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È ufficiale: Google, il motore di ricerca su Internet più utilizzato al mondo, sbarca in Borsa e lo fa in modo del tutto consono alla sua filosofia, cercando cioè di rivoluzionare i rigidi canoni alla base delle IPO (offerta pubblica iniziale) tradizionali.
La società di ricerca ha infatti fornito alla SEC la documentazione necessaria per quotarsi, ma non ha indicato un prezzo specifico per ogni singolo titolo, sperando di raccogliere dalla collocazione ¿ che avverrà attraverso un¿asta on line per garantire la massima democraticità e trasparenza ¿ almeno 2,7 miliardi di dollari.
La vendita delle azioni, coordinata da Morgan Stanley e Credit Suisse First Boston, partirà probabilmente entro luglio e dovrebbe portare la capitalizzazione della società almeno intorno ai 25 miliardi di dollari, portandone il valore a circa 20 volte il fatturato del 2003.
Secondo i documenti presentati alla SEC (l¿Autorità di Borsa americana) il gruppo ha registrato un fatturato di 961,9 milioni di dollari e un utile netto di 105,6 milioni di dollari (41 centesimi per azione).
Nei primi tre mesi del 2004, invece, gli utili si sono attestati a 64 milioni di dollari (24 centesimi per azione), contro i 25, 8 milioni di dollari (10 centesimi per azione) dello scorso anno.
Google inoltre presenta bilanci in attivo da almeno tre esercizi e da lavoro a 1.907 dipendenti a livello mondiale.
L¿entrata in borsa del re dei motori di ricerca è un evento molto atteso e dalle forti implicazioni psicologiche: si tratta infatti delle prima collocazione di un¿azienda hi-tech dopo l¿implosione della bolla della new economy e potrebbe provocare una serie di reazioni a catena a cui molti guardano con preoccupazione.
Larry Page e Sergy Brin hanno comunque cercato di preparare l¿operazione
in modo tale da non alimentare alcun tipo di speculazione: ecco perché il collocamento si discosterà dalle IPO tradizionali ¿ per favorire i piccoli investitori e non le grandi istituzioni – e la società continuerà ad essere guidata da loro e dal direttore generale Eric Schmidt.
I due fondatori non intendono dunque piegarsi alle rigide regole della Borsa e continueranno a conservare pieno potere decisionale anche dopo la quotazione, né tanto meno intendono riaprire la dolorosa pagina delle speculazioni che ha portato, nel 2000, al crollo del sogno della new economy.
Il gigante del web insiste nel dire che rimarrà una ¿compagnia non convenzionale¿, anche se gli esperti hanno messo in dubbio la validità dell¿asta per il futuro dell¿azienda e dei suoi futuri azionisti.
Certo, il processo è molto più economico, e democratico, delle IPO tradizionali, ma la cosiddetta ¿asta olandese¿ ¿ che i fondatori hanno scelto come metodo per piazzare le azioni ¿ è stata la causa dell¿insuccesso di molti collocamenti negli anni del boom.
L¿asta olandese prevede che il prezzo iniziale sia stabilito dal banditore che, progressivamente lo abbassa fino a quando non si presenta un compratore.
Questo tipo di vendita, secondo gli analisti causerebbe straordinarie oscillazioni dei prezzi e confusione negli investitori.
In teoria, infatti, potrebbero esserci più offerte che azioni disponibili, così che le azioni sono poi assegnate in base a formule complesse e ancora non ben definite.
In pratica, gli offerenti dovranno proporre un prezzo, senza sapere esattamente quante azioni siano fruibili.
Google sostiene che le peculiarità di questo sistema siano una reazione agli eccessi di Wall Street negli ultimi anni: minimizzando il ruolo delle banche d¿investimento, vengono infatti a mancare i dubbi relativi alla correttezza di simili operazioni.
Nato nel 1998 da un¿idea dei due studenti di Stanford – entrati quest¿anno nella classifica degli uomini più ricchi del mondo ¿ Google ha contribuito in modo significativo a far entrare Internet nelle abitudini degli utenti mondiali, che trovano nel motore di ricerca un alleato indispensabile per le ricerche sul web.
I due inventarono un nuovo tipo di ricerca che stabiliva l”importanza di una pagina web non in base alla semplice presenza di una parola chiave, bensì in base al numero e alla tipologia dei siti web linkati a quella pagina.
Il loro metodo si rivela col tempo una vera e propria macchina da soldi: il grosso delle entrate di Google viene dalle inserzioni pubblicitarie, sui propri siti e su quelli dei partner.
Lo scorso anno il 95% delle entrate è arrivato dal mercato pubblicitario, per un giro d¿affari lordo di 916,6 milioni di dollari. Nel corso del primo trimestre 2004 le entrate pubblicitarie hanno rappresentato il 96,3%.
La popolarità della tecnologia è tale che è il verbo ¿to google¿ (¿googlare¿, anche se in italiano risulta un po¿ ostico da pronunciare) è ormai entrato nel linguaggio comune come sinonimo di ricerca di informazioni su qualcuno o qualcosa.
A febbraio, inoltre, la società californiana ha annunciato di avere esteso il proprio web index che include ora oltre sei miliardi di elementi. Di questi, 4 miliardi sono pagine web, ma un grosso sforzo è stato anche compiuto nell¿arricchimento del database fotografico.
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