Europa
di Ernesto Apa
e Daniela Marrani
Il sistema delle quote di riserva per opere europee
La Direttiva ¿TV senza frontiere¿ (Direttiva 89/552/CEE del Consiglio del 3 ottobre 1989, modificata dalla Direttiva 97/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997), attuata in Italia e negli altri Paesi membri, prevede una riserva di quote minime di diffusione delle opere europee.
Scopo di questo articolo è capire in quale misura il sistema delle quote sia vincolante e mettere in evidenza le deroghe consentite.
Tali deroghe, espressamente previste per i canali tematici, tengono conto in particolare delle esigenze finanziarie delle emittenti di recente apertura, della specializzazione di alcune emittenti (ad esempio le emittenti che trasmettono esclusivamente programmi musicali) o dell¿apporto di emittenti filiali di società multinazionali non europee.
A ciò si aggiungono ampi margini di discrezionalità da parte delle autorità nazionali deputate ai controlli.
Una definizione ampia di ¿opere europee¿
La definizione di ¿opere europee¿ è piuttosto ampia in quanto non è limitata alle opere realizzate da produttori stabiliti nel territorio dell¿Unione europea. Opere europee sono infatti le opere originarie:
a) di Stati membri dell¿Unione europea;
b) di Stati terzi europei (ad esempio: Andorra, Liechtenstein, Croazia, Georgia) che siano parti della Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera del Consiglio d¿Europa, purché: realizzate sotto la supervisione e il controllo effettivo di uno o più produttori stabiliti in uno o più di questi Stati;
c) di altri Stati terzi europei (ad esempio: Macedonia), realizzate da produttori stabiliti in uno o più Stati terzi europei con i quali la Comunità abbia concluso accordi nel settore dell¿audiovisivo, qualora tali opere siano realizzate con il contributo preponderante di autori o lavoratori residenti in uno o più Paesi europei.
Le quote ¿riservate¿alle opere europee
La disciplina sulle ¿opere europee¿ fissa dei parametri generali riguardanti le opere europee nel loro insieme e individua, all¿interno di queste, quote specifiche riservate ai produttori indipendenti. Può intendersi operante, al riguardo, un meccanismo di ¿doppia riserva¿.
Quanto alla riserva ¿generale¿, le emittenti televisive nazionali, ai sensi della disciplina nazionale di attuazione della Direttiva, sono tenute a riservare alle opere europee ¿più della metà del tempo mensile di trasmissione, escluso il tempo dedicato a notiziari, manifestazioni sportive, giochi televisivi, pubblicità, servizi teletext, talk show o televendite, anche con riferimento alle fasce orarie di maggior ascolto.¿ Per fascia oraria di maggiore ascolto si intende quella ¿compresa fra le ore 18.30 e le ore 22.30¿.
Quanto alla riserva di opere dei produttori indipendenti è stabilito che: ¿i concessionari televisivi nazionali riservano di norma alle opere europee realizzate da produttori indipendenti almeno il 10 per cento del tempo di diffusione, escluso il tempo dedicato a notiziari, manifestazioni sportive, giochi televisivi, pubblicità, servizi telefax, talk show o televendite¿.
Il sistema prevede inoltre che le emittenti televisive destinino almeno il 10% degli introiti netti annui da pubblicità alla produzione ed all¿acquisto di programmi audiovisivi di produzione europea; nell¿ambito di questa quota, viene poi indicata una ¿sotto-quota¿ da investire nell¿acquisto di film europei.
Il vincolo comunitario al rispetto delle quote
È opportuno chiarire in quale misura gli Stati membri dell¿Unione europea siano vincolati a garantire il rispetto di tali quote.
Le norme della Direttiva relative alla promozione della distribuzione e della produzione di programmi televisivi hanno avuto una fase di gestazione decisamente travagliata, in quanto alcuni Stati membri non guardavano ad esse con favore, ritenendo che non fosse una sede idonea a contenere le misure di sostegno all¿industria europea dell¿audiovisivo. A fare da contraltare a queste posizioni, dettate dal timore di un¿erosione delle competenze nazionali in materia di politiche culturali, vi erano le spinte da parte di altri Paesi, Francia in testa, che auspicavano l¿introduzione di un sistema di quote rigido.
Malgrado i tentativi della Commissione perché la riserva a favore delle opere europee fosse quantificata in modo rigoroso ed oggetto di un preciso obbligo giuridico, l¿esigenza di comporre il dissidio di cui si è detto ha portato ad una soluzione di compromesso, che si è tradotta in una regolamentazione vaga e generica, la quale si presta ad interpretazioni difformi tra loro.
