Italia
di Francesco Graziadei
E¿ imminente la definitiva approvazione da parte del Parlamento del disegno di legge presentato dal Ministro delle comunicazioni, On. Maurizio Gasparri, concernente il riassetto del sistema radiotelevisivo.
Provo allora a formulare alcune (finali) considerazioni di carattere generale sul testo del ddl (di cui tanto animatamente si discute negli ultimi tempi) e sul suo impatto nel medio – lungo periodo.
Tetti ¿antitrust¿ ed emittenza in tecnica analogica
Come noto il disegno di legge Gasparri deve intervenire sull¿eccessiva concentrazione dell¿emittenza televisiva nazionale terrestre in tecnica analogica. Lo impone (in realtà da anni) la Corte Costituzionale. La strada scelta è di evitare interventi deconcentrativi sull¿esistente, imponendo invece una vertiginosa accelerazione nella realizzazione dei sistemi diffusivi digitali che aumenteranno il numero di programmi diffusi, ¿diluendo¿ automaticamente il peso degli operatori esistenti.
Nel compiere questa operazione il ddl però equipara reti digitali che coprono il 50% della popolazione alle reti analogiche (che in alcuni casi raggiungono più del 90% degli italiani). A parte la diversa percentuale di copertura, nel digitale non basta ¿coprire¿ ma è necessario che gli utenti abbiano il decoder per ricevere il segnale. E¿ previsto che l¿Autorità per le comunicazioni verifichi il livello effettivo di diffusione dei sistemi digitali su frequenze terrestri. Tale verifica però si svolgerà dopo un anno dal 31 dicembre 2003, data che invece doveva essere quella definitiva per adeguarsi ai precetti della Corte Costituzionale (espressi nella sentenza n. 466 del 2002): incongruenza questa sottolineata recentemente dallo stesso Presidente dell¿Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, AGCOM, (si veda il parere reso alle Commissioni VII e IX della Camera dei Deputati lo scorso 10 settembre). Inoltre la valutazione dell¿Autorità sembra ancorata a parametri incerti. Chi stabilisce cosa debba ritenersi un ¿¿effettivo ampliamento delle offerte disponibili e del pluralismo nel settore televisivo¿?
Ma ancora.
Cosa può fare l¿Autorità se il livello di pluralismo non è effettivo dopo un anno dal 31 dicembre 2003? Secondo il testo del ddl l¿Autorità, effettuata la verifica, può inviare una relazione a Governo e Parlamento e formulare ¿proposte di interventi diretti a favorire l¿ulteriore incremento dell¿offerta di programmi digitali terrestri e dell¿accesso ai medesimi¿ (art. 25, comma 3). L¿assenza di incisivi poteri di intervento dell¿Autorità è stata sottolineata recentemente anche dal suo presidente, prof. Enzo Cheli (si veda ancora il parere reso alle Commissioni VII e IX della Camera dei Deputati lo scorso 10 settembre).
Il diverso ¿peso¿ delle nuove reti digitali rispetto a quelle analogiche ha motivato le critiche anche del Presidente dell¿Antitrust Tesauro (si veda il parere reso alle Commissioni VII e IX della Camera dei Deputati lo scorso 10 settembre). A tale anomalia hanno cercato di porre rimedio (senza però esito positivo) alcuni emendamenti presentati dall¿opposizione che tentavano di introdurre un riferimento alla effettiva possibilità di ricezione del segnale da parte di un vasto pubblico (ancorandola a ben precisi parametri tecnici di penetrazione) ed attribuivano altresì maggiori poteri di intervento all¿Autorità per le comunicazioni nella verifica sulla diffusione dei nuovi sistemi.
Il digitale nella fase transitoria
Un¿altra delicatissima questione è se incrementandosi ¿effettivamente¿ i mezzi di diffusione grazie all¿introduzione del digitale (cioè assumendo pure che una rete digitale con copertura del 50% della popolazione valga quanto una rete analogica) aumentino concretamente gli spazi di pluralismo.
Le perplessità sorgono da due fattori.
