Legge Urbani, una legge nata male: download, copia, lucro e innovazione tecnologica

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Italia



di Andrea Rossato

Professore di Introduzione al Diritto

Facolt&#224 di Ingegneria – Universit&#224 di Trento

Prendo spunto dall¿intervento di Enzo Mazza, direttore generale della Federazionedell”Industria Musicale Italiana (FIMI), per alcune ulteriori riflessioni sul decreto Urbani, recentemente convertito nella legge che pare giusto chiamare Urbani-Carlucci dato il ruolo che il relatore alla Camera ha avuto nella redazione definitiva del provvedimento.

Nel suo articolo Mazza sostiene che: ¿¿il recepimento delle normative europee, che peraltro adeguano l”ordinamento europeo ai trattati WIPO in materia di societ&#224 dell”informazione, gi&#224 recepiti in USA con il DMCA, era stata chiarita la portata della cosiddetta eccezione di copia privata, ovvero limitata solo uso esclusivo e personale, ecc. Niente copia personale da internet, come invece si &#232 sentito dibattere in questi giorni con frasi a sproposito anche su un presunto diritto di accesso alla cultura o sul patrimonio universale di conoscenza che &#232 rappresentato dalla rete”.

Quest”asserzione non &#232 affatto peregrina.

Si potrebbe infatti sostenere che chi scarichi un”opera protetta da Internet non stia esercitando il diritto alla copia di riserva disciplinato dalla legge sul diritto d”autore. Costui sta certamente traendo profitto dalla propria attivit&#224 di duplicazione, potendo godere di un bene senza averne pagato il fio. Rimane per&#242 da vedere se una tale copia possa essere inquadrata nell”uso non personale. Mazza parrebbe concludere che cos&#236 sia.

Allora come si spiega la seconda affermazione del direttore?

Egli pi&#249 avanti scrive infatti: ¿¿Molti hanno convenuto sul fatto che la sostituzione dello scopo di lucro con l”allocuzione “per trarne profitto” abbia aperto il varco ad una criminalizzazione di massa, soprattutto di ragazzini che scaricano un file musicale o una suoneria illegale. Ma se leggiamo con maggiore attenzione il nuovo testo integrato dal nuovo DL notiamo che, come &#232 chiaramente indicato alla prima riga dell”art. 171 ter attualmente in vigore (e non modificato dal DL) le condotte punite ai commi successivi sono quelle commesse “per uso non personale” e quindi l”introduzione del profitto (che peraltro coordina la norma con quanto gi&#224 previsto al 171bis, ovvero la norma di tutela penale per il software, dove con la legge 248/2000 fu modificato il “lucro” il “profitto“) colpisce in ogni caso solo le condotte che vanno oltre il semplice uso personale..¿.

Scaricare &#232 uso personale o no?

Se si aderisce all”affermazione ¿niente copia personale da Internet¿, allora bisogna ritenere che chi scarica trae profitto e lo fa ad uso non personale?

Il problema si pone.

Ma, si pu&#242 argomentare, proprio l”introduzione del decreto in esame potrebbe spingere una giurisprudenza accorta a ritenere che chi si limiti a scaricare lo faccia per uso personale.

In caso contrario i ¿ragazzini che scaricano un file musicale o una suoneria illegale¿ compiono il reato di cui al comma 1 dell”art. 171-ter LdA: reclusione da 6 mesi a 3 anni.

Allora, se il download fosse considerato uso personale (e quindi non rientrante nel 171-ter comma 1), solo chi lasci scaricare porrebbe in essere una condotta penalmente rilevante, in base alla norma recentemente introdotta al comma 2 dell”articolo citato, compiendo un reato aggravato punibile con la reclusione da 1 a 4 anni, la medesima sanzione prevista per chi , ¿¿esercitando in forma imprenditoriale attivit&#224 di riproduzione, distribuzione, vendita o commercializzazione, importazione di opere tutelate dal diritto d”autore e da diritti connessi, si rende colpevole¿ di abusiva duplicazione.

Ci&#242 solleva evidenti problemi di costituzionalit&#224 in riferimento all”art. 3 della Costituzione. Si sanzionano ugualmente condotte assai differenti.
Siamo di fronte ad una criminalizzazione di massa? Certamente si. Chi si limita a scaricare, salvato dal secondo Mazza (ma non dal primo),
&#232 infatti un reietto nelle comunit&#224 di file-sharing. La sua condotta &#232 quella del free-rider, dell”approfittatore che prende senza dare.

Egli viene spesso emarginato.

Le comunit&#224 on-line si fondano su regole pi&#249 o meno informali, ma non per questo meno stringenti.

Chi non lascia scaricare viola queste regole.

Chi condivide, invece, &#232 l”espressione digitale di chi, nel mondo fisico, presta il proprio libro, registra all”amico l”album che costui non vuole o non pu&#242 acquistare.

Anche nello spazio fisico una tale condotta &#232 oggi formalmente illecita e punibile con il carcere in base all”art. 171-ter comma 1: esiste giurisprudenza consolidata che considera profitto anche la cessione al terzo! La Cassazione Penale (sez. IV, 9/5/1989, n. 6923) afferma che ¿rientra nell”ampio concetto di trarre profitto anche il caso in cui l”agente si impossessi della cosa mobile altrui al fine di consegnarla ad una terza persona¿.

Quanto deve costare alla collettivit&#224 la protezione del diritto d”autore dopo l”avvento delle tecnologie digitali? Tanto da punire con il carcere condotte in passato considerate sinonimo di generosit&#224 e cortesia? Lasciando salvi solo gli egoisti, anzi incoraggiando tali comportamenti, giustamente ritenuti antisociali? Quali valori esprimono le norme che consentono agli editori di controllare la diffusione della cultura?

Questo &#232 un problema profondo.

E a poco vale l”obiezione secondo cui nel mondo reale proteggiamo la propriet&#224 privata, al di l&#224 dei costi che ci&#242 comporta. Nel mondo fisico se qualcuno mangia il mio panino io devo digiunare. Nel mondo digitale se qualcuno copia un mio file non mi toglie nulla. Toglie profitto all”editore. Un profitto che per&#242 non &#232 certo, ma solo eventuale. Quanto deve investire lo Stato, in repressione penale ed in promozione di comportamenti che nel mondo reale sono considerati riprovevoli, per salvaguardare la possibilit&#224 di quel profitto?
Un presidente del consiglio ricordava come l”introduzione dell”automobile fece scatenare le lobby dei produttori di carrozze, i quali vedevano i loro profitti scemare per via del progresso tecnologico: essi volevano imporre norme che, di fatto, impedissero l”uso dei nuovi gingilli della tecnica: ¿¿ogni autovettura ¿ raccontava divertito quel presidente ¿ avrebbe dovuto, per volere dei costruttori di carrozze, essere preceduta da qualcuno che urlasse: si faccia strada! si faccia strada»

L”innovazione tecnologica non reca vantaggi per tutti.

Che i pochi che ne sono danneggiati vogliano imporre agli altri il loro ¿pedaggio¿ fa parte dell”ordine naturale delle cose.

&#169 2004 Key4biz.it

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