L¿art. 4 della Direttiva, infatti, non fissa la riserva in una percentuale esatta, ma si limita a prevedere che sia riservato alle produzioni europee ¿la maggior parte¿ del tempo di trasmissione di ciascuna emittente (senza tener conto del tempo dedicato a notiziari, manifestazioni sportive, ecc.) il raggiungimento di questo obiettivo dovrà essere ¿graduale¿ ed avvenire ¿secondo criteri appropriati¿. Il rispetto di tale prescrizione riposa poi sul controllo svolto dagli Stati membri, i quali vigilano ¿ogniqualvolta sia possibile e ricorrendo ai mezzi appropriati¿.
È chiaro che la somma di questi riferimenti normativi vaghi ed imprecisi dovrebbe consentire di considerare privo di immediata ed effettiva vincolatività giuridica il sistema delle quote.
Tale opinione trova conforto in una dichiarazione a verbale del Consiglio e della Commissione, tesa soprattutto a soddisfare le richieste dei Lander tedeschi: si riconosce che gli articoli 4 e 5 della direttiva vincolano solo sul piano politico gli Stati membri al raggiungimento degli obiettivi in essi indicati. La natura politica (e quindi non giuridica) del vincolo in discorso necessariamente riduce considerevolmente le probabilità che gli Stati che non si adeguano vengano sanzionati, atteso che la Commissione si è espressamente impegnata ad interpretare gli articoli 4 e 5 alla luce della dichiarazione a verbale da ultimo citata.
Critiche al sistema delle quote mosse dai Paesi aderenti alla WTO
Come è noto, la normativa in esame è stata oggetto di roventi polemiche all¿esterno della Comunità ancor più che all¿interno. La previsione di quote di programmazione da destinare obbligatoriamente alla trasmissione di opere comunitarie ha suscitato infatti la reazione del Governo statunitense, che, ritenendola una pratica protezionistica in violazione degli obblighi contratti con il GATT (l¿Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio), ha più volte minacciato l¿adozione di misure di rappresaglia commerciale.
Da parte dei Paesi extraeuropei aderenti alla WTO, si denuncia in particolare la violazione della c.d. ¿clausola della nazione più favorita¿, in base alla quale gli Stati aderenti alla WTO si impegnano ad applicare ai beni ed ai servizi stranieri la disciplina accordata al Paese che riceve il trattamento più vantaggioso, ed il ¿principio del trattamento nazionale¿, che obbliga ciascuno Stato membro ad accordare ai beni e servizi provenienti dagli altri Stati membri un trattamento non meno favorevole rispetto a quello concesso ai prodotti e servizi nazionali.
La Comunità si è difesa asserendo che il perseguimento di finalità culturali consenta di derogare a tali principi. In realtà le asserite finalità culturali malamente mascherano finalità di natura economica che emergono con chiarezza dai lavori preparatori e persino dal testo del preambolo della direttiva del 1989 (nel Considerando 20 si fa espresso riferimento alla necessità di ¿promuovere la creazione di mercati sufficientemente estesi per permettere alle produzioni televisive degli Stati membri di ammortizzare gli investimenti necessari¿). L¿azione comunitaria è infatti chiaramente diretta a fronteggiare il fenomeno noto come ¿sindrome di Dallas¿ (dal titolo del famoso sceneggiato americano), ovvero la tendenza della tv europea ad essere colonizzata dalla produzione americana (ma anche dai cartoni animati giapponesi): non si deve dimenticare che gli USA hanno l¿80% del mercato mondiale dei programmi televisivi ed il 30% del mercato televisivo europeo, mentre solo il 2% della programmazione americana è costituita da programmi realizzati in Europa.
Al di là della fondatezza o infondatezza, sul piano strettamente giuridico, dei rilievi mossi dagli USA, quello che rileva ai fini del presente discorso è l¿esistenza di un clima di diffusa ostilità internazionale al sistema delle quote, clima che si riflette sulla applicazione, estremamente cauta, delle norme in commento, ed è alla base della decisione, da parte della Comunità, di non porre rimedio, in occasione della modifica della direttiva avvenuta nel 1997, alla vaghezza delle prescrizioni dettate dagli articoli 4 e 5.
Il criterio dello stabilimento dell¿emittente nel territorio dell¿Unione europea e il principio dell¿ ¿home country control¿.
Quanto all¿interpretazione delle disposizioni di cui ci occupiamo, ci si è chiesti se il limite alla programmazione di opere extraeuropee vada riferito al complesso dei canali appartenenti ad uno stesso gruppo o piuttosto ai singoli canali. E¿ prevalsa in modo deciso la seconda tesi (infatti la relazione che gli Stati devono presentare alla Commissione deve contenere un prospetto che indichi, per ogni singolo canale, le proporzioni tra trasmissioni europee e trasmissioni extraeuropee), anche perché una diversa soluzione avrebbe consentito facili aggiramenti dei principi della direttiva, ad esempio mediante la concentrazione delle opere europee nei palinsesti delle emittenti meno valorizzate del gruppo.