Il primo fattore. Nella fase transitoria gli operatori di rete in tecnica digitale saranno pochi e più precisamente saranno gli stessi incumbents dell¿emittenza in tecnica analogica. Questo si ricava dal meccanismo di assegnazione/circolazione delle frequenze introdotto dalla legge 66/01, precisato nel regolamento dell¿Autorità per le comunicazioni (Del. 435/01/CONS) e confermato dal ddl Gasparri. Tale meccanismo esclude di fatto nell¿immediato procedure aperte e non discriminatorie di assegnazione delle frequenze per fare reti TDT, poiché, ai fini della realizzazione di reti digitali, consente alle attuali emittenti la conservazione o del canale esercito in analogico oppure ¿ in alternativa – del canale acquisito sul ¿mercato¿ delle frequenze (mercato in realtà ¿ristretto¿ e riservato agli incumbents).
In questo si evidenza la distanza del ddl dalle direttive comunitarie. E¿ vero che il comma 4 dell¿articolo 12 introduce in via generale il principio di trasparenza e non discriminazione nell¿assegnazione delle radiofrequenze.
Ma, per le ragioni di cui si è detto, tali principi concretamente si applicheranno solo quando vi saranno frequenze da assegnare, e dunque, con ogni probabilità, solo successivamente alla totale cessazione delle diffusioni analogiche (la quale, come ormai generalmente si ritiene, avverrà ben oltre la data di legge del 31 dicembre 2006).
E¿ un limite del quadro normativo precedente (chi scrive lo ha sempre sostenuto) che è ora condiviso e riproposto dal ddl Gasparri. A riguardo è indubbio che la complessità della situazione italiana (nascita ¿deregolamentata¿ e non pianificata dell¿emittenza privata e totale occupazione dell¿etere) richieda di affrontare tali profili con grande senso della realtà e cercando soluzioni di compromesso. Sembra però che nel corso di più di un anno di dibattito in Parlamento i tentativi di disegnare una disciplina più in linea con i precetti comunitari e prima ancora con un assetto del mercato meno ¿protetto¿ e più competitivo non si siano andati al di là di qualche sporadica e poco approfondita iniziativa.
Gli strumenti di assegnazione/circolazione delle radiofrequenze riservano pertanto agli attuali operatori di avviare la transizione al digitale terrestre (fornendo a questi ultimi peraltro un inevitabile vantaggio competitivo sul piano temporale rispetto a soggetti che potranno affacciarsi al mercato solo in futuro).
Si osserva peraltro che la garanzia di una presenza degli attuali operatori analogici anche nel futuro contesto digitale poteva essere perseguita mediante strumenti che non attribuissero necessariamente a questi ultimi il ruolo di operatori di rete. La stessa delibera 435/01dell¿Autorità sembra prevedere una norma che si pone come obiettivo di ¿conservare¿ il valore delle attuali emittenti: ma lo persegue con strumenti differenti. Prevede difatti che l¿autorizzazione a fornitore di contenuti rilasciata alle concessionarie che decidano di non ¿convertirsi¿ ad operatori di rete costituisca titolo preferenziale nell¿individuazione delle emittenti rispetto alle quali l¿operatore di rete ha un obbligo di must carry.
Il secondo fattore. Sia nel quadro normativo vigente che ai sensi del ddl Gasparri, l¿accesso al mercato della fornitura di contenuti non è affidato ad un provvedimento autorizzatorio. Questo costituisce esclusivamente un presupposto ma (a differenza di quanto accadeva con le concessioni per l¿emittenza in tecnica analogica, che attribuivano la frequenza direttamente all¿editore) non consente di per sé di iniziare la diffusione del proprio contenuto, la quale è invece subordinata al raggiungimento di un accordo con l¿operatore di rete. In un contesto di forte concentrazione nel mercato delle reti e di riproposizione di modelli di integrazione verticale (rete-contenuti), la disciplina degli obblighi di accesso alla rete è destinata a giocare un ruolo centrale nel garantire una presenza effettiva dei fornitori di contenuto non legati ad alcun carrier.
Di tale disciplina non si conoscono però ancora i contenuti.
