Italia
di Francesco Portolano
e Daniela Marrani
Regolamento ¿digitale terrestre¿ e nuove categorie di operatori radiotelevisivi
Il Regolamento relativo alla radiodiffusione in tecnica digitale terrestre (Delibera 435/01/CONS dell¿Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) introduce una fondamentale distinzione tra ¿operatori di rete¿, ¿fornitori di contenuti¿ e ¿fornitori di servizi¿. Per ciascuna di queste categorie il Regolamento determina i requisiti che ciascun soggetto deve possedere per poter ottenere dall¿Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni il necessario titolo (autorizzazione o licenza).
Per quanto riguarda in particolare i requisiti per divenire fornitore di contenuti televisivi, il Regolamento ne prevede alcuni che possono costituire un potenziale ostacolo all¿accesso al mercato di operatori di dimensioni ordinarie.
Operatore di rete e fornitore di contenuti
Esaminiamo preliminarmente la natura ed il ruolo del ¿fornitore di contenuti¿, confrontando le definizioni che di questa categoria e dell¿¿operatore di rete¿ dà il Regolamento.
Operatore di rete è ¿il soggetto titolare del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di comunicazioni elettroniche e di impianti di messa in onda, multiplazione, distribuzione e diffusione e delle risorse frequenziali che consentono la trasmissione agli utenti dei blocchi di diffusione¿.
Fornitore di contenuti è invece ¿il soggetto che ha la responsabilità editoriale nella predisposizione dei programmi destinati alla radiodiffusione televisiva e sonora¿.
Mentre nel sistema della TV analogica gli operatori sono integrati ¿in linea verticale¿ e svolgono un ampio ventaglio di attività (consistenti nella gestione della rete di trasmissione, nella creazione di contenuti, nella vendita di spazi pubblicitari, ecc.), nel contesto della TV digitale terrestre gli operatori sono specializzati e ciascuno si concentra sulla gestione della rete di trasmissione o sulla creazione dei contenuti.
Questa separazione non è peraltro nuova nel sistema radiotelevisivo. Già da un certo tempo, infatti, nel settore della TV satellitare si era affermata (prima nella prassi e poi anche nella normativa applicabile) una analoga separazione tra il carrier e gli ¿editori¿ dei vari canali. E d¿altronde ciò non dovrebbe sorprendere in quanto l¿offerta digitale terrestre dovrebbe con il tempo somigliare, da un punto di vista strutturale e di sistema, a quella satellitare: un ampio numero di canali, la necessità di sistemi evoluti di consultazione dei palinsesti (electronic program guide), la presenza di canali in chiaro e criptati, la possibilità di sottoscrivere abbonamenti di vario tipo con carrier diversi, la possibile interattività, ecc.
Proprio il parallelo TV satellitare-TV digitale terrestre potrà, come si vedrà di seguito, aiutare a capire per quale motivo si ritiene che i requisiti fissati nel Regolamento per divenire fornitori di contenuti sono forse, almeno in parte, non in linea con le funzioni ed il ruolo a loro attribuiti nel sistema del digitale terrestre.
Requisiti per fornitori di contenuti
Passando ad un esame concreto dei requisiti che riteniamo non adeguati, e tralasciando quelli invece facilmente condivisibili (es.: assenza di condanne per delitti non colposi a carico degli amministratori del soggetto richiedente), osserviamo che, secondo il Regolamento, il soggetto richiedente la licenza per fornitori di contenuti a livello nazionale deve:
essere costituito in forma società di capitali o cooperativa con capitale sociale interamente versato (al netto delle perdite) di almeno Euro 6.200.000;
impiegare almeno venti lavoratori dipendenti.
Il requisito del capitale sociale minimo: un requisito anacronistico?
Esaminando preliminarmente il requisito del capitale sociale (pari ad almeno Euro 6.200.000), non si può non avere qualche perplessità.
Innanzitutto, possiamo ipotizzare che alcuni dei naturali candidati a divenire fornitore di contenuti in ambito terrestre siano i soggetti che attualmente forniscono i contenuti alle piattaforme satellitari. Ebbene, da una sommaria verifica, senza pretese di scientificità, un numero molto esiguo degli attuali ¿fornitori di contenuti satellitari¿ ha oggi un capitale sociale pari o superiore a Euro 6.200.000. Ciononostante, non sembra si possa affermare che l¿offerta di contenuti satellitari sia scarsa, scadente, indifferenziata. Anzi, riteniamo si possa affermare che, pur in presenza di un mercato della TV satellitare non sviluppato, l¿offerta di canali satellitari abbia tutte le qualità opposte: qualità, varietà, ecc.