In Italia, al contrario, il Regolamento Agcomn. 9/99 prevede che, ove più canali siano controllati da un unico soggetto, la quota di riserva a favore delle opere europee venga determinata sulla programmazione complessiva dei canali stessi, salvo l¿obbligo, per ciascuna emittente del gruppo, di destinare alle opere europee il 20% del tempo di trasmissione.
Quanto alla individuazione dello Stato membro avente giurisdizione sull¿emittente, tra i vari criteri astrattamente utilizzabili (luogo di stabilimento dell¿emittente, luogo di up-link, luogo in cui vengono ¿confezionati¿ i programmi, etc.), la modifica alla direttiva, accogliendo la soluzione preferita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ha adottato il criterio principale dello stabilimento nel territorio, modulato con riferimento all¿effettivo luogo di svolgimento di un¿attività economica stabile per un congruo periodo di tempo.
E¿ importante ricordare che alla materia si applica il principio dell¿ home country control (art. 2, paragrafi 1 e 3 della direttiva n. 89/552), il quale, secondo l¿insegnamento della Corte di Giustizia, importa come corollario che la ricezione o la ripetizione di trasmissioni sul territorio di altro Stato membro non possa essere assoggettata a condizioni, limiti o restrizioni, salvo eccezioni assai circoscritte. La Corte di Giustizia, nel caso Commissione contro Belgio, ha infatti escluso la legittimità di un doppio e concorrente controllo (da parte dello Stato avente giurisdizione sull¿emittente e da parte dello Stato destinatario delle trasmissioni), argomentando dalla ¿reciproca fiducia¿ che gli Stati dell¿UE, nei loro rapporti, ¿devono nutrire quanto ai controlli effettuati sul loro rispettivo territorio¿. Questo principio comporta che le trasmissioni realizzate in alcuni Paesi possono essere diffuse in altri Paesi eventualmente dotati di una regolamentazione più restrittiva.
Il meccanismo di ¿enforcement¿ e le possibili deroghe alla riserva di quote europee
Secondo le rilevazioni della Commissione europea, gli obiettivi fissati dagli articoli 4 e 5 della Direttiva sono stati raggiunti già nel 1998, e la maggior parte degli Stati membri ha introdotto discipline più rigorose di quella prevista dalla Direttiva stessa. Il quadro europeo viene quindi giudicato ¿generalmente soddisfacente¿ dalle istituzioni comunitarie.
In Italia, dopo un primo, inesatto recepimento ad opera della legge n. 223 del 1990, nota come legge Mammì, alla Direttiva dà ora attuazione la sopra richiamata legge n. 122 del 1998, la quale prevede verifiche del rispetto delle quote su base annua.
L¿attività di controllo e sanzionatoria per le eventuali violazioni della disciplina in merito alle quote di opere europee è svolta dall¿Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni sulla base del sopra richiamato Regolamento n. 9/99. Non risulta, peraltro, che l¿Agcom abbia mai irrogato sanzioni per la violazione delle quote.
A tale riguardo ¿l¿Autorità verifica su base annua l¿osservanza di quanto disposto dalla normativa vigente attraverso un monitoraggio dei programmi¿. Inoltre, in merito all¿obbligo di investire una determinata quota dei proventi dell¿emittente nell¿acquisto di opere audiovisive europee, è previsto un meccanismo di autocertificazione da parte delle stesse emittenti.
All¿esito della suddetta verifica, in caso di constatazione del mancato rispetto dei limiti di legge, l¿Autorità può irrogare ai soggetti responsabili le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge n. 249/1997 per mancata ottemperanza agli ordini e alle diffide dell¿Autorità (per un importo da Euro 10.000 a Euro 250.000). Le oscillazioni in difetto dovranno essere motivate, ma è previsto che l¿Agcom valuti la congruità delle motivazioni prospettate solo nel caso di oscillazioni superiori al 7% annuo: sembrerebbe, dunque, che sia accordata una sorta di ¿franchigia¿ del 7%, a condizione che si espongano delle motivazioni, la cui meritevolezza non verrà valutata (nondimeno, tali motivazioni non potranno essere manifestamente irragionevoli).
I margini di elasticità del sistema delle quote
E¿ importante notare come il sistema sia meno rigido di quanto appare: in base al Regolamento, infatti, l¿Agcom verifica il rispetto delle quote tenendo conto ¿delle problematiche tecniche ed oggettive¿ che da tale rispetto derivano. La comminazione delle sanzioni di cui si è detto non discende quindi in modo automatico dalla rilevata violazione degli obblighi di legge, ma passa attraverso la valutazione ampiamente discrezionale dell¿Agcom sulla sussistenza di valide ragioni che giustifichino la mancata osservanza dei limiti di programmazione.
