconi.
I benefici sarebbero stati ottenuti attraverso la Legge Tremonti. Per questa stessa inchiesta, il gip Maurizio Grigo sta valutando la concessione della proroga delle indagini, chiesta dalla Procura della Repubblica, per Silvio Berlusconi. Altri indagati sono Giorgio Vanoni, Candia Camaggi e il dirigente della Arner Bank, Paolo del Bue.
Lo scorso anno, accanto all¿accusa di frode fiscale e falso in bilancio, si è profilata una ulteriore ipotesi di reato: quella di appropriazione indebita aggravata, che allo stato attuale per la Procura non è prescritta, e che si riferisce a 103 miliardi di vecchie lire prelevati in contanti dalla Banca della Svizzera Italiana di Lugano, in più tranche e nel giro di un anno e mezzo, fino al luglio del 1994.
Autore dei prelievi, secondo le indagini e l”analisi della documentazione bancaria, fu Paolo Del Bue.
Ora gli inquirenti stanno cercando di capire dove sia finito quel denaro, sul cui utilizzo non sono state ottenute indicazioni. Gli investigatori tuttavia ipotizzano che Silvio Berlusconi, seppur allora non ricopriva alcuna carica nell¿organico di Mediaset, sarebbe dietro le operazioni e sarebbe stato l”ultimo destinatario della somma.
Nel maggio 2003, i Pm di Milano Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale avevano inviato al ministero, come prevede la legge, la richiesta di assistenza giudiziaria negli Stati Uniti. Il 10 giugno 2003, da Roma era arrivata a Milano la conferma: la rogatoria era stata regolarmente inoltrata all”autorità diplomatica statunitense.
La risposta da Roma arrivò il 18 luglio 2003 e riguardava non solo la rogatoria statunitense, ma anche l”integrazione a un”altra richiesta rogatoriale in Svizzera, datata 20 maggio 2002: a causa dell”entrata in vigore della legge sull”immunità parlamentare per le cinque più alte cariche dello Stato, il guardasigilli Roberto Castelli aveva deciso di acquisire un parere pro-veritate.
Tutti gli indagati hanno respinto le accuse. Secondo la difesa le società off-shore erano estranee al Gruppo Fininvest.
Intanto ieri sera, dalla Fininvest, è arrivata anche la smentita alla notizia pubblicata sul settimanale l”Espresso in edicola oggi, che riferiva che Silvio Berlusconi starebbe studiando il modo di ridurre la sua partecipazione in Mediaset. Fininvest ha spiegato che non è allo studio alcuna operazione sulla partecipazione.
Secondo l”Espresso “entro il 2006, il destino di Mediaset, di una sua parte almeno, dovrà prendere una strada diversa da quella della famiglia Berlusconi. I consiglieri del principe sono al lavoro. Bisogna trovare il modo più indolore e più proficuo per sciogliere il legame troppo stretto tra il premier e la sua creatura televisiva”.
Le ipotesi allo studio sarebbero due. “La prima è una semplice azione di vendita. E prevedrebbe la cessione di Mediaset a fondi internazionali“. Secondo il settimanale “L”idea è di lasciar andare il 30%, perdendo così la maggioranza, pur rimanendo un socio influente ai limiti del controllo. Ma ha un difetto: potrebbe rivelarsi troppo costoso. Porterebbe un eccesso di plusvalenze, quindi troppe tasse da pagare”.
La seconda ipotesi prevede di suddividere le azioni Mediaset nel portafoglio di tre o quattro fondi, nei quali confluirebbero significativi pacchetti Telecom. A quel punto, il premier non avrebbe più azioni delle Tv, ma quote di fondi che incorporano sia Mediaset che Telecom.
In serata è arrivata la smentita di Fininvest che precisa come “di fronte al reiterarsi di voci sul futuro di Mediaset, voci che ormai sconfinano nella fantascienza, Fininvest non può che ribadire per l”ennesima volta la più secca delle smentite: non è allo studio alcun tipo di intervento relativo alla quota che la stessa Fininvest detiene in Mediaset”.
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