Italia
di Barbara Di Salvo
Socio Studio Legale
Portolano Colella Cavallo Prosperetti
Introduzione: l¿origine della sponsorizzazione
Nonostante sia nato relativamente di recente, il contratto di sponsorizzazione è una delle figure giuridiche più note del diritto sportivo, ma d¿altronde la sponsorizzazione è per sua natura sotto gli occhi di tutti, visto il suo fine spiccatamente pubblicitario che ne spiega anche l¿origine e la diffusione così ampia in un così breve tempo.
Il passaggio dalla natura decoubertiana a quella professionistica dello sport, unito all¿importanza sempre maggiore della pubblicità, ha reso quasi inevitabile la nascita di tale figura capace di riunire due mondi apparentemente così lontani quali l¿industria e lo sport.
Da un lato, infatti, lo sport professionistico diventava sempre più diffuso, anche grazie all¿attenzione rivoltagli dai mass media.
Allo stesso tempo, la natura stessa del professionismo, aveva comportato un lievitare notevole dei costi che quindi necessitava, e necessita sempre più, di continue risorse finanziarie.
Dall¿altro lato, l¿industria vedeva accrescersi l¿importanza della pubblicità e la necessità di trovare sempre nuovi ed originali mezzi per poter porre in evidenza i propri marchi ed i propri prodotti.
Quindi, ingenti risorse da investire nella pubblicità e desiderio di raggiungere il maggior numero possibile di potenziali consumatori, dal lato dell¿industria, bisogno crescente di risorse finanziarie e diffusione enorme sui mass media e presso il pubblico, dal lato dello sport, non potevano non creare l¿inevitabile connubio perfetto: la sponsorizzazione.
Natura e qualificazione della sponsorizzazione
Data l¿origine, facilmente si spiega la funzione di questo contratto, ossia quella di consentire allo sponsor di pubblicizzare, in via indiretta, il proprio marchio ed i propri prodotti tramite il soggetto sponsorizzato e l¿attività sportiva da questi svolta.
Non altrettanto facile è stato per la dottrina darne una qualificazione giuridica precisa.
È infatti, ormai fallito il tentativo, della dottrina più conservatrice di inquadrare il contratto di sponsorizzazione all¿interno di uno degli schemi tipici previsti dal nostro ordinamento.
Più opportuno, accettarne la sua ormai conclamata atipicità, riconosciuta anche dalla Cassazione, in un alcune importanti sentenze in materia.
Al di là della contorta e, per certi versi incompleta, definizione data a questo contratto dalla Suprema Corte, queste sentenze sono, comunque, fondamentali perché hanno, implicitamente o direttamente, considerato meritevoli di tutela gli interessi sottesi al contratto stesso, con ciò riconoscendone la piena validità nell¿ambito dall¿autonomia privata delle parti di cui all¿art. 1322 c.c.
Peraltro, ciò era inevitabile una volta ammessa la piena patrimonialità delle prestazioni previste nel contratto di sponsorizzazione, ed, in particolare, del diritto allo sfruttamento economico del proprio nome e della propria immagine.
Ad oggi, quindi, il contratto di sponsorizzazione potrebbe definirsi come un contratto atipico con cui lo sponsorizzato concede, dietro corrispettivo, allo sponsor il diritto di pubblicizzare i propri prodotti e la propria azienda attraverso l¿associazione degli stessi al nome ed all¿immagine dello sponsorizzato, nonché attraverso sia variegate prestazioni dello sponsorizzato sia attività dello sponsor stesso, a cui lo sponsorizzato, pur potendolo, si impegna a non opporsi.
Il collegamento, i mass media ed il ritorno pubblicitario
Al di là delle reciproche obbligazioni delle parti, però, è importante notare che nel contratto di sponsorizzazioni si riscontrano tre elementi fondamentali che lo caratterizzano.
Il primo è sicuramente il ¿collegamento¿ dello sponsor allo sponsorizzato, a volte definito ¿accostamento¿, altre, in modo atecnico, ¿abbinamento¿.
