Italia
di Eugenio Prosperetti
Partner, Studio Legale
PORTOLANO COLELLA CAVALLO PROSPERETTI
E¿ evidente a tutti la tensione che, negli ultimi anni e, particolarmente negli ultimi mesi, agita il mondo della proprietà intellettuale.
La diffusa reperibilità di materiale audiovisivo, in forma digitale, gratuita e svincolata da supporto, al di fuori dei tradizionali canali di distribuzione ha reso, di colpo, obsoleto un apparato di norme, il cui più lontano impianto può essere fatto risalire all¿Antica Roma, volte a proteggere un diritto immateriale, quale il diritto d¿autore, contenuto tuttavia in un elemento materiale, tangibile, limitatamente riproducibile (es. musicassette) e su cui focalizzare la tutela: il supporto (cd, musicassetta, VHS, DVD, ecc.).
Simili pensieri devono essere passati per la testa degli intellettuali più conservatori del tempo di Gutenberg quando è stata loro descritta l¿invenzione della stampa: la sensazione è quella che sia stata impressa una accelerazione improvvisa e incontrollabile alla diffusione di una tipologia di contenuti che prima era vincolata a modalità più lente e limitate e che gli effetti di ciò potrebbero essere devastanti.
Tali ¿sensazioni¿, unite alla constatazione della notevole crescita del fenomeno della reperibilità su Internet di files contenenti audiovisivi, anche protetti da IPR (Intellectual Property Rights – diritti di proprietà intellettuale) compressi in formato quale ¿mp3¿, ¿avi¿, ¿wma¿, ¿mpeg¿, ¿divx¿ o altri, hanno sollecitato forme di intervento in U.S.A. prima ed in Europa poi.
Negli U.S.A. prima ha cercato di intervenire il mercato: si è cercato, attraverso l¿azione giudiziaria ed economica delle major discografiche si è cercato di far chiudere prima ed acquisire poi la società che sembrava allora l¿unica responsabile del fenomeno in questione: Napster.
Napster in effetti ha chiuso le proprie operazioni ¿gratuite¿ e che coinvolgono files protetti da IPR non autorizzata, tuttavia, la eliminazione di Napster dal mercato U.S.A. ha provocato il sorgere di una serie di software che riuscivano, eliminando la centralizzazione della banca dati, a svolgere la stessa funzione in maniera più efficiente.
Il fenomeno si è dunque ingigantito anziché ridursi.
A questo punto, volendo intervenire in Europa su fenomeni analoghi, si preferisce percorrere prima una strada che negli U.S.A. è stata poco esplorata, quella della regolamentazione del fenomeno.
In un incontro ISIMM svoltosi nel marzo 2003 ed avente ad oggetto la convergenza dei contenuti sui piattaforme multimediali alcuni dei relatori ed interventori presenti oggi scambiavano opinioni sull¿efficacia di normative che regolassero la convergenza; i vari interventi e posizioni espresse si potevano, in estrema sintesi, raggruppare in tre fronti: fronte favorevole alla eteroregolamentazione, fronte favorevole alla regolamentazione ma con una forte componente di autoregolamentazione, fronte favorevole a lasciare il fenomeno al governo del mercato.
Volendo applicare la distinzione al tema di oggi e, dando per scontato, che, sino ad oggi, il governo del mercato ha portato alla ¿ingestibilità¿ e ad una accesa conflittualità tra providers e fornitori di contenuti, rimane da scegliere tra la prima e la seconda soluzione.
Oggi dunque ci interroghiamo su come regolare i nuovi fenomeni di proprietà intellettuale.
Veniamo allora ai due provvedimenti normativi più strettamente d¿attualità: la Proposta di Direttiva recentemente approvata dal Parlamento Europeo avente ad oggetto l¿imposizione di sanzioni per le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale (¿Proposta di Direttiva IPR Enforcement¿) e il recentissimo ¿Decreto Urbani¿ (D.L. 22.3.04 n. 72).
In linea di principio il giudizio da dare all¿esistenza di questi due atti normativi è positivo: essi segnano la volontà del Legislatore di interessarsi di un problema, di vaste proporzioni, che se trascurato rischia di alterare, per la sua sola esistenza, i rapporti tra content providers e service providers.
