Italia
di Sergio Bellucci
Responsabile Dipartimento Comunicazione
e Innovazione tecnologica del PRC
Il confronto tra l¿Europa e gli USA, anche sul terreno della comunicazione, assume le sembianze di un vero e proprio confronto generale. Regole, standard, concentrazione, grandi gruppi, giocano una battaglia complessiva che non allude solo al controllo di un comparto economico, ma ad una idea di relazione tra corpo sociale, sue rappresentazioni e ruolo dell¿economia.
La prossima legislatura europea si troverà impegnata fortemente sul terreno della definizione di un nuovo quadro normativo per il sistema della comunicazione. Sentenze, pronunciamenti, risoluzioni, tutto sembra segnalare una forte preoccupazione, di istituzioni di diverso livello e grado, verso i meccanismi di concentrazione nel mondo dei mass media. L¿efficacia degli interventi, però, sembra fortemente limitata dalle spinte neoliberiste di questi anni.
Tutto, inoltre, si complica con la convergenza digitale. Gli strumenti di comunicazione si moltiplicano e si ibridano. Il telefono tende a trasformarsi sempre di più in uno strumento per veicolare e ricevere immagini e suoni, mentre la televisione si trasforma in uno strumento di trasporto di contenuti informatici e il computer tende ad essere usato per la telefonia attraverso internet. Questo processo, che viene raccontato per le sue dinamiche tecnologiche, ridisegna, in realtà, anche gli assetti di controllo dei poteri nella comunicazione.
Le imprese editoriali, quelle radiotelevisive e quelle delle telecomunicazioni tendono a incrociare le partecipazioni o a produrre nuove avventure imprenditoriali, delineando i poteri di controllo sulla circolazione delle informazioni e dei contenuti culturali. Il terreno delle regole, invece, arranca di fronte alla complessità dei sistemi e alla complessiva impreparazione di fronte ai cambiamenti che le tecnologie digitali comportano. L¿innovazione digitale, però, ha prodotto un processo di diffusione di massa di apparati di comunicazione come mai era accaduto nella storia. I mille occhi elettronici di Genova hanno segnato, da questo punto di vista, l¿affermarsi di una nuova consapevolezza, la possibilità di porre nuove domande e la determinazione a dare nuove risposte. La ridefinizione dello spazio pubblico nella comunicazione, ad esempio, è uno dei terreni nuovi con i quali confrontarsi.
Negli ultimi decenni l¿idea dello spazio pubblico radiotelevisivo era affidata al solo ruolo diretto dello Stato. Così non era, ad esempio, per quanto riguarda la stampa o il cinema. Oggi lo spazio pubblico può essere ridefinito con una articolazione di garanzie che, pur non mettendo in discussione il ruolo e lo spazio del servizio pubblico radiotelevisivo, stabiliscano le modalità di accesso alle reti, la possibilità di produrre contenuti, di poterli veicolare. È il nuovo quadro dei diritti d¿accesso e di comunicazione che va ridefinito. Il diritto a comunicare, infatti, si configura come uno dei nuovi diritti fondamentali contemporanei.
L¿arrivo del digitale terrestre dovrebbe offrire la possibilità di un salto di qualità.
La ricerca di tale passaggio, però, deve essere incentrarsi sul superamento dei deficit prodotti dalla guerra dell¿etere che ha contraddistinto il nostro Paese. Una guerra che ha imposto la legge del mercato e del monopolio, come sua naturale conseguenza, sopra ogni cosa, sopra ogni bisogno sociale, sopra ogni elemento di garanzia democratica.
Ora l¿opposizione deve dire cosa vuole per il domani del sistema della comunicazione. E in primo luogo deve dire cosa intende fare sul sistema televisivo di domani, quello nel quale il digitale sarà un fatto compiuto. Se si rimane dentro lo schema della televisione digitale che è stata prospettata dal ministro Gasparri, dovremmo rassegnarci a vedere il controllo di pochi sulla televisione di tutti. L¿illusione di una televisione dalla quale estrarre ulteriori ricavi oltre la pubblicità, attraverso i micro-pagamenti di servizi di cui non si vede all¿orizzonte neanche un¿idea di killer Application (come direbbero gli esperti¿), serve solamente ad impedire una riforma che utilizzi il digitale per aprire i servizi radiotelevisivi ai soggetti che fino ad oggi ne sono stati esclusi. O peggio ancora, trasformare l¿introduzione della nuova tecnologia trasmissiva per determinare una nuova posizione dominante come sta producendo il gruppo Mediaset attraverso l¿accaparramento dei diritti sportivi del calcio, in una situazione di monopolio dell¿offerta.
Per questo serve una idea di riforma totalmente nuova. Un¿idea che butti nel cestino le illusioni distribuite a piene mani in questi mesi solo allo scopo di abbonire, di ingannare sul livello di concentrazione e di controllo sull¿intero sistema da parte di un sol uomo. Io propongo una inversione di rotta totale anche rispetto alle leggi prodotte dal centro sinistra sulla transizione al digitale. Il primo punto riguarda il tema della proprietà delle frequenze.
Bisogna superare il quadro legislativo che consente di trattare le frequenze (bene pubblico utilizzato temporaneamente da un soggetto imprenditoriale) come un ramo d¿azienda, una struttura che è possibile vendere ad altri soggetti. Nel campo televisivo, infatti, si opera come in quello della telefonia di terza generazione dove, però, le frequenze furono messe all¿asta (pubblica) e pagate sonoramente dalle società acquirenti. Un differente trattamento, in epoca di convergenza, sembra non più sostenibile. Far tornare le frequenze in mano all¿autorità pubblica, potrebbe garantire la possibilità di aprire realmente l¿offerta comunicativa a segmenti imprenditoriali, sociali, culturali e politici che, con le attuali regole, rischiano di restare fuori impoverendo la dialettica e il pluralismo.
Occorre utilizzare le risorse sbloccate dalla transizione al digitale attraverso una riforma del sistema che definisca sostanzialmente tre ambiti differenti, tre tipologie di servizi radiotelevisivi, con tre statuti diversi.
In primo luogo, serve un rilancio dell¿idea di servizio pubblico. Occorre uno statuto che ne garantisca l¿autonomia, a partire da quella delle professioni, e lo metta al riparo dallo strapotere dei governi in carica.
Bisogna pensare, in secondo luogo, alla creazione di uno spazio radiotelevisivo di servizio. Questo spazio deve differenziarsi da quello di servizio pubblico (generalista) per una offerta affidata da un lato allo Stato e agli enti pubblici per offrire forme di approfondimento specifico, servizi di formazione permanente, servizi interattivi per sportelli con enti, e dall¿altro lato una offerta comunicativa, ricercata e sostenuta, che parta dal basso, dalla società, dalle associazioni, dai sindacati, dai partiti. In altre parole dall¿autorganizzazione della società civile e politica del Paese.
Il terzo spazio, con un suo statuto autonomo e interno, con regole di concorrenza proprie e una separazione netta con la sfera politica (sia direttamente, sia indirettamente attraverso incompatibilità forti ed estese). La televisione digitale, allora, potrebbe sperimentare in libertà nuove forme di linguaggi, nuovi contenuti, intrecci tra intrattenimento e servizi che il quadro attuale non è in grado di sperimentare.
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