Italia
Sono particolarmente lieto di notare come in questa sala siano presenti oltre ai protagonisti del mondo imprenditoriale, anche esponenti di primissimo piano nel campo dei mezzi, delle Concessionarie, delle Agenzie e della professione, oltre che alcuni graditi rappresentanti delle istituzioni.
Lasciatemi interpretare questa autorevole e larga partecipazione come segno di apprezzamento per l¿attività dell¿UPA e anche come indizio di fervido interesse per i problemi della pubblicità.
Ricordo che vent¿anni fa, quando ho assunto la guida dell¿UPA, questi argomenti erano da molti considerati come secondari, interessanti solo per gli ¿addetti ai lavori¿.
Oggi le cose sono del tutto diverse e la comunicazione, in Italia come altrove, è diventata uno degli elementi fondamentali dello sviluppo civile ed economico.
Vorrei dire di più. In un contesto come quello attuale, in una situazione per molti versi critica e difficile, la comunicazione acquisisce un ruolo ancora più importante: può e deve diventare un fattore determinante per la ripresa del Paese e per il ripristino di quella fiducia cha manca da lungo, da troppo tempo.
So che quello dello stato d¿animo del pubblico dei consumatori è un problema molto complesso la cui soluzione non dipende solo da noi. Ma se tutti insieme, come protagonisti della comunicazione, faremo ogni sforzo per contribuire a risolverlo riusciremo ad imprimere un¿accelerazione robusta ad una ripresa che è ancora troppo timida.
E¿ vero che dopo quel fatidico 11 settembre la lista dei fatti negativi che ci hanno colpito, sul piano internazionale e su quello nazionale, costituisce un elenco interminabile e che tutti i settori della vita civile ed economica ne sono stati indeboliti ma è anche vero che il peggio sembra essere passato e che la tendenza alla ripresa che si è registrata nell¿agosto-settembre dell¿anno scorso dovrebbe consolidarsi.
Permane ancora nel Paese una depressione psicologica generalizzata, permane un clima di sfiducia che molte recenti indagini hanno rilevato come diffusa e preoccupante.
C¿è ancora vischiosità nel mercato, c¿è la tendenza, anche da parte dei tanti che possono farlo, a limitare gli acquisti o a rimandarli nel tempo.
C¿è quindi l¿esigenza di uno scrollone, di forti iniezioni di ottimismo, di fiducia, di alacrità.
E in questo la comunicazione può svolgere un ruolo fondamentale e insostituibile. Dobbiamo contribuire a riproporre la logica dei desideri, dei progetti, dell¿entusiasmo e del coraggio.
Sappiamo bene che i problemi sono ancora tanti, che il terrorismo rimane minaccioso, che conflitti, contrasti e rischi permangono sullo scacchiere internazionale, che l¿intera Europa non è ancora riuscita ad agganciarsi ai ritmi di crescita degli Stati Uniti e che l¿Euro ha provocato, soprattutto da noi, scompensi superiori al prevedibile.
Ma sappiamo anche che con i pericoli del terrorismo dobbiamo imparare a convivere, che la fase acuta delle guerre in Afghanistan e in Iraq è probabilmente alle nostre spalle, che la rapida crescita di alcuni paesi asiatici costituisce per noi una sfida e quindi anche uno stimolo e un¿opportunità, che gli effetti negativi dell¿Euro sono destinati ad essere assorbiti per lasciar spazio invece agli effetti positivi, di cui non si parla quasi mai. Ricordiamoci che se non avessimo avuto lo scudo dell¿Euro i recenti e clamorosi disastri finanziari ci avrebbero trovato senza protezione, con effetti svalutativi e inflattivi di grandi dimensioni.
Tentiamo ora di ricreare nelle famiglie quella stessa fiducia che hanno dimostrato le Aziende, che con coraggio e con lungimiranza stanno rinnovando i loro prodotti e i loro servizi e dedicano investimenti crescenti alla pubblicità. Le Imprese hanno saputo utilizzare la comunicazione e la pubblicità come fattore anticiclico, non disinvestendo ma anzi mantenendo e aumentando i loro stanziamenti anche nei momenti in cui il mercato dava segni di rallentamento e il pubblico era abulico e impigrito.
