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SAT Expo 2004 anche per parlare di investimenti nel settore dell¿Information Technology. Se ne è parlato ieri nell¿occasione della tavola rotonda ¿Finanziare l”innovazione. Prospettive e nuovi strumenti per il finanziamento dell”innovazione nel settore dello Spazio¿, organizzata da ASAS – Associazione per i Servizi, le Applicazioni e le Tecnologie ICT per lo Spazio – e Federcomin (Confindustria).
L¿anno 2004 è stato definito “dell¿innovazione”. In realtà il gap di investimenti per l¿innovazione, rispetto all¿Europa, sta oggi aumentando. E raggiunge i 19 miliardi di euro.
Una delle cose più interessanti del convegno l¿ha detta Marco Pascucci, del ministero per le Attività Produttive.
¿Gli americani ¿ riferisce Pascucci ¿ sostengono che per ogni dollaro investito in innovazione spaziale ne ritornano sul mercato non meno di 10¿.
Un rapporto uno a dieci è un vero business, altro che moltiplicatore di Keynes. Occorre (ovvio) che le invenzioni vengano “volgarizzate”, cioè applicate, utilizzate nell¿industria. Infatti alla Nasa uno scienziato è preposto alla divulgazione pratica.
¿A me ¿ sottolinea Pascucci ¿ basterebbe un rapporto di uno a quattro. Avremmo risolto il problema della ricerca in Italia. Avanzerebbero anche soldi per tamponare il vecchio debito pubblico¿.
Arturo Artom (Confindustria ¿Abi) punta le carte su un tavolo assai più prossimo e cioè sul ri-finaziamento della legge Sabatini, che buona prova ha dato a suo tempo per gli investimenti meccanici, legge anche oggi utilizzata a livello regionale.
Funziona così: il fornitore vende la sua tecnologia ad un¿azienda scontando gli effetti presso la sua stessa banca. Cioè ottenendo subito il contante. Ora, dal tornio, il provvedimento si amplia e viene applicato a beni immateriali, tipo know-how, hi-tech e così via.
I soldi stanziati sono 160 milioni di euro in tre anni. Un buon inizio, comunque un punto di riferimento che nell¿allegato alle legge finanziaria (avverrà nel prossimo ottobre) vedrà un buon compagno e cioè un provvedimento (detto ¿conto digitale¿) che in pratica agevola le aziende che intendono rinforzare la propria informatizzazione.
Paolo Varaldo, direttore generale di Federcomin, nota che il gap tecnologico italiano rispetto alle maggiori nazioni europee equivale a quasi 20 miliardi di euro. Una voragine. Come riempirla?
Vediamo le priorità: incentivi fiscali automatici quinquennali, ad esempio limando o eliminando l¿Irap. Poi: agevolazioni nazionali a bando, con fondo rotativo e forte significato economico per progetti non inferiori ai 200 mila euro. Infine: altri finanziamenti sul tipo della legge Sabatini.
Il sostegno allo sviluppo della banda larga ¿ afferma Varaldo ¿ va ripetuto e incentivato. Come? Mediante un regime fiscale favorevole agli investimenti, privilegiando i termini formativi (quindi a livello di software) e non solo con l¿occhio fisso all¿hardware, tipico del “apitale paziente” Che ovviamente scarseggia di suo.
¿Siamo gli unici in Europa ¿ sottolinea Varaldo ¿ a considerare la telefonia mobile come un bene di lusso¿: serve pertanto un quadro normativo nuovo che da un lato sfrondi la giungla dei regolamenti – pensiamo ai gineprai dei diritti di passaggio – e dall¿altro consideri invece l¿innovazione come un obiettivo-Paese.
Insomma, il buco nero degli investimenti nell¿innovazione tecnologica è iniziato nel ¿99, all¿epoca della famosa bolla speculativa e praticamente da allora non ci si è mai ripresi. Se la piccola e media industria non si appropria fino in fondo della “cultura digitale” entro 5 anni potrebbe soccombere non solo rispetto la Cina, ma anche rispetto la Francia, la Germania e altri paesi d¿Europa.
¿Gli investitori ¿ osserva Roberto Del Giudice dell¿Aifi – affidano i propri denari agli operatori con questo avvertimento: investi dove vuoi, meno che sul tecnologico¿.
Offerta e domanda non s¿incontrano in nessun luogo, non si comprendono e non vogliono intraprendere insieme né business né rapporti.
Un rimedio?
Favorire la nascita di fondi specializzati – di intervento pubblico – che utilizzano “formule di mercato“.
Il guaio: in Italia l¿innovatore non è mai anche imprenditore.
Questo succede (solo?) negli Usa. Se per Sergio Ristuccia di Spazio Venture Capital esistono potenziali nicchie dove è possibile trasferire processi dallo spaziale ad altri campi, ¿la scarsità e anzi la riluttanza dei privati ad investire costringe la parte pubblica ad un ruolo unico nel campo spaziale¿, afferma Fabrizio Gardini di Techstema.
Per Gardini si rendono necessari gli “incubatori”, che servono appunto a sfruttare le opportunità commerciali per applicazioni civili e sociali di derivazione spaziale.
Carlo Felicioni di Mediocredito lamenta quanto poco in Italia si investa nell¿innovazione (l¿1%). Ma l¿accordo Basilea 2 può costituire una chance per le Pmi che hanno i conti in ordine. Queste aziende possono ottenere finanziamenti molto agevoli e concessi con criteri oggettivi.
La legge Tremonti bis non raggiungerebbe invece un obiettivo condivisibile perché non finanzia la ricerca, ma premia l¿esistente.
I soldi vanno assegnati alle idee autentiche. E invece gli interventi a pioggia prosperano ancora, mentre i finanziamenti privilegiano il sud d¿Italia in modo del tutto esclusivo.
¿La nostra azienda spaziale produce piani con 3 anni di scadenza ¿ dice Pascucci. – La Nasa li fa quarantennali¿.
Ci manca una precisa strategia, i grandi programmi: gli unici che generano fiducia, è la conclusione di Alberto Ciavoli Cortelli.
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