Italia
Proseguiamo la pubblicazione degli interventi al Seminario: “Rethinking the european ICT Agenda” tenutosi a Roma il 27 settembre 2004, organizzato da Puntoit e Key4biz.
di Luigi De Vecchis
Amministratore delegato
Siemens Mobile Communications
L¿Agenda di Lisbona ha correttamente identificato in una maggiore diffusione ed utilizzo di tutte le tecnologie dell¿Informazione e della Comunicazione una delle principali leve per colmare il gap tuttora esistente tra lo sviluppo economico della UE e quello di Stati Uniti e Paesi Asiatici. Tutto però sta ad indicare che seppur qualcosa è stato fatto, difficilmente gli obiettivi dell¿Agenda saranno raggiunti in assenza di ulteriori interventi urgenti, mirati ed incisivi.
Particolarmente critica in questo contesto è la situazione dell¿Italia.
Malgrado gli interventi per la diffusione della larga banda, la cultura dell¿ICT in Italia stenta a prendere piede e questo è un pericolo e un rischio per la competitività di tutto il Sistema Paese.
Perché l¿ICT italiano recuperi il terreno perso e colmi il divario tecnologico che lo separa dal resto dei paesi più sviluppati sono quindi necessarie ulteriori azioni.
Pervasività dell¿ICT
Se siamo veramente convinti che l¿ICT è un elemento necessario e indispensabile allo sviluppo e alla competitività del nostro Paese allora esso, prima ancora di essere oggetto di azioni specifiche, deve costituire una componente essenziale di tutti i grandi progetti, dai trasporti alla logistica, alla distribuzione dell¿energia alla sicurezza.
Sarebbe assurdo, ad esempio, pensare di realizzare dei ¿corridoi¿ destinati a convogliare attraverso al nostro Paese gran parte del traffico merci del sud Europa senza provvedere contemporaneamente a dotarli di infrastrutture ICT di avanguardia che consentano un efficace controllo del traffico e della sicurezza di merci e persone e che offrano a chi viaggia infrastrutture di comunicazione ed informazioni di livello adeguato.
Ruolo della Pubblica Amministrazione
E¿ un dato di fatto che in Paesi come gli Stati Uniti ed il Giappone la Pubblica Amministrazione svolga un ruolo determinante nella diffusione delle nuove tecnologie, contribuendo spesso anche direttamente con commesse di ricerca di notevole entità al loro sviluppo.
Anche se il modello americano (largamente basato su commesse di origine militare) risulta difficilmente replicabile in Europa, questo non significa che la nostra PA, sia centrale che locale, non possa fare molto di più per favorire lo sviluppo dell¿ICT nel nostro Paese.
Andrebbe innanzitutto accentuato il carattere innovativo degli investimenti ICT della PA Centrale, evitando che ci si limiti ad adottare tecnologie consolidate, quando non addirittura superate. Nell¿assegnazione delle commesse andrebbero poi ovviamente favorite le aziende che si impegnino a sviluppare quanto più possibile dell¿innovazione richiesta nel nostro Paese, piuttosto che limitarsi ad importarla dall¿estero.
Andrebbe anche evitata l¿eccessiva frammentazione della domanda della PA locale, che non di rado nella definizione delle sue scelte e delle sue priorità segue criteri più campanilistici che funzionali. Una maggiore aggregazione di tale domanda favorirebbe inoltre anche lo sviluppo delle PMI che normalmente la soddisfano, assicurando loro non solo un allargamento del mercato nazionale ma anche una maggiore generalità (e quindi anche una maggiore esportabilità) delle soluzioni sviluppate.
Soluzioni ICT armonizzate e condivise da tutte le PA locali permetterebbero poi di aumentarne diffusione e fruibilità nei rapporti con i cittadini e con le imprese, che meglio ne percepirebbero utilità e benefici. In particolare la PA locale potrebbe funzionare da ¿volano¿ per le PMI costringendole di fatto, nel rapporto quotidiano, ad utilizzare le infrastrutture e i sistemi da essa adottati nell¿erogazione dei servizi e quindi a dotarsi anch¿esse dello stesso grado di innovazione. E¿ solo in questo modo che si può sperare di accelerare nelle PMI lo sviluppo di una cultura informatica, che in assenza di riferimenti e normative precise difficilmente potrà svilupparsi in modo autonomo in tempi brevi.
