Italia
di Angelo Zaccone Teodosi
Presidente
IsICult– Istituto italiano per l”Industria Culturale
Ne sarà lieto, certamente, il Ministro Urbani, e, con lui, quella parte dei produttori cinematografici italiani ed europei che restano convinti che lo “strapotere” delle multinazionali dell”immaginario possa essere contrastato, nella Vecchia Europa, solo con un intervento deciso della “mano pubblica” nel libero mercato. “Mano pubblica” che si traduce in finanziamenti agevolati, se non in vere e proprie sovvenzioni a fondo perduto (“in conto capitale”, come suol dirsi con eufemismo dettato da pudore semantico).
Per capirci, si tratterebbe di quei 750 miliardi di lire che – secondo Urbani – lo Stato italiano avrebbe perduto, nell”arco di 6 anni, per finanziare l”industria cinematografica nazionale: come Key4biz.it ha riportato accuratamente, in occasione dell”approvazione definitiva, da parte del Consiglio dei Ministri, venerdì scorso 12 marzo, del decreto legge “emergenziale” (al grido disperato “sono finiti i soldi per il cinema!!!”), il Ministro ha proposto un “resoconto” deprimente quanto impressionante, in relazione al quale si resta in attesa di dati dettagliati.
Urbani, in conferenza stampa, ha sostenuto che negli ultimi sei anni, secondo le sue stime, lo Stato avrebbe speso 1.200 miliardi di vecchie lire a favore del cinema, ed avrebbe ricevuto ricavi per 450 miliardi; il “rientro” sarebbe stato quindi, a fronte di 100 di spesa, di 37,5¿ Urbani ha anche aggiunto che l¿80 per 100 dei film prodotti in Italia negli ultimi anni, finanziati con danari pubblici,non avrebbe registrato più di 500 spettatori in sala… Secondo qualcuno, la seconda affermazione determinerebbe un dimensionamento improbabile dei ricavi dei film italiani che incassano, cioé del restante 20 per cento (anche perché, soprattutto in anni recenti, alcuni film di maggiore incasso commerciale sono stati prodotti senza il sostegno pubblico). In verità, si insinua, il “buco” sarebbe di dimensioni ancora maggiori… Non è possibile verificare la veridicità assoluta di queste affermazioni, in assenza di informazioni più precise. Vero è che, ormai, gran parte dei flussi di ricavi di un film cinematografico non deriva – se non in casi eccezionali – dalla sala cinematografica, e, quindi… E” anche vero, però, che un film che ha ottenuto… 499 spettatori in sala non riceverà – anche in questo caso fatte salve eccezioni – grandi somme da emittenti televisive e distributori homevideo…
La Commissione Europea, il 16 marzo, ha sostanzialmente deciso che i Governi nazionali possono emanare normative a favore dell”industria cinematografica, senza che ciò possa essere considerato unaturbativa delle regole fondamentali del libero mercato, almeno fino a fine giugno 2007: la comunicazione della Commissione è stata adottata dalla Reding e dal suo collega Monti, e quindi, in questo caso, “cultura” e “mercato” sembrano essersi sintonizzate,la “protettiva” ed il “liberista” sembrano essersi trovati d”accordo. La deroga in essere, adottata nel settembre 2001, è stata prorogata per tre anni.
Mala tempora, quindi, per i liberisti sfrenati ed esasperati, per i nemici degli aiuti di Stato: d”altronde, l”imperatore di Vivendi, Jean-Marie Messier, è stato detronizzato ormai da un paio di anni (luglio 2002), e resta solo nel cestino della storia il suo grido di battaglia (“l”eccezione culturale francese è morta”), che tante polemiche determinò non solo in Francia.
La Commissione ha altresì deciso di attivare una ricognizione accurata, uno studio di valutazione d”impatto (da concludere prima della fine delperiodo di rinnovata deroga rispettoai criteri generali), sui sistemi di sostegno adottati dai vari Paesi.
Sarebbe auspicabile che anche il Ministro Urbani assumesse una decisione simile: è o non è un liberale checerca di mettere in atto la lezione di Einaudi, il “conoscere per deliberare”? In effetti, da più parti viene invocata maggiore trasparenza e maggiore chiarezza nella “contabilità″ pubblica in materia di sostegno statale alla cultura. Basti pensare che la stessa Commissione Cultura del Senato ha promosso in questi giorni un”indagine parlamentare, per cercare di capire come funziona il finanziamento pubblico dello spettacolo dal vivo, con particolare attenzione a quelle assurde macchine “divorasovvenzioni” che sono gli enti lirici (che assorbono circa 250 milioni di euro l”anno, dal bilancio dello Stato). In Italia, lo stato dell”arte delle analisi valutative, costi/benefici, efficienza/efficacia, è assolutamente allarmante.
Peraltro, non essendo ancora stati emanati i decreti di attuazione della “legge Urbani” sulla cinematografia, non è ancora possibile comprendere al meglio le caratteristiche della nuova norma, ed anche solo l”impatto generale sull”economia del settore. Senza dubbio, aver comunque imposto una barriera del 50 per cento, come tetto massimo di finanziamento pubblico (a fronte del 70 e spesso 90 per cento del passato) di una produzione cinematografica, determinerà un impatto significativo, rispetto ad un sistema che si è spesso caratterizzato per un eccesso di pratiche basse (assistenziali, se non consociativo-clientelari).
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