Più che di una prestazione vera e propria, si tratta, infatti, di una caratteristica fondamentale del contratto di sponsorizzazione, che emerge dallo stesso come una conseguenza di tutte le varie obbligazioni assunte e come scopo fondamentale del negozio, se non addirittura come causa stessa del contratto.
Se il fine a cui tende lo sponsor è, infatti, la pubblicità del suo marchio e dei suoi prodotti, il primo e fondamentale mezzo per ottenerla risiede proprio nel solo poter associare gli stessi al nome ed all¿immagine dello sponsorizzato.
Come hanno dimostrato gli esperti della comunicazione, già solo questo collegamento, infatti, comporta, a livello più o meno subliminale, il far sì che il pubblico associ lo sponsor (o il suo marchio) alle qualità o alle caratteristiche dello sponsorizzato o delle attività che egli pratica, inducendoli a preferire un prodotto piuttosto che un altro.
È evidente, pertanto, l¿importanza sempre maggiore che assume, la concessione allo sponsor del diritto di fregiarsi della qualifica di ¿sponsor ufficiale¿, ¿sponsor tecnico¿, ¿fornitore ufficiale¿.
La stessa qualifica di ¿sponsor di…¿ acquista così un vero proprio valore patrimoniale, quasi di attestazione di qualità, alla stessa stregua dei «fornitori ufficiali della Real Casa» di antica memoria.
Il secondo elemento fondamentale è poi il ruolo svolto dai mass media in questo settore, posto che, senza questi ultimi, l¿ambito di diffusione del messaggio pubblicitario sarebbe molto più ridotto, con ovvie ripercussioni sul corrispettivo del contratto stesso.
La sponsorizzazione si rileva, peraltro, in molti casi persino più appetibile e conveniente rispetto ai sistemi pubblicitari tradizionali, anche solo ove si considerino i picchi di audience provocati da determinati eventi, o trasmissioni sportive, la ripetitività, di determinate azioni di gioco, persino nei telegiornali e giornali non specializzati, al di là poi dei costi necessari per trasmettere, per esempio, uno spot di pochi secondi, rispetto alla possibilità di vedere il proprio marchio trasmesso gratuitamente innumerevoli volte. Per tralasciare poi che ben pochi italiani si sognerebbero di fare lo zapping proprio durante la trasmissione di un goal.
Il terzo elemento caratterizzante è, quindi, il fine palese che si prefigge ciascuno sponsor: il ritorno pubblicitario.
Bisogna chiarire, però, che, è opinione ormai consolidata che il ritorno pubblicitario costituisca semplicemente un motivo del contratto, o meglio dello sponsor, ma non certo un diritto soggettivo di quest¿ultimo, né quindi un obbligo a carico dello sponsorizzato.
Questo ha evidentemente notevoli ripercussioni, sulla disciplina del contratto, in primo luogo nel non poter ritenere il ritorno pubblicitario fonte di un obbligazione di risultato dello sponsorizzato. Il mancato ritorno pubblicitario non può perciò costituire, fonte di inadempimento del contratto stesso, ma semmai solo il metro con cui valutare la diligenza dell¿adempimento dello sponsorizzato.
Come vedremo, però, pur non essendo, quindi, un¿obbligazione vera e propria, tuttavia l¿importanza del ritorno pubblicitario quale fine ultimo del contratto e delle obbligazioni dello sponsorizzato, è, tuttavia, fondamentale per comprendere meglio la natura e la disciplina di tali obbligazioni, e per la corretta interpretazione del contratto stesso.
Obbligazioni delle parti
Per quanto concerne le obbligazioni delle parti nel contratto di sponsorizzazione, qui la casistica è incredibilmente variegata, tanto quanto l¿illimitata fantasia degli addetti al marketing.
Nella prassi contrattuale si ritrovano, comunque, una serie usuale di obbligazioni e di clausole contrattuali che possono ormai definirsi tipiche, e che possono essere suddivise in determinati gruppi
Nel primo gruppo, quello più semplice, ci sono le obbligazioni a carico dello sponsor, che il più delle volte si riducono al solo pagamento del corrispettivo e a volte alla fornitura di beni e servizi allo sponsorizzato.