Formazione e Ricerca
L¿informatizzazione, la sua penetrazione ed il suo sviluppo partono senza dubbio dai nostri ragazzi e dalle scuole. Ma queste hanno bisogno di un progetto e di risorse economiche dedicate che non lascino alla buona volontà dei Presidi o dei Professori e alle scarse risorse economiche delle singole scuole il compito di introdurre l¿innovazione tecnologica nei programmi scolastici.
Non si dimentichi che crescita e diffusione di Internet negli Stati Uniti si sono sviluppate a partire dalle reti universitarie e non, come si vorrebbe da noi, da quelle commerciali (che ne sono state invece una ricaduta). Questo ovviamente non significa che la scuola debba entrare in competizione con gli operatori di telecomunicazioni, ma solo che lo sviluppo di un¿infrastruttura ICT a larga banda per la scuola (e così anche per la PA) non deve risultare in alcun modo condizionata da interessi commerciali, ma deve anzi prevedere di dotarsi infrastrutture e mezzi propri ogniqualvolta manchi un¿offerta commerciale adeguata e competitiva.
Quanto alla Ricerca vera e propria, sicuramente si sta già dicendo facendo molto: ben vengano quindi il programma lanciato da Pistorio in Confindustria o i dieci settori prioritari indicati dal Ministro Moratti, purchè ovviamente li si attuino con determinazione e costanza, senza uscire dai binari segnati e dai progetti definiti.
Determinazione e focalizzazione sui progetti sono condizioni necessarie dettate da tempi veloci e fondi mai sufficienti.
Troppo spesso infatti i fondi inizialmente stanziati si sono prima radicalmente ridotti per poi dispersi in infiniti ed inutili rivoli.
Il ruolo delle Grandi Imprese
Si parla molto e giustamente del ruolo della PMI nello sviluppo dell¿ICT.
Si tende però spesso a dimenticare che nell¿High Tech in generale e nell¿ICT in particolare grandi imprese e PMI non sono antagoniste, ma piuttosto complementari e sinergiche.
Basti pensare che le PMI high-tech di successo nascono spesso da spin-off di grandi aziende o sono fondate da persone che nei laboratori di ricerca delle grandi aziende hanno fatto il loro tirocinio e hanno sviluppato le loro idee. Inoltre, la maggior parte di esse vive proprio grazie alle commesse (anche di ricerca) affidate loro dalle grandi aziende, che vi trovano naturalmente quella flessibilità e quella specializzazione di cui ben si sanno incapaci. E¿ poi, in genere, solo attraverso le grandi aziende che le PMI hanno reali possibilità/opportunità di affacciarsi efficacemente anche sui mercati internazionali.
La persistente debolezza delle PMI nel nostro Paese (che già si caratterizza, rispetto agli altri Paesi tecnologicamente avanzati, per un forte squilibrio tra grande e piccola-media industria a favore di quest¿ultima) non dipende quindi tanto dalla mancanza di supporto pubblico quanto piuttosto dal progressivo indebolimento delle grandi aziende che ne costituiscono il riferimento. Si tratta a tutti gli effetti di un ecosistema che per sopravvivere ha bisogno di uno sviluppo armonico di tutte le sue componenti e che invece oggi ne vede una (quella delle Grandi Imprese) fortemente penalizzata e a volte misconosciuta. Senza togliere sostegno alle PMI bisogna quindi trovare meccanismi per rivalutare, rilanciare e sostenere anche la ricerca delle grandi imprese.
Globalizzazione e Offshoring
Che la globalizzazione sia un fenomeno inarrestabile ed incontrastabile è ormai un fatto acquisito, così com¿è per fortuna acquisito anche il fatto che esso debba essere gestito così da contribuire ad aumentare il benessere di tutti anzichè a diminuirlo.
Nell¿aprire i ricchi mercati occidentali alla competizione globale si è sempre insistito sul concetto di reciprocità, applicandolo però di fatto solo ai beni in se stessi e non al modo in cui questi sono stati prodotti o alle condizioni sociali ed economiche di chi vi ha lavorato.
Se non vogliamo che nel lungo termine la nostra disponibilità (ma forse anche un poco la nostra avidità) porti ad abbassare il livello di benessere che ci siamo faticosamente conquistati invece che contribuire ad elevare quello di chi non ne ha alcuno, è forse giunto il momento di allargare il concetto di reciprocità per includervi anche una adeguata salvaguardia dei diritti umani e delle condizioni di vita, nostre e loro.
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Per ulteriori approfondimenti, consulta:
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Documenti Ue sullo sviluppo dell”Ict europeo