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World Online è stata riconosciuta colpevole da una Corte olandese di aver rilasciato ai propri azionisti informazioni fuorvianti al momento dell¿introduzione in Borsa nel marzo del 2000.
Tiscali, l¿Isp italiano che aveva acquisito la società in quell¿anno, è stato dunque condannato a versare danni e interessi in ragione delle poco chiare procedure di immissione sul mercato della società.
Il montante della multa non è ancora stato precisato, ma Tiscali ha già reso noto di voler presentare appello contro questa decisione, nella convinzione che non fosse necessario fornire ulteriori chiarimenti, vista la comprovata correttezza del prospetto informativo.
Inoltre un eventuale risarcimento dovrà essere preceduto da un nuovo procedimento nel quale l¿associazione degli azionisti avrà l¿onere di provare il nesso causale e l¿ammontare del danno eventualmente subito.
Secondo l¿Associazione olandese che riunisce i proprietari di azioni (VEB) e che aveva fatto causa al gruppo nel 2001, la fattura si aggirerebbe intorno ai 100 milioni di euro.
World Online, uno dei fornitori d¿accesso a Internet più popolari all¿epoca della bolla speculativa, è stato introdotto in Borsa il 17 marzo del 2000. L¿evento, attesissimo dagli investitori, è stato però molto deludente: anche se l¿operazione ha consentito alla società di raggiungere in brevissimo tempo un valore di 12 miliardi, le azioni ¿ introdotte a 42 euro – altrettanto velocemente hanno perso il 70% del loro valore.
Gli analisti allora definirono la performance come nella norma, ma a scatenare le polemiche fu piuttosto il comportamento dell¿ex presidente e fondatrice Nina Brink.
La numero uno della società aveva infatti, ceduto 10 milioni di titoli nel dicembre del 1999 al prezzo di 6 euro, ossia l¿86% in meno del valore iniziale di quotazione. Un atteggiamento quanto meno sospetto, da parte di una dirigente che sta per introdurre in Borsa la propria creatura.
Il prospetto di quotazione presentato agli azionisti, inoltre, non avrebbe fatto alcun riferimento all¿operazione, limitandosi a menzionare un trasferimento di azioni ma mai una vendita. Alla scoperta di queste vicende, il titolo è crollato in Borsa e la Brink è stata costretta alle dimissioni.
Ma non è finita qui: la signora avrebbe infatti firmato una clausola con l¿acquirente dei titoli ¿ la Bayer Capital ¿ che le avrebbe permesso di mettere le mani su una parte del plusvalore realizzato con le cessioni di quote realizzate prima della quotazione.
Insomma un escamotage che ha consentito alla Brink di vendere ¿ cosa che non avrebbe potuto fare se le azioni fossero rimaste a suo nome ¿ e di guadagnarci bene, mentre i risparmiatori vedevano crollare il valore del proprio investimento.
Nel frattempo, l¿Isp era stato rilevato da Tiscali per 3,4 miliardi di euro. Sarà dunque l¿azienda cagliaritana a dover rispondere delle accuse, pur dicendosi fiduciosa dopo che i giudici hanno respinto la grandissima parte delle richieste dei vecchi soci.
¿Faremo appello contro la decisione ¿ ha spiegato il CFO Tiscali Massimo Cristofori – riteniamo di aver ragione¿, ma perché il procedimento giunga a conclusione potrebbero volerci ancora degli anni.