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L¿organizzazione di difesa della libertà d¿informazione Reporters sans Frontières ha lanciato un ¿appello alla vigilanza¿ sull¿atteggiamento dei diversi governi mondiali nei confronti dell¿informazione in Rete, in occasione della pubblicazione del secondo rapporto annuale ¿Internet sotto sorveglianza¿.
Il rapporto analizza la situazione della libertà d¿espressione su Internet in circa 60 Paesi e tira le somme sull¿atteggiamento dei diversi governi nei confronti della libera circolazione delle idee sul web.
Il primo evidente riscontro di questa dettagliata osservazione è che i diritti degli internauti, degli editori e dei giornalisti on line hanno subito una forte regressione dopo gli attentati dell¿11 settembre.
La lotta al terrorismo ha in effetti causato un rafforzamento del controllo della Rete, sia nelle democrazie che nei regimi totalitari.
Quattro Paesi ¿ Cina, Vietnam, Maldive e Siria ¿ continuano ad arrestare i loro cittadini, colpevoli di frequentare siti ritenuti sovversivi, mentre la censura delle pubblicazioni non cessa di estendere la sua portata, grazie allo sviluppo di strumenti e tecnologie sempre nuove per il filtraggio della Rete.
In questo contesto, Cina e Vietnam sono i maestri incontrastati, ma anche i Paesi arabi, l¿Iran, la Tunisia continuano a bloccare l¿accesso a un numero molto importante di siti, da quelli pornografici ai magazine indipendenti, passando per quelli religiosi e delle associazioni a difesa dei diritti umani.
¿Con 61 internauti incarcerati al 1° maggio 2004, la Cina è la più grande prigione al mondo per i cyberdissidenti¿, dichiara RsF.
La Cina è anche il Paese che ha adottato le più sofisticate tecnologie di intercettazione delle comunicazioni elettroniche e di censura della Rete.
La Tunisia, denuncia ancora RsF, adotta invece una strategia più ¿camuffata¿ ma ugualmente efficace: nell¿aprile del 2003, nove giovani internauti sono stati condannati a pene fino a 26 anni di prigione per avere scaricato da Internet dei documenti ritenuti pericolosi dalle autorità.
Al peggio, però, non c¿è mai fine: alcuni Paesi infatti adottano una strategia ancora più radicale.
Cuba, la Birmania e la Corea del Nord riservano l¿uso di Internet a una piccola minoranza della popolazione piuttosto che investire in costosi sistemi di sorveglianza.
Anche le democrazie ¿ denuncia RsF ¿ hanno però cominciato a limitare le libertà individuali degli internauti, con lo scopo di lottare contro lo sviluppo dei contenuti pedofili, di collaborare allo smantellamento di reti terroriste, di proteggere le loro industrie culturali contro la pirateria e la violazione del copyright.
I diversi governi, tuttavia, faticano a trovare un equilibrio tra il diritto di espressione degli internauti, il rispetto della privacy e degli investimenti finanziari sempre più massicci.
E così, dice ancora RsF, nella maggior parte dei regimi democratici, Internet è sotto il giogo di un regime giuridico meno rispettoso della libertà d¿espressione rispetto ai media tradizionali.
Fermo restando il giusto intervento nei confronti dei siti pedofili, xenofobi e razzisti che proliferano sul Web, bisogna però ricordare che questi siti non rappresentano che il 3% del traffico totale della Rete.
I poteri pubblici non possono e non devono ignorare questi siti: gli appelli alla violenza, il terrorismo, i messaggi inneggianti all¿odio di qualsiasi tipo vanno combattuti, sempre però rispettando le libertà e evitando la confusione.
Che la sicurezza faccia spesso il paio con alcune limitazioni della nostra libertà, dunque, non deve sconcertare a priori ma a due condizioni: i legislatori devono inquadrare tutte queste misure e la polizia deve sempre agire sotto il controllo dei magistrati.
Il rapporto di RsF descrive situazioni molto differenti una dall¿altra, non bisogna dimenticarlo: non si può mettere sullo stesso piano regimi dove l¿assolutismo è la regola e altri dove gli errori possono essere commessi, ma si può anche rimediare.
Ecco perché, spiega l¿associazione, il rapporto non va letto come una sorta di hit parade dei regimi più repressivi del cyberspazio, ma piuttosto come un appello alla vigilanza sull¿operato dei diversi Paesi e sull¿immagine delle democrazie, dove ancora è possibile denunciare abusi ed errori.
In Italia, in base allo studio di RsF, la lotta al terrorismo è una priorità del governo: questo obiettivo ha causato l¿adozione di misure ¿pericolose per la libertà degli individui¿.
Passiva da molto tempo, continua l¿associazione ¿¿la società civile ha alzato la voce, nel 2004, riguardo la conservazione dei dati relativi al traffico Internet¿.
La situazione nel nostro Paese è tuttavia definita ¿buona¿.
Il 9 aprile 2003, l¿Italia ha adottato un decreto legislativo che traspone le direttive europee sul commercio elettronico. Il parlamento ha comunque interpretato il testo europeo in maniera equilibrata, senza cadere negli eccessi, ad esempio, della legislatura francese.
Gli host possono essere ritenuti responsabili dei contenuti che diffondono se sono a conoscenza del loro carattere illegale, essi però non possono censurare una pagina Web se un organo competente non ha giudicato il suo contenuto come ¿illecito¿.
La validità di questa interpretazione della direttiva europea, che rifiuta l¿instaurazione di una ¿giustizia privata della Rete¿, deve ora essere esaminata dalla Commissione europea.
Nel giugno del 2003, è stato poi adottato un decreto sulla protezione dei dati personali che include anche un parafraso sullo spam: i giudici possono sollecitare un ISP a bloccare un server basato all¿estero se lo si ritiene responsabile dell¿invio massiccio di posta spazzatura.
Questo tipo di misura ¿ spiega SfR ¿ ha degli effetti secondari pericolosi: in effetti è attualmente impossibile per un ISP sapere se, bloccando un server spam, non va ugualmente a bloccare l¿accesso a centinaia di pagine Internet perfettamente inoffensive.
Questo testo doveva infatti essere accompagnato da una sorta di codice deontologico che però non è ancora stato elaborato.
Infine, per quanto riguarda la conservazione dei dati del traffico Internet, il Consiglio dei ministri ha adottato il 23 dicembre 2003, un decreto a modifica del codice della privacy del 30 giugno 2003, subito soprannominato ¿Decreto Grande Fratello¿.
Se il testo fosse stato adottato nella sua versione originale, gli ISP avrebbero avuto l¿obbligo di tenere a disposizione dei giudici, per cinque anni, tutte le informazioni riguardo la navigazione e le comunicazioni via eMail dei loro clienti.
Il decreto ha però suscitato le forti critiche dell¿opposizione e dei difensori delle cyberlibertà e soprattutto ha dato luogo alla precisa presa di posizione del garante della privacy, Stefano Rodotà.
Nella versione finale adottata dai legislatori italiani, dunque, è stata escluso sia il traffico Internet che le eMail: gli ISP restano obbligati a collaborare con la giustizia nel quadro di un¿inchiesta, ma non sono obbligati a conservare i dati che transitano in Rete, se non quelli relativi a un pagamento.
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