Difatti, sul punto, che tocca molteplici e delicati profili di rilevanza costituzionale, il disegno di legge in commento fornisce pochissime indicazioni, che ripropongono quanto già scritto nella delibera 435 dell¿Autorità (cui viene però attribuita forza di legge). Per una articolata disciplina del diritto di accesso alla rete il ddl rinvia al regolamento che l¿Autorità dovrà adottare entro il 31 marzo 2004, secondo quanto già previsto nella delibera 435/01 dell¿Autorità stessa.
La legge sembra pertanto non raccogliere i numerosi inviti formulati dall¿Autorità di settore volti a chiedere ¿un intervento del legislatore nazionale anche a supporto della disciplina regolamentare del diritto di accesso che l¿Autorità si è impegnata ad adottare entro l¿aprile del prossimo anno¿ (si veda il parere reso alle Commissioni VII e IX della Camera dei Deputati lo scorso 10 settembre; ma ancora prima si vedano le conclusioni del prof. Enzo Cheli ad un convegno tenutosi a Firenze nell¿aprile 2002, nelle quali si affermava che ¿¿questo regolamento (il regolamento sull¿accesso ai sensi della delibera 435/01, n.d.r.) dovrà essere completato entro il 2004, ma molto dipenderà dall¿intervento del legislatore. Questo è uno dei punti che la legge quadro dovrà affrontare, perché qui entrano in gioco, in nome del pluralismo, taluni condizionamenti alla proprietà dell¿impresa¿.
Sul punto, tra i pochi aspetti del ddl, per così dire innovativi rispetto a quanto già stabilito dal legislatore del 2001 e dall¿Autorità nella delibera 435/01, si segnala in primo luogo che gli operatori di rete dovranno cedere la propria capacità trasmissiva ¿a condizioni di mercato¿.
Il che, se da un lato sembrerebbe aumentare le garanzie per i fornitori di contenuto rispetto a quanto previsto nella delibera 435, condizionando la stessa disciplina economica degli accordi, dall¿altro parrebbe escludere che l¿Autorità nel regolamento sull¿accesso possa giungere sino a stabilire, in presenza di determinate condizioni, degli obblighi di orientamento ai costi per l¿operatore di rete.
Inoltre, secondo il quadro normativo esistente, richiamato dal disegno di legge, è previsto l¿obbligo per chi sia titolare di più di una concessione o di una concessione e una autorizzazione di riservare almeno il 40% della capacità trasmissiva a fornitori di contenuto indipendenti. Tale obbligo nella legge 66/01 – e conseguentemente nella delibera 435/01 – si riferisce solo alla fase di sperimentazione.
Il disegno di legge prevede però che la fase di sperimentazione possa essere ¿saltata¿ o abbreviata, richiedendo, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, la licenza di operatore di rete qualora si sia già raggiunta una copertura del 50% della popolazione (si tratta di un emendamento del relatore, On. Romani, rispetto al testo presentato dal Governo). La riserva del 40% per i fornitori di contenuto indipendenti si applica allora anche ai licenziatari ?
E sino a quando ?
Il testo lascia spazio a dubbi interpretativi.
Occorre comunque rilevare che laddove l¿accesso al mercato da parte degli editori radiotelevisivi sia affidato (a differenza che in passato) esclusivamente ad una disciplina dell¿accesso alla rete, in presenza di pochi e forti operatori di rete verticalmente integrati è quantomeno dubbio che non siano probabili restrizioni nell¿accesso al mercato da parte di fornitori di contenuto indipendenti. Del resto l¿esperienza delle telecomunicazioni insegna che un intervento ex ante del regolatore, anche assai articolato, fatica comunque a raggiungere l¿obiettivo di una reale apertura del mercato alla concorrenza in presenza di operatori di rete verticalmente integrarti con forte potere di mercato.
Il ¿SIC¿ e le posizioni dominanti
Sono note le polemiche sulla definizione del perimetro all¿interno del quale valutare i limiti alla concentrazione di risorse economiche (Sistema Integrato delle Comunicazioni, brevemente SIC).
Sul punto si sono espresse le Autorità di settore nonché vari esperti.
Non torno sull¿argomento ed in particolare sull¿opportunità di definire un paniere così ampio e sul fatto che una simile scelta sia o meno funzionale alla tutela del pluralismo informativo.