Questo ha consentito alle Imprese di mantenere un solido rapporto di fiducia con il consumatore, un rapporto che è rimasto tale anche di fronte agli scandali finanziari che ho appena citato. Il pubblico ha capito che essi erano circoscritti, limitati ai comportamenti di singole Imprese e a responsabilità individuali.
Sono stati gli investimenti in comunicazione e in pubblicità che, oltre a rafforzare la notorietà delle marche, hanno contribuito a non far scendere ma anzi a consolidare, la fiducia degli italiani nei confronti delle Aziende di marca.
Ormai da molti mesi gli investimenti delle Imprese in pubblicità stanno crescendo con un tasso che si aggira sul 3%. E¿ un segnale significativo e incoraggiante perché sappiamo che la pubblicità rappresenta un elemento propulsore e anticipatore della ripresa economica.
Una ripresa che va agevolata con tutte le forze da parte dei pubblici poteri, con un¿adeguata politica di rilancio e di incentivazione, con un robusto e urgente programma di riforme, con tagli alla spesa corrente, con interventi idonei ad affrontare i grandi problemi dell¿economia.
Per l¿Impresa che intende investire in pubblicità, i percorsi rischiano di diventare sempre più aspri e difficili. A rigore di logica dovrebbe avvenire il contrario: a chi investe si dovrebbero spalancare le porte, non certo chiuderle.
Eppure anche oggi si stanno studiando nuovi provvedimenti giuridici e legislativi che rischiano di circoscrivere la comunicazione pubblicitaria entro limiti sempre più angusti.
A Bruxelles si sta pensando di applicare norme comunitarie che definirei punitive, quasi che si volesse arrivare gradualmente ad un vero e proprio ostracismo nei confronti della pubblicità.
Anche in Italia si stanno predisponendo alcune normative che ci preoccupano non poco e ci mobilitano in continuazione.
Mi limito a citare il disegno di legge sulla disciplina della pubblicità e delle promozioni dei prodotti alcolici oltre alle norme che sono in via di predisposizione, da parte del Ministero della Salute, sulla pubblicità di alcune tipologie di prodotti alimentari.
Gravi minacce, che rischiano di moltiplicarsi in un Paese come il nostro dove, come è stato ribadito in un recente Convegno di giuristi e di esperti, la materia pubblicitaria è regolata in maniera esaustiva e stringente e l¿emanazione di ulteriori vincoli altro non farebbe che chiuderla in spazi sempre più ristretti, soffocandone la libera espressione e riducendone i livelli di creatività e quindi di efficacia.
Da molti anni la pubblicità italiana si sviluppa su di un piano di correttezza e di veridicità in quanto è controllata in maniera sapiente e illuminata dall¿Istituto di Autodisciplina, dal suo Codice e dal suo Giurì, a cui tutti, non solo il mondo produttivo e quello degli operatori, ma anche le autorità pubbliche, attribuiscono qualità elevatissime di obbiettività, di efficienza e di celerità.
Continuare a legiferare in materia, ponendo limiti penalizzanti, non ha alcun senso e risulta fortemente disincentivante.
La nuova Legge Gasparri sul riassetto radiotelevisivo ci appare nel suo complesso apprezzabile perché favorisce e regola l¿introduzione di nuovi mezzi nel nostro sistema a cominciare da quelli digitali.
Grazie alla nuova legge, entrata in vigore lo scorso 6 maggio, accanto alle emittenti televisive e radiofoniche tradizionali si potranno sviluppare nuovi canali che si avvarranno delle più avanzate tecnologie e che daranno al pubblico una più ampia possibilità di scelta.
La nuova legge, a differenza della precedente, prevede nel tempo che gli stessi soggetti possano essere proprietari sia di mezzi di stampa che di mezzi televisivi, rendendo così possibile lo sviluppo dei gruppi editoriali italiani che altrimenti si sarebbero trovati in condizioni di netta inferiorità rispetto ai giganti europei e internazionali che non hanno limiti alla loro crescita.
Ma il nostro apprezzamento per la legge Gasparri, che ci affianca ai più moderni e avanzati sistemi europei e che apre la strada ad un ulteriore sviluppo del nostro sistema di telecomunicazioni, non significa adesione incondizionata a tutti i punti della normativa.
Sul problema della prevista privatizzazione della Rai probabilmente non si è riflettuto abbastanza, né in sede di predisposizione della legge né durante la discussione alle Camere né dopo l¿entrata in vigore della norma.
La Rai non è solo una grande azienda. E¿ un¿istituzione di fondamentale importanza per la cultura, per l¿informazione, per l¿intrattenimento di tutto il Paese.
Sarebbe inopportuno e rischioso privatizzarla, tanto più smembrandola e vendendola a pezzi a nuovi proprietari indefiniti e incontrollabili che a loro volta, data la polverizzazione delle quote che è prevista, non sarebbero nemmeno in grado di controllarla.
La Rai è un patrimonio prezioso che va preservato gelosamente oltre che esteso e potenziato. E¿ naturale che un servizio televisivo pubblico, come avviene da anni e non solo in Italia, si trovi al centro di polemiche, di critiche, di spinte e di controspinte.
Ma questo deriva proprio dal suo ruolo fondamentale e imprescindibile. E¿ giusto che essa rimanga pluralistica con i suoi canali e con la molteplicità dei suoi programmi.
Crediamo pertanto di dover invitare il legislatore a ritornare sulla materia e ad individuare soluzioni univoche che prevedano il mantenimento della holding Rai e lo sviluppo coordinato e sinergico delle sue diverse componenti.
Vorrei anche ribadire in questa sede che i canali televisivi e radiofonici della Rai costituiscono un insieme di mezzi oltremodo preziosi per le Aziende che investono in pubblicità. Se la Rai venisse ridotta in frammenti e venduta ad acquirenti incontrollabili correremmo il rischio di non poter più contare sulla sua forza compatta e sull¿efficacia di messaggi trasmessi a milioni e milioni di persone, con conseguenze deleterie per tutto il Paese sul piano economico, distributivo, commerciale e occupazionale.
Le Aziende hanno bisogno di vedere crescere, non di veder diminuire gli ambiti per la loro comunicazione e la loro pubblicità. Rischiamo invece di essere schiacciati da una parte per effetto di norme sempre più restrittive e cogenti e dall¿altra dal ridimensionamento e dalla frammentazione dei mezzi che, pubblici o privati che siano, hanno saputo guadagnarsi una posizione di solidità e di successo nel corso di lunghi anni in cui hanno accompagnato e spesso trainato lo sviluppo del nostro Paese.
Comprimere gli spazi della comunicazione e della pubblicità vuol dire disincentivare gli investimenti, ivi compresi quelli che possono pervenire da altri Paesi. Vuol dire soffocare un¿economia che noi tutti invece vorremmo veder lievitare in tempi rapidi insieme con la diffusione di un benessere esteso e crescente.
In un paese che soffre per la carenza di grandi Imprese dobbiamo far sì che la comunicazione e la pubblicità agevolino lo sviluppo delle Aziende piccole e medie e le aiutino a diventare grandi.
Gli imprenditori sono pronti a fare la loro parte, sono pronti ad investire e a rischiare quando hanno la percezione che esistano i presupposti per
Il primo di questi presupposti è la vivacità del mercato, la ripresa cioè degli acquisti e dei consumi. Noi stessi, come UPA, ci siamo mobilitati in questo senso promuovendo una campagna rivolta all¿opinione pubblica per l¿incitamento all¿acquisto non solo come soddisfazione per sé e per gli altri ma anche come atto che contribuisce allo sviluppo dell¿economia nazionale.
Una campagna simbolica e significativa che è risuonata però tra le poche voci di incoraggiamento e di fiducia in lunghi periodi di scoramento e di pessimismo.