Ebbene, posto che sia i content providers che i service providers non possono che convenire sulla necessità di tutelare la proprietà intellettuale il fatto che vi siano regole ¿terze¿ ad individuare la forma di protezione dovrebbe essere una garanzia che gli interessi dell¿una parte non prevarranno su quelli dell¿altra.
Tuttavia le regole devono essere regole formatesi attraverso un certo metodo.
Il Decreto Urbani difetta del metodo che si andrà ora descrivendo, la Proposta di Direttiva presenta il medesimo problema anche se tale problema, nel corso dell¿iter di approvazione, si va in qualche misura attenuando con il recepimento di alcune istanze ma non sembra destinato a scomparire del tutto.
Infatti, la regolamentazione relativa al settore delle nuove tecnologie, dei nuovi media e, in particolare di Internet, ha la caratteristica di non poter prescindere dall¿incorporare (i) norme tecniche e modelli di funzionamento di tecnologie; (ii) regole economiche attraverso le quali il mercato di dette tecnologie opera.
Ciò è assente nel Decreto Urbani: esso, sul lato ¿tecnico¿, non esplica, ad esempio, cosa sia un ¿programma di condivisione di file tra utenti¿ e, soprattutto, non chiarisce se occorre un comportamento attivo per ¿condividere¿ un file o se è sufficiente che esso sia presente in rete.
Una conseguenza sicuramente non voluta è che, a causa del Decreto Urbani, diviene incerto il regime delle opere ¿videoregistrate¿ per il tramite del disco rigido del personal computer, che, sui sistemi più evoluti sta rimpiazzando il videoregistratore. Esse infatti potrebbero accidentalmente risultare accessibili (condivise?) da Internet.
Sul lato ¿economico¿ il Decreto non dispiega una sufficiente gamma di misure preventive (incentivi, ecc.). che potrebbero ridurre ¿all¿origine¿ il numero dei soggetti passibili di sanzione.
Dunque, di fronte a questioni come quelle delle nuove forme di sfruttamento/abuso della proprietà intellettuale occorrono norme che partono da un dettagliato studio dei meccanismi della stessa e tali norme devono essere assai analitiche definendo, con precisione ma anche con sufficiente elasticità che tenga conto che la tecnologia non è costante, i limiti tra il lecito e l¿illecito.
Il Decreto Urbani, pur non vietando la complessiva attività di Peer2Peer, da per scontata la definizione preventiva delle problematiche tecniche ed economiche e passa direttamente a sanzionarne gli effetti.
E¿ invece ancora tutta da costruire la definizione in sede normativa della prevenzione più appropriata per le ¿nuove¿ violazioni dei diritti di proprietà intellettuale e degli ¿strumenti di lavoro¿ per assicurarne la più corretta diffusione.
Alcune proposte:
1. Da più parti è avvertita l¿esigenza di mandare un segnale di incoraggiamento forte ai produttori indipendenti e agli autori in generale riformando, cosa che sarebbe quanto mai necessaria, la struttura dei contratti tipici contenuta nella Legge sul Diritto d¿Autore.
I contratti tipici, edizione e rappresentazione, previsti dalla Legge 633/41 (Legge sul Diritto d¿Autore) sono infatti reputati obsoleti dalla industria dei nuovi media e si ricorre a schemi ¿di importazione¿ che esulano da un vero e proprio riconoscimento normativo e, in fin dei conti, non sono adatti al nostro ordinamento.
Configurando contratti tipici che prevedano la distribuzione online di contenuti si potrebbe iniziare a disciplinare preventivamente il fenomeno.
2. Agevolazioni fiscali per i content providers ed i service providers che decidano di mettere a disposizione del pubblico materiale audiovisivo ¿legittimo¿ incentiverebbero la creazione di una alternativa competitiva alle fattispecie di distribuzione incontrollata di materiale protetto. E¿ la logica perseguita dalla Unione Europea che, con la Direttiva 2002/38/CE ha introdotto agevolazioni fiscali per il commercio diretto online di software volte ad incentivare lo stabilimento sul suolo comunitario dei fornitori online extracomunitari.