Parallelamente, altri potenziali futuri ¿fornitori di contenuti¿ potrebbero essere identificati nei produttori indipendenti. Anche tra questi, molto pochi sono i soggetti dotati di un capitale sociale pari o superiore a Euro 6.200.000. Quindi, la grande maggioranza dei produttori indipendenti rischierebbe di essere esclusa dal concorrere a divenire fornitore di contenuti. A nostro giudizio, ciò contrasta con la ¿protezione¿ (riserva delle quote di programmazione, ecc.) che la normativa (di derivazione comunitaria) concede ai produttori indipendenti. Anche in questo caso, peraltro, è evidente che numerosi produttori indipendenti, pur dotati di capitale sociale ¿esiguo¿, possano contribuire alla diversificazione dell¿offerta di contenuti, realizzare prodotti di qualità (qualsiasi ne sia la natura), essere solidi economicamente, ecc.
Da un punto di vista di alcuni dei possibili futuri ¿fornitori di contenuti¿, dunque, il requisito del capitale sociale pari a Euro 6.200.000 rischia di ottenere un risultato forse non desiderabile.
Peraltro, il requisito di un capitale sociale ¿minimo¿ così elevato, sembra non trovare giustificazione neppure da un punto di vista economico-aziendale. Ciò emerge, a nostro avviso, evidenziando le diverse caratteristiche dell¿operatore di rete e del fornitore di contenuti.
L¿operatore di rete, responsabile della realizzazione, gestione, manutenzione e miglioramento di un infrastruttura di rete, dovrà compiere sostanziali e continui investimenti in capitale (in senso economico) e sostenere costi fissi elevati. In questo caso, potrebbe avere un senso richiedere un capitale sociale tale da far presumere una adeguata solidità economica (e ciò, solo qualora si volesse effettivamente ritenere il capitale sociale un indicatore della solidità ed affidabilità di un soggetto, il che è anch¿esso alquanto discutibile).
Il fornitore di contenuti, invece, dovrebbe normalmente poter svolgere la propria attività con costi fissi meno elevati e maggiore flessibilità. A titolo esemplificativo, gli investimenti in conto capitale principali sarebbero relativi agli studi televisivi e alle apparecchiature di ripresa, registrazione, post-produzione, ecc. Mentre una gran parte dei costi potrebbero essere di natura variabile (es.: un presentatore di un determinato programma, attori per una serie fiction). Considerando inoltre che i fornitori di contenuti televisivi potranno fornire palinsesti ¿parziali¿ è ancor più evidente come le risorse di capitale immobilizzato necessarie, da un punto di vista economico, potrebbero essere non ingenti. Allo stesso modo, si potrebbe immaginare invece un fornitore di contenuti che si propone di fornire più palinsesti di vario tipo, nel qual caso le risorse necessarie sarebbero sicuramente superiori.
Come già accennato, occorre inoltre riflettere sulla effettiva capacità del capitale sociale di dare un¿indicazione sulla affidabilità e solidità di una persona giuridica. Da un punto di vista economico e contabile, i parametri utilizzati per la identificazione della solidità economica sono ben diversi dal semplice riferimento al capitale sociale (patrimonio netto, prospettive reddituali, ecc.). Solo da un punto di vista giuridico il capitale sociale continua a svolgere una funzione di garanzia di creditori, ma anche in questo caso ciò è vero sempre meno in considerazione dell¿evoluzione normativa e giurisprudenziale degli ultimi anni.
Infine, occorre ricordare che il medesimo ammontare di capitale sociale era richiesto (è tuttora richiesto) ai titolari di concessione per la radiodiffusione analogica terrestre. Anche da ciò a nostro avviso emerge la sproporzione, laddove si consideri che si richiede lo stesso capitale sociale a soggetti (i concessionari e i fornitori di contenuti) aventi ruoli, diritti, doveri e impegni economici del tutto diversi.
Il requisito del numero minimo di dipendenti: un requisito poco ¿flessibile¿?