Come dicevo all¿inizio, la pubblicità deve contribuire a cambiare gli umori e gli stati d¿animo del Paese.
Forse andrebbe rivisto qualche messaggio dai toni cupi, deprimenti, ansiogeni o allarmanti, così come appare opportuno evitare formule obsolete e stereotipate che alla fine tolgono forza e attrattiva ai messaggi pubblicitari.
C¿è bisogno di un salto di qualità e di innovazione in tutta la filiera che parte dall¿industria e dal suo marketing e procede via via attraverso le fasi di carattere commerciale, distributivo e pubblicitario, senza trascurare, naturalmente i mezzi di comunicazione.
Se noi non sapremo realizzare nei fatti e in tempi brevi questa grande opera di innovazione (non di restyling ma di autentica innovazione) rischiamo di non reggere le grandi sfide di un mercato internazionale sempre più agguerrito e competitivo.
Ci troviamo di fronte da un lato ad un consumatore che ha minore disponibilità, o almeno si percepisce come tale, e dall¿altro di fronte a una generale saturazione dei beni e dei servizi.
Per smuovere un consumatore già sazio e per invertire il trend negativo dei consumi non c¿è che una strada, quella di allettare, stimolare e colpire il pubblico degli acquirenti con proposte sempre nuove, diverse e sorprendenti.
Ma alla fantasia, all¿innovazione e alla creatività si devono impegnare anche, in forte misura, le agenzie di pubblicità, le centrali media e i mezzi di comunicazione.
Il tema della creatività pubblicitaria è talmente importante che mi induce ad affrontarlo e ad analizzarlo anche in questa occasione assembleare.
Negli anni scorsi, sollecitato sui problemi della creatività da molti miei colleghi, presidenti, amministratori delegati o comunque leader di grandi aziende, ho espresso alcuni commenti e anche alcune critiche, manifestando qualche preoccupazione.
Nei giorni successivi ho letto controrepliche di alcuni creativi in cui si sosteneva, in sostanza, che la nostra creatività era più che buona e la nostra preoccupazione eccessiva.
Così quest¿anno, pur avendo avuto molti input da parte dei miei colleghi su questo argomento, mi limiterò a riportare i giudizi di alcuni dei principali creativi italiani, rifacendomi alle loro dichiarazioni e alle loro interviste apparse sulla stampa.
Non ne farò i nomi, anche se ciascuno di voi potrà controllare l¿esattezza di quanto dico verificandola sulla carta stampata dello scorso mese di aprile.
Un noto creativo e serio professionista dichiara: ¿Le alchimie finanziarie ci hanno fatto perdere la creatività dando enfasi alla ottimizzazione e togliendone alla professionalità. Dalle fusioni tra Agenzie il mercato italiano esce un po¿ massacrato, non c¿è una realtà che sia sana e vivace, tutti con i lividi. A fronte di un mercato che avrebbe bisogno di più qualità, si offrono invece prodotti scarsi¿.
Un altro creativo, altrettanto noto e affidabile dichiara: ¿Oggi si discute solo di fatturato, clienti, management. Da un lato i clienti chiedono più creatività ma dall¿altro le agenzie si organizzano in maniera anti creativa. E i clienti, alla lunga, se ne accorgeranno perché il risultato è solo un abbassamento generalizzato della qualità del prodotto finale¿.
Potrei fare altre citazioni, sempre traendole dalle dichiarazioni apparse in questi ultimi mesi. Questa consapevolezza, che noi condividiamo, da parte degli stessi professionisti non può che essere uno stimolo a cambiare le cose, a fare un salto di qualità e a vivacizzare la creatività del nostro Paese dove certo non mancano ingegno e fantasia.
Noi tutti ci auguriamo che questo avvenga in tempi brevi perché le risorse delle Aziende devono generare ritorni attraverso campagne brillanti, fresche e scintillanti.
Le Imprese stanno facendo sforzi notevoli per creare nuovi prodotti e nuovi servizi, investono somme ingenti in tecnologie, in ricerche e in sperimentazioni.