A quindici anni dall¿emanazione della direttiva, l¿esperienza maturata consente di riferire una panoramica piuttosto completa delle ragioni cui si appellano le emittenti che non rispettano la normativa sulle quote.
Un primo ordine di ragioni è riconducibile alla recente apertura dell¿emittente, o alla ristrutturazione di una emittente esistente, o ancora all¿incremento della programmazione. In tali casi l¿emittente versa in una condizione di fragilità finanziaria che la induce a scegliere programmi poco costosi e facilmente fruibili dallo spettatore, programmi che tendono ad essere non europei.
Un altro caso frequente è quello dei canali tematici, i quali incontrano sovente delle difficoltà nel reperire sul mercato una sufficiente quantità di opere europee idonee a soddisfare le loro esigenze di programmazione. A questo si aggiunga che i costi di produzione di programmi destinati a canali tematici sono solitamente più elevati dei costi che l¿emittente dovrebbe sostenere per l¿acquisto di programmi affini prodotti fuori dai confini europei. Il Regolamento n. 9/99 prevede che i canali tematici possano ¿richiedere all¿Autorità, illustrandone i motivi, la deroga totale o parziale agli obblighi di riserva di emissione e di investimento¿. Si tratta di una deroga accordata preventivamente, a differenza delle altre ipotesi, in cui l¿Agcom, accertata la violazione, può omettere, in presenza di valide ragioni, di irrogare la sanzione.
E¿ intuitiva la difficoltà che incontrano le emittenti specializzate nella trasmissione di programmi musicali a rispettare le quote, considerata la posizione di dominio che rivestono le produzioni americane nel mercato discografico mondiale (né si può legittimamente pretendere che i canali musicali si astengano dal trasmettere i clip dei brani più ascoltati del momento). Vale lo stesso per i canali specializzati nella trasmissione di film, alla luce del fatto che le pellicole cinematografiche di maggior successo, nonché quelle che possono avvalersi dei budget più elevati, sono in misura largamente prevalente di origine americana. Poiché la strategia commerciale impone a tali canali di costruire i propri palinsesti intorno a pellicole ¿blockbuster¿, è evidente la loro difficoltà a rispettare le quote di programmazione di opere europee.
Occorre poi considerare la posizione delle emittenti che sono filiali di società di multinazionali non europee o comunque presenti in modo significativo nei mercati non europei. La casa-madre di tali emittenti solitamente decide, anche per realizzare delle economie, che i palinsesti vengano allestiti facendo ricorso al materiale già presente nei magazzini.
Si tratta, in tutti i casi, di ragioni che, se ben argomentate e dimostrate, possono supportare validamente scelte di politica commerciale di operatori che intendano salvaguardare la propria competitività. Inoltre, giova precisare che i primi due argomenti, fondati su ragioni spiccatamente economiche, sono ben tollerati dalla Commissione europea, la quale rileva come, anche in assenza di misure coercitive, le emittenti che motivano in base ad essi il mancato rispetto dei vincoli comunitari dovrebbero, in breve tempo, essere in condizione di mettersi in regola. Al contrario, la Commissione è poco incline ad accettare gli altri argomenti che sono stati esposti e, in tali casi, sollecita gli Stati membri a tenere un atteggiamento di maggior rigore.
Ad onta della posizione della Commissione Europea, il Regolamento n. 9/99 prevede che l¿Agcom debba tener conto, nel valutare il mancato rispetto delle quote, ¿dell¿effettiva quantità di prodotto disponibile sul mercato, del target di ciascuna emittente, dell¿offerta di programmi coerente con il mantenimento della linea editoriale e delle peculiarità della rete, con particolare riferimento alla fascia oraria di maggiore ascolto¿.
Questa ampia formula offre all¿Agcom la base giuridica per ritenere giustificato il mancato rispetto delle quote non solo quando sia posto in essere da una emittente di recente apertura o da un canale tematico (casi, come si è detto, nei cui confronti è ammesso, anche in sede comunitaria, un atteggiamento indulgente), ma anche nelle ipotesi di emittenti specializzate e di filiali di multinazionali.
Occorre quindi che le emittenti che incontrano difficoltà nel rispettare le quote di programmazione previste dalla normativa comunitaria prospettino all¿Agcom tali difficoltà in modo persuasivo tanto sul piano dell¿analisi economica quanto dell¿argomentazione giuridica: i margini per una applicazione delle quote che non sia esasperatamente rigorosa esistono ed è possibile, conoscendoli a fondo, massimizzarne l¿utilità.
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