In questa attività devono inoltre essere verificate assieme ai service providers le soluzioni concretamente attuabili. In ciò lo strumento della soft-regulation non deve essere trascurato: strumenti quali Codici di Autodisciplina e Service Level Agreements devono essere attentamente valutati ed utilizzati se si raggiunge un accordo tecnico circa le modalità di screening concretamente attuabili.
3. L¿utente che prelevi un file da Peer2Peer non sempre ha modo di sapere, in teoria, se sta prelevando contenuto legittimo o meno (ma ciò non sembra essere previsto dal ¿Decreto Urbani¿): occorrerebbe creare, prima di poter elevare sanzioni, una sorta di ¿certificazione¿ da associare al file, una replica ¿online¿ del contrassegno SIAE.
Peraltro tale ¿contrassegno virtuale¿ potrebbe essere creato anche nella forma di ¿crediti¿: una carta ricaricabile con la quale gli utenti, pagando a consorzi o alla SIAE, diritti di proprietà intellettuale, ottengono legittimazione ad effettuare download, presso determinati siti gestiti da providers autorizzati di materiale Peer2Peer anche per il quale i diritti non sono stati originariamente corrisposti. Tale proposta risolverebbe solo in parte i problemi derivanti dalla circolazione di opere all¿interno di Internet ma consentirebbe almeno un parziale ritorno degli investimenti e rappresenterebbe un compromesso per consentire di avviare la costruzione di una fase ¿gestita¿ dal mercato.
4. Prima che la sanzione venga elevata, prevedere una procedura, simile alla ¿notice and take down¿ sperimentata negli Stati Uniti: l¿interessato dovrebbe essere avvertito dell¿infrazione dal titolare che, fornendo prova della titolarità dovrebbe dare un termine previsto dalla legge per rimuovere il materiale. In alternativa la legge dovrebbe consentire di promuovere opposizione (eventualmente creando un¿apposita procedura di conciliazione). Tale procedura è un esempio di qualcosa che potrebbe essere efficientemente regolato tramite ¿soft regulation¿.
Infine, si deve rilevare che, storicamente, l¿Italia, pur distinguendosi per aver sempre previsto aspre sanzioni a tutela della proprietà intellettuale, è considerata un mercato ¿a rischio¿ nelle classifiche.
Ciò conferma la necessità di riflettere attentamente sulla metodologia, di progressivo inasprimento di sanzioni non accompagnate da misure preventive, sinora seguita.
Perseguendo infatti nell¿introdurre normative esclusivamente sanzionatorie non si tutela l¿interesse dei content providers, non si tutela l¿interessa degli utenti e non si tutela quello dei service providers.
I content providers vedono infatti diminuire gli accessi a banda larga: veicolo futuro di diffusione di contenuti importantissimo, i service providers soffrono per lo stesso motivo e gli utenti vedono una contrazione del mercato che spinge la minoranza che attua i comportamenti illegittimi a portare questi comportamenti ¿off-line¿ (scambio di contenuti su media rimovibili con danno maggiore e impossibilità di essere ¿tracciati¿) ma non a desistere.
Comunque più equilibrato l¿approccio, se verrà confermato, della Proposta di Direttiva. Questa, come noto, non sanziona la copia privata ma solo lo sfruttamento ai fini commerciali non autorizzato degli IPR. Tuttavia la Proposta di Direttiva è anch¿essa carente di elementi tecnici volti ad inquadrare con precisione il fenomeno del file sharing e consiste soprattutto di sanzioni.
Si auspica, in sede di conversione della medesima, una volta approvata, una integrazione in questo senso da parte del legislatore nazionale.
In conclusione, rispondendo all¿interrogativo iniziale, si ritiene che la tecnica normativa in materia di ¿nuova¿ proprietà intellettuale non possa prescindere da uno stretto contatto con il mercato e, in conseguenza, dall¿ampio uso di forme di autoregolamentazione congiunte ad una eteroregolamentazione terza che, evitando di privilegiare l¿una o l¿altra categoria, costituisca un riferimento ed una utile piattaforma di mediazione per lo sviluppo del mercato.
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