Grandi o piccole che siano, hanno bisogno di far conoscere il risultato dei loro sforzi attraverso campagne efficaci che, se non riceveranno il primo premio a Cannes, facciano vincere la competizione più importante, che è quella del mercato.
Teniamo presente che il compito di un¿agenzia non è soltanto quello di creare campagne brillanti e di successo.
L¿agenzia va intesa come vero partner per l¿Azienda nella costruzione di una visione strategica, nel creare campagne destinate a durare nel tempo, nel capitalizzare gli investimenti e nel costruire solide immagini di marca.
Ma non ci aspettiamo un sussulto di creatività soltanto dalle agenzie.
Lo chiediamo anche ai mezzi rivolgendoci altresì alle concessionarie, ben conoscendo il ruolo prezioso che esse svolgono al loro fianco.
Cominciamo con la stampa nei confronti della quale qualche volta, e ingiustamente, veniamo accusati di essere refrattari.
Ingiustamente, perché quotidiani e periodici sono anzi al centro della nostra attenzione e siamo convinti che nel futuro essi possano offrire molto di più.
In questi ultimi anni la concorrenza fra periodici è stata asperrima in un terreno che si è via via allargato con l¿entrata di nuovi contendenti.
Anche in questo caso la competizione ha giovato perché la qualità dei settimanali e dei mensili è senz¿altro migliorata tanto da non aver nulla da invidiare ai periodici dei paesi con più solida tradizione.
Come esponente delle Aziende che investono in pubblicità vorrei manifestare l¿auspicio di una valorizzazione delle attuali testate sul mercato piuttosto che di una polverizzazione che creerebbe problemi non solo per gli stessi editori ma anche per le Aziende utenti.
I quotidiani suscitano sempre forte interesse negli uomini di azienda, concordi nel ritenere quelli italiani di eccellente qualità, tra i migliori sul piano internazionale per ricchezza di argomenti e per vivacità.
La prevista introduzione del cosiddetto ¿full color¿ promette di essere quanto mai allettante per i lettori, e lo sarà di certo anche per la pubblicità.
Ci guardiamo bene dal ritenere che i quotidiani abbiano raggiunto un loro plafond. Anzi siamo convinti del contrario. Esistono ancora vaste aree di conquista soprattutto nei confronti di fasce di pubblico che con il quotidiano non hanno dimestichezza, specie negli strati giovani la cui abitudine di lettura è ancora molto circoscritta.
I giornali hanno attraversato qualche anno di difficoltà sotto l¿aspetto degli introiti pubblicitari, soprattutto a causa della perdurante assenza dal mercato di alcuni settori che tradizionalmente si avvalgono delle loro pagine: le banche, le assicurazioni, le attività finanziarie, l¿informatica e i servizi in generale. Così come essi hanno sofferto in maniera particolare per la crisi della net economy la cui breve fase di esaltazione si era manifestata soprattutto sui giornali.
Oggi i quotidiani sono avviati verso un percorso di ripresa che prevediamo possa accentuarsi gradualmente nei prossimi anni anche attraverso un adeguamento sempre maggiore delle singole testate alle esigenze degli utenti nazionali.
Come ho avuto modo di dire più volte, noi riteniamo importante un allargamento della diffusione dei quotidiani in Italia e siamo pronti ad affiancare la Fieg in tutte le azioni che essa riterrà opportuno svolgere con questo obbiettivo.
Noto con piacere che, salvo qualche sussulto estemporaneo, la maggior parte degli editori non attacca più la televisione come causa dei suoi mali, ma si è convinta che la stampa abbia tutte le carte in regola per potersi affermare con le proprie forze. Del resto nei paesi del nord Europa dove le famiglie passano ore e ore ogni giorno davanti alla televisione, i quotidiani registrano una penetrazione che è di 3 o 4 volte superiore rispetto a quella italiana.
I nuovi dati UPA: il presidente Malgara presenta la Relazione 2004
(2 parte)