Si dubita che il requisito del numero minimo fissato in venti lavoratori dipendenti possa essere agevolmente raggiungibile da soggetti che, essendo soprattutto produttori e assemblatori di palinsesti, svolgono principalmente un¿attività consistente nella prestazione d¿opera intellettuale che richiede, per sua natura, una scarsa organizzazione di mezzi. Tale caratteristica è dunque difficilmente compatibile (almeno per i fornitori di contenuti di medie dimensioni) con l¿obbligatorio utilizzo di un numero minimo di lavoratori dipendenti.
A proposito di ciò, si deve tener presente che la natura dei rapporti di lavoro instaurati dai ¿fornitori di contenuti¿ potrebbe spesso legittimamente consistere principalmente in collaborazioni professionali e contratti di consulenza e collaborazioni ¿a progetto¿. Per esempio, un fornitore di contenuti potrebbe stipulare contratti di collaborazione a progetto con i protagonisti di un numero determinato di episodi di una fiction.
Inoltre, considerato che il legislatore da alcuni anni ha introdotto e incentivato, con sempre maggior impegno, figure alternative di lavoro e collaborazione professionale (da ultimo con la Legge Biagi), attenuando quindi in maniera significativa la preferenza per il lavoro subordinato, un requisito occupazionale fissato esclusivamente in termini di ¿lavoratori subordinati¿ potrebbe ritenersi in contrasto con la detta evoluzione normativa.
Conseguenze negative dei rigidi requisiti di accesso
Da quanto sopra indicato emerge che a nostro giudizio il capitale sociale minimo e il numero minimo di lavoratori dipendenti costituiscono requisiti rigidi, non adeguati e non proporzionali al fine che si intende raggiungere. Essendo infatti determinati con parametri fissi, non tengono conto della varietà di posizioni possibili nell¿ambito della categoria dei fornitori di contenuti.
Tale forse non giustificata severità dei requisiti, può costituire una potenziale barriera all¿ingresso nel mercato dei fornitori di contenuti. Detta barriera potrebbe determinare una scarsità di fornitori di contenuti, la cui conseguenza sarebbe la difficoltà di ¿riempire¿ di contenuti l¿ampio numero di canali digitali per assenza di chi questi contenuti li dovrebbe realizzare. A nostro giudizio, invece, la normativa, dovrebbe incentivare la formazione di un ampio mercato dei fornitori di contenuti, così da poter realizzare un ampia e diversificata offerta di palinsesti.
Una proposta alternativa in merito ai requisiti per ¿fornitori di contenuti¿
Pur condividendo le finalità della disciplina in esame (cioè: verificare la solidità dei fornitori di contenuti e la serietà dell¿impegno a realizzare un certo palinsesto, garantire la solvibilità degli stessi a fronte delle loro responsabilità editoriali, ecc.), a nostro giudizio, è possibile formulare i requisiti per i fornitori di contenuti in maniera alternativa e più in linea con l¿attuale contesto di convergenza tecnologica e di evoluzione normativa.
In relazione al capitale sociale minimo, potrebbe essere ragionevole richiedere un capitale sociale pari, non ad una cifra fissa (che dovrebbe essere per di più aggiornata periodicamente), ma ad una percentuale del totale degli investimenti previsti nel piano economico finanziario della società. Tale criterio è peraltro non nuovo al settore delle comunicazioni, in quanto era stato già adottato con successo per alcune tipologie di operatori del settore delle telecomunicazioni. In tal modo, si verrebbe a calibrare il requisito del capitale sociale ai piani della società che intende divenire fornitore di contenuti.
In questo modo, non si verrebbero a determinare situazioni in cui un fornitore che intenda realizzare contenuti a basso costo, per palinsesti di meno di 24 ore, per un pubblico di nicchia (quindi con aspettative di redditività del capitale non elevatissime), è costretto ad adottare un capitale che in ipotesi potrebbe essere largamente superiore alle effettive necessità.
In relazione al requisito del numero minimo di lavoratori subordinati, si potrebbe modificare questo requisito richiedendo un ¿personale¿ minimo, comprendendo in questa definizione non solo i lavoratori subordinati, ma anche quelle altre figure professionali che normalmente (e legittimamente) operano all¿interno di un¿azienda.
In conclusione
I meritevoli interessi tutelati dai requisiti presenti nel Regolamento possono essere raggiunti modulando gli stessi requisiti in maniera leggermente diversa. In tal modo, sarebbe possibile rendere più libero l¿accesso al mercato dei fornitori di contenuti.
Consulta anche:
Il Rapporto sulla Televisione Digitale Terrestre di key4biz.it