Ben più ampio è il secondo gruppo, cioè le attività che lo sponsor compie, con il consenso dello sponsorizzato per pubblicizzare i propri prodotti o il proprio marchio, sfruttando il collegamento con lo sponsorizzato.
Qui la fantasia è notevole, ma ovviamente varia da sponsor a sponsor, a seconda del prodotto che pubblicizza, del tipo di campagna pubblicitaria che intende realizzare e ovviamente degli investimenti che intende sostenere.
Quello che è importante notare, però, è che non si tratta di obbligazioni, ma di facoltà dello sponsor che discendono dal contratto stesso, grazie al consenso prestato dallo sponsorizzato.
Consenso espresso che è perciò fondamentale perché in assenza di questo lo sponsorizzato potrebbe ovviamente opporsi a buona parte di queste attività. Si pensi per esempio all¿uso della propria immagine.
Estrema attenzione va quindi prestata alla redazione delle relative clausole contrattuali in cui dovranno essere, specificate tutte le facoltà attribuite allo sponsor, precisando che sussiste il relativo consenso, nonché le modalità ed i limiti territoriali e temporali.
Ampie e fantasiose potranno essere, poi, le obbligazioni a carico dello sponsorizzato, che potranno variare notevolmente a seconda dei diversi tipi di sponsorizzati e dello sport praticato.
Tornano qui in rilievo i concetti di collegamento e di ritorno pubblicitario sopra evidenziati, perché indubbiamente tali obbligazioni saranno legate da questi comuni denominatori. Se, infatti, da un lato, le obbligazioni saranno tutte per lo più destinate a porre in evidenza, in tutte le forme possibili che la fantasia può suggerire, tale collegamento, dall¿altro lato, le attività stesse saranno necessariamente tutte indirizzate al fine di far ottenere allo sponsor il maggior ritorno pubblicitario, o meglio a porlo nelle migliori condizioni per ottenerlo.
Indubbiamente una delle clausole più comuni è quella relativa all¿apposizione del marchio dello sponsor in tutti i luoghi possibili utilizzabili dallo sponsorizzato.
Anche in questo caso, però, è importante che le clausole contrattuali siano estremamente dettagliate nello specificare esattamente le forme, le misure ed i luoghi i cui lo sponsorizzato si obbliga ad apporre i marchi dello sponsor.
Infatti, nonostante si ritenga che questa sia una delle obbligazioni principali dello sponsorizzato, senza una pattuizione specifica che dia concretezza a questo obbligo, non si può ritenere lo sponsorizzato obbligato comunque a specifiche ¿etichettature¿.
Fondamentale, in questo caso, è poi l¿attenta analisi dei regolamenti federali perché le Federazioni non sono tutte permissive come la F.I.A. e la F.I.M., ma anzi tante pongono severi limiti nella dimensione e nel numero dei marchi che si possono apporre.
Parzialmente diverse possono essere poi le clausole previste a carico dello sponsorizzato quando questi sia, non uno sportivo vero proprio, ma l¿organizzatore di una particolare manifestazione o evento , come, ad esempio, le Olimpiadi.
Sempre più frequente diviene, altresì, l¿apposizione di clausole che obbligano gli atleti sponsorizzati a partecipare ad avvenimenti promozionali e pubblicitari, conferenze stampa, manifestazioni organizzate dallo sponsor, se non di divenire testimonial.
Qui in particolare, ma non solo, emergono forse i maggiori rischi di attrito tra gli atleti e le squadre di appartenenza, soprattutto quando gli atleti siano legati a sponsor diversi e magari concorrenti con gli sponsor del loro club. È evidente che qui il ritorno pubblicitario sarebbe decisamente a rischio.
Nonostante qualche incertezza iniziale, si riconosce infatti agli atleti la possibilità di gestire autonomamente la propria immagine, mentre al club di appartenenza è data la possibilità di gestire le immagini della squadra nel suo complesso, principalmente in forma collettiva e nello svolgimento dell¿attività sportiva.
Tale doppia gestione può, però, facilmente comportare notevoli problemi.
La via preferibile sembra, peraltro, quella scelta dalla Associazione Italiana Calciatori, che già da tempo ha stipulato apposite convenzioni con le Leghe Calcio Professionistiche e la Federazione Italiana Giuoco Calcio, disciplinando così la soluzione dei contrasti, anche con lo specifico obbligo di inserire determinate clausole di richiamo in tutti i contratti di sponsorizzazione.