Mi soffermo invece sulla circostanza che, malgrado e oltre il limite alla raccolta di risorse del ¿SIC¿, la legge Gasparri prevede un divieto di posizioni dominanti (nel Sic e) nei mercati che compongono il sistema integrato delle comunicazioni. Ritengo però che un conto è prevedere ¿ come nella legge Maccanico – dei limiti (30%) alla raccolta di risorse su singoli mercati, il cui superamento fa quantomeno presumere una ¿posizione dominante¿ vietata, altro è (dopo aver abrogato quei limiti) stabilire semplicemente un divieto di posizione dominante sui singoli mercati del SIC, la quale in assenza di specifici parametri normativi (salvo il richiamo di alcuni criteri generali), sembra necessariamente rimandare, per la sua individuazione, all¿applicazione del diritto della concorrenza. Anche per tale strada allora sembrerebbe ¿ritirarsi¿ l¿ambito di intervento avverso le posizioni lesive del pluralismo, poiché può ben darsi che malgrado vi sia una situazione critica sotto il profilo del pluralismo informativo nessun operatore possa essere ritenuto in posizione dominante (singola o congiunta) secondo una analisi strettamente antitrust.
Critico appare altresì il richiamo alle direttive comunitarie per l¿individuazione dei mercati di riferimento (articolo 14 del disegno di legge). Difatti, se il mercato di riferimento, rispetto al quale valutare tanto il superamento delle soglie di crescita fissate all¿articolo 15 quanto in genere la sussistenza di una posizione dominante, è già definito come ¿il sistema integrato delle comunicazioni¿ non si vede l¿attinenza e l¿utilità del rinvio al sistema delle direttive, che peraltro, nella loro prima implementazione, individuando i mercati rilevanti, non contemplano un ¿sistema integrato delle comunicazioni¿ così come definito nel ddl Gasparri. Peraltro (anche laddove si tratti di analizzare i singoli mercati del SIC) il meccanismo di individuazione dei mercati delle direttive comunitarie non riguarda i contenuti ma solo reti e servizi. Inoltre il sistema delle direttive del 2002 (così come in genere tutto il quadro regolamentare comunitario che ha accompagnato la liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni) non ha come finalità di definire ed imporre una determinata struttura del mercato (i.e. il numero degli operatori, determinando i limiti dimensionali di ciascuno) e tollera di per sé la presenza di operatori in posizione di dominanza economica (che generalmente corrisponde a quote di mercato assai elevate). Con l¿unica conseguenza di gravare tali operatori di obblighi comportamentali specifici – imposti ex ante in via regolamentare – ispirati alla prevenzione dei comportamenti anticopmpetitivi e non alla tutela del pluralismo informativo.
La centralità del digitale terrestre
Il ddl Gasparri, come accennato, imprime una fortissima accelerazione alla realizzazione di reti digitali su frequenze terrestri. Dal testo del ddl e dalle intenzioni del Governo si ricava che gli interventi a sostegno della diffusione degli apparati di utente per la ricezione della tv digitale si concentreranno esclusivamente o prevalentemente sui decoders per il digitale terrestre. Ne risulta una assoluta centralità del TDT tra le piattaforme di distribuzione di programmi televisivi digitali. Tale scelta sarebbe motivata dalla potenziale universalità della larga banda televisiva su frequenze terrestri (la maggior parte degli italiani ha un televisore ed una antenna terrestre).
Ma la televisione digitale può arrivare nelle case anche attraverso tecnologie differenti: il cavo o il satellite. Queste peraltro possono presentare delle caratteristiche tecnologiche a volte migliori del TDT.
Inoltre, occorre tener presente che il TDT (a differenza della fibra ottica e, recentemente, del satellite) non è di per sè interattivo: l¿interattività si realizza solo se entra in gioco una ulteriore rete di comunicazione, in grado di fornire il canale di ritorno. Concretamente, la rete televisiva digitale su frequenze terrestri per raggiungere la vera interattività (che consente stabilità del collegamento e cospicuo flusso di informazioni) sembra dovrà utilizzare come canale di ritorno la rete in rame (di Telecom Italia), con tecnologia ADSL.
Occorrerebbