Europa
di Vanna Araldi –
(1a Parte) – I rumori in sala macchine fanno pensare ad un rilevante cambiamento di strategia: poiché, in Francia, è sempre più urgente attendere la TDT, la necessità di costruire uno ¿Stato digitale nella Società dell¿Informazione¿ (Plan Re/So 2007) determina gli operatori nazionali a convogliare il loro ossigeno verso l¿ADSL. La tv s¿intrufola nel filo del telefono ma, per andare molto più veloci, un po¿ più lontano, si corre il rischio di rendere cianotica la televisione numerica terrestre, ancora prima del suo lancio.
Presentatasi come una sirena dalle mille lusinghe – un ¿posto al sole¿ verso cui orientare il nuovo dell¿epopea catodica – laTDT riesce a mobilitare, da subito, i grandi capitali e i diversi poteri, salvo poi rivelare – al momento del suo previsto decollo – di non avere vento sotto le ali e di essere sprovvista di credibilità.
Se ovunque, in Europa, essa pare ripetere, imperterrita, un logoro mantra che narra dei suoi infiniti benefici, oltralpe la sua crescita è umiliata, tanto dall¿enorme dinamismo che carbura nelle altre piattaforme, quanto dal carico utile d¿ingombranti prudenze che grava su chi, ancora, non ha trovato – per questa tecnologia – l¿equazione economica vincente.
La rivoluzionaria ¿materia magmatica¿ fornita dal digitale terrestre bussa, con fermezza, a Matignon, nel 2000, quando al governo vi è il Partito Socialista di Jospin.
Per quanto il posizionare e definire delle politiche sia sempre piuttosto complicato, la sinistra al potere, constatando di avere a che fare con una tecnologia irreversibile, in grado d¿imporsi senza autorizzazioni, si adopera con zelo, affinché la promettente ¿intuizione gassosa¿ del digitale terrestre abbia a raffreddarsi nello stampo di un fine e rigoroso quadro giuridico. (Grazie al cielo, non in tutte le democrazie vi è, nell¿humus naturale della vita pubblica, quello di vivere della rendita dell¿inerzia!).
Senza essere costretto, come altrove, a puntare tutto sulle capacità taumaturgiche dei principali operatori, il governo Jospin affronta la questione dell¿etere numerico puntando su uno schema di soluzione organica che, mentre affida al CSA (Conseil Supérieur de l¿Audiovisuel) il compito di ¿direttore d¿orchestra¿, manifesta la volontà politica di rilanciare e confortare il ruolo del servizio pubblico.
Imboccata con un certo ¿nitore¿, tuttavia, la strada di sviluppo del progetto TDT si popola, presto, di scettici e detrattori, inorriditi dall¿idea d¿introdurre nell¿equilibrio del PAF (Paysage Audiovisuel Français) null¿altro se non un elemento di forte destabilizzazione, generoso di numeri incantatori e pervaso da una gragnola di trappole capaci di tramortire anche gli elementi meno fragili del sistema.
A partire da questo momento, il moltiplicarsi delle incognite e delle reticenze ammorba l¿intero progetto. Le ombre che si proiettano sul guado fanno archiviare i migliori sogni strategici: nessun modello di business è sì poco nebuloso da risultare valido; l¿offerta free non ha contenuto; la distribuzione commerciale dei canali pay è priva di candidati.
Con il governo Raffarin, la televisione digitale terrestre – proprio come nell¿omonimo dramma musicato da Bizet – continua a giocare all¿Arlésienne.
Certo, il progetto non viene sepolto (non dopo la pubblicazione di un Rapporto considerato killer, del vecchio presidente di Radio France, Michel Boyon; nemmeno dopo il braccio di ferro giuridico che ha visto contrapporsi l¿Authority a TF1 e M6, colpevoli di opporsi ad una nuova pianificazione delle frequenze) tuttavia, il calendario che ne scandisce i progressi, seguita a subire rinvii ed il perimetro del servizio pubblico circoscrive uno spazio via via più ridotto.
La constatazione di una TDT non remunerativa, con un corteggio sempre più pesante di questioni irrisolte, non solo mette piombo sulle ali della politica dell¿attuale Esecutivo, ma lo costringe a difendere l¿intero progetto a prezzo di autentiche contorsioni.
Posto di fronte ad uno scadenzario che assomiglia di più ad una dichiarazione d¿intenti – e che, per raggiungere il solo 35% della popolazione, prevede di collocare il lancio tra il I° dicembre 2004 ed il 31 marzo 2005 – il Governo è costretto ad assicurare, ufficialmente, circa la propria determinazione a non lasciare cadere nel vuoto il fascicolo digitale terrestre. A dispetto dei ricorrenti rintocchi di morte, quindi, il dibattito si vuole ancora vivissimo ma, per continuare a suonare questo inno, ça va sans dire, s¿impone l¿obbligo tanto di rabberciare i conti, quanto di civettare con gli operatori, per far loro cogliere fino a che punto sia allettante la torta; di pettinare la curiosità smagata degli utenti, quanto e soprattutto, di ridimensionare le ambizioni di France Télévisions.
Costretta, da operazioni d¿ingegneria tecnologica ed economica, a ragionare con la logica dei piccoli passi, la destra al potere rimette, nella disponibilità del CSA, due dei tre multiplex che il servizio pubblico si era visto attribuire; auspica che, sul solo conservato, F2, F3, F5, Arte ed il Canale Parlamentare, possano essere riuniti; manifesta il suo ottimismo circa l¿individuazione dei soggetti ai quali affidare la distribuzione commerciale dell¿offerta pay, nonostante la titubanza di Canal+ – impegnato a ricercare i suoi piccoli abbonati smarriti – il diniego di TPS e la desistenza dell¿operatore telefonico Orange.
Dopo aver trascinato i piedi sotto la pressione di ¿pesi massimi¿ ostili o, anche solo prudenti, questo stesso Governo che, a tratti, ostenta fiducia, si lascia avviluppare nelle spire dei suoi molteplici dubbi. Nel budget 2004, non c¿è un centesimo consacrato alla TDT. Per contro, 100 milioni di euro stanziati per favorire lo sviluppo di Internet ad alta velocità, permette l¿affacciarsi sulla scena di un¿arma destinata ad offenderla: la televisione via ADSL. In barba alla concorrenza ¿costruttiva¿, ora si gioca anche di fioretto.
Aspettando la TDT. Convergence oblige: gli operatori tv francesi appesi al tele
(2a Parte)