Italia
Confusione.
Sembra essere questo il dato più rilevante dello stato del percorso del famigerato decreto Urbani.
Il decreto Urbani viene approvato il 12 marzo 2004. Formalmente viene presentato come una misura tesa a finanziare il cinema italiano e a combattere la pirateria.
Più semplicemente, un¿antica regola consociativistica consente da sempre una distribuzione a pioggia per finanziare il cinema italiano. Ne beneficiano componenti dell¿industria appartenenti a tutte le formazioni politiche. Si tratta di finanziamenti sostanzialmente fuori controllo, una volta erogati. Una consuetudine che ha sempre tenuto lontano settori importanti dell¿industria del cinema nazionale dalla semplice ma pur sempre importante regola del contenimento dei costi.
Ma si sa come ci si regola con i soldi pubblici.
In questi casi più si spende meglio è.
Così funziona il meccanismo.
L¿importante è spendere tutti i soldi e la cosa ancor più importante è la corretta fatturazione.
Naturalmente (e per fortuna) il cinema italiano è anche altro ed è innanzitutto quella straordinaria new-wave di autori e attori che sta dando grande lustro e soddisfazione al Paese, agli spettatori ed al box-office.
Non è un caso se molti di loro non hanno mai avuto una lira dai finanziamenti pubblici destinati al cinema.
Come nasce il decreto Urbani?
Facciamo qualche ipotesi.
Qualche tempo fa qualcuno si è accorto dell¿esaurimento del filone di finanziamento pubblico al cinema.
E allora da dove prendere i soldi?
Da internet!!
E¿ stata la splendida idea suggerita da qualcuno più realista del re.
Peraltro, non trattandosi di soldi pubblici, sarà una risorsa aggiuntiva ai nuovi possibili filoni di finanziamento statale che si spera di attivare a breve.
Quindi non c¿è tempo da perdere. Bisogna dichiarare la condizione di necessità, lo stato emergenziale, la giustificazione del ricorso ad uno strumento inappropriato come quello di un decreto legge.
E l¿Europa?
Meglio ignorarla.
A nulla sono valse le considerazioni che, all¿interno dello stesso governo, hanno imposto di non procedere con il decreto sui bilanci delle squadre di calcio o sull¿Alitalia.
In questi due casi il rispetto o il timore dell¿Europa (o forse più semplicemente gli avvertimenti preventivi di Bruxelles) hanno spinto i politici a soprassedere.
Ma allora perché nel caso del decreto Urbani non ci si è fermati per tempo? Perché si dovrà aspettare che ci fermi l¿Europa con una procedura d¿infrazione, da noi prevista, tanto temuta quanto umiliante?
Semplice.
Perché nel frattempo la lobby del cinema acquisirà un po¿ di royalties che nessuno obbliga a restituire (quantomeno per le difficoltà e seccature logistiche) in caso di decadimento del provvedimento.
Quando parlammo, nei primi giorni, della lobby del cinema intendevamo riferirci a questi presunti giochi di parrocchietta, che portano però non pochi quattrini.
Poi si è sviluppata una forte opposizione al decreto: il popolo di internet, ma ancor di più i provider, le associazioni dei consumatori ed altri soggetti rilevanti ai fini della catena del valore.
Il decreto, proseguendo il suo iter, è stato quindi assegnato alla Commissione cultura della Camera dei Deputati.
Sono state fatte delle audizioni utili, ma pur sempre foglia di fico per nascondere la grave manchevolezza del non aver dato luogo ad una vera e propria consultazione pubblica.
Si deve dare atto a Gabriella Carlucci di aver messo molto impegno nel cercare le soluzioni.
Ma il risultato rimane deludente.
I problemi sono di struttura.
Tanto più in considerazione di una serie di eventi di non facile comprensione e tra quelli delle ultime ore le rimostranze delle associazioni degli editori e dei discografici che hanno preso le distanze dal presunto testo emendato a cui il governo starebbe arrivando.
Ultimo arrivato il commento del presidente dell¿Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche (ANICA), avv. Gianni Massaro, che ha ribadito la sua ferma opposizione ””¿a qualsiasi compromesso che snaturi il provvedimento. Intendo confermare il pieno sostegno dell” Anica al Decreto Legge ed alla Relazione che lo ha accompagnato in sede di presentazione al Consiglio dei Ministri e la ferma opposizione a qualunque modifica che possa, comunque, legittimare ció che è illegittimo o, peggio ancora, criminoso sulla base del diritto penale comune e dichiaro altresí che l” Anica non ha alcun interesse all” ottenimento di un decreto qualsiasi cosí come di qualunque altra norma soltanto per il piacere di dire che vi è una legge o una norma¿.
Allora cosa accadrà in Parlamento la prossima settimana?
Probabilmente il governo farà propri tutti gli emendamenti emersi dai lavori della Commissione, riservandosi di acquisire eventuali altri elementi nel dibattito in aula.
Poi il passaggio al Senato, con una procedura di blindatura che impedirà qualunque ripensamento.
Infine la possibile conversione.
Questo è il copione scritto.
Ma la realtà a volte può essere molto diversa.
Resta da vedere intanto cosa accadrà alla Camera.
Ma ancor di più potrebbe calare il buio in sala, se la mano di Bruxelles deciderà di staccare la corrente su un percorso istituzionale che appare contrario alle procedure ordinarie previste dall¿Unione Europea.
Certo a qualcuno potrebbe non piacere, ma queste sono le regole dell¿Europa che vogliamo.
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