Per gli altri sport, invece, è sicuramente opportuno inserire clausole che regolino specificamente questi eventuali contrasti.
Disciplina del contratto di sponsorizzazione
Indubbiamente, quindi, come in ogni contratto, è fondamentale nella redazione delle clausole essere il più previdenti e lungimiranti possibili, e cercare di disciplinare tutte le situazioni che si possono presentare, soprattutto patologiche.
Si sa che se le parti vanno d¿amore e d¿accordo, infatti, anche i contratti più semplici e peggio scritti possono funzionare. Ma è proprio quando le parti entrano in conflitto che un contratto ben fatto e dettagliato si dimostra fondamentale. Per questo è consigliabile prendere spunto anche dalla prassi contrattuale che ormai si è formata per colmare le lacune.
Nella sponsorizzazione questo è ancora più evidente, perché si tratta di un contratto atipico, quindi non ci si può facilmente affidare al codice civile per risolvere tutti i problemi.
È proprio per risolvere questi casi che la dottrina ha tentato di inquadrare il contratto di sponsorizzazione, o delle parti spezzettate in schemi contrattuali tipici che potevano sembrare simili, ma lo sforzo è quanto mai arduo e tante volte non soddisfa.
Se, quindi, il contratto non dovesse essere sufficiente a risolvere i problemi, vi sono però delle strade alternative. Qui, sarà compito del giudice, o il più delle volte dei collegi arbitrali, trovare all¿interno dell¿ordinamento giuridico i principi necessari a definire i casi, non regolamentati, utilizzando, gli strumenti messi loro a disposizione dalla legge stessa, in particolare dall¿art. 1374 c.c., come l¿analogia, e poi l¿equità e, di nuovo, la prassi commerciale, che si dimostra decisamente importante.
Le lacune del contratto potranno, pertanto, essere colmate dal giudice grazie ai criteri generali di integrazione ed interpretazione del contratto, tra cui soprattutto l¿intenzione delle parti ed il fine da loro perseguito.
Ecco che qui si comprende, perciò, tutta l¿importanza dell¿elemento del ritorno pubblicitario, di cui sopra.
Come detto, si tratta del fine principale perseguito dallo sponsor e palesato allo sponsorizzato, che si dimostra fondamentale soprattutto per individuare gli esatti obblighi di diligenza e di buona fede nell¿esecuzione del contratto, imposti allo sponsorizzato dall¿art. 1375 c.c..
D¿altronde, questo è stato finora il metro seguito dalla giurisprudenza nei pochi casi in cui si è occupata della materia, e che ha indotto i giudici a ritenere fonte di inadempimento, di risarcimento dei danni e, a volte, persino risoluzione del contratto determinati comportamenti contrari a buona fede, che avevano irrimediabilmente leso l¿immagine e la reputazione commerciale dello sponsor, e così compromesso la possibilità per quest¿ultimo di ottenere l¿auspicato ritorno pubblicitario.
Il canone del ritorno pubblicitario può poi dimostrarsi di notevole aiuto non solo per i casi di inadempimento, ma anche per quelli in cui il conseguimento del ritorno pubblicitario sia diventato impossibile o gravemente compromesso per il verificarsi di eventi estranei alla sfera di influenza delle parti, come ad esempio modifiche della normativa legale e federale sulla possibilità di pubblicizzare determinati prodotti, fallimento del club sponsorizzato, retrocessione dettata da motivi amministrativi invece che sportivi o grave infortunio dell¿atleta sponsorizzato.
In questi casi, , potranno essere eventualmente utilizzati, con le dovute cautele, i rimedi previsti dalla legge, ad esempio, per l¿impossibilità della prestazione o l¿eccessiva onerosità sopravvenuta.
Indubbiamente, però, anche in questo caso, il consiglio è sempre quello di redigere dei contratti il più completi possibile, prevedendo per esempio delle apposite condizioni risolutive, date le difficoltà interpretative e l¿inevitabile alea del giudizio, da cui non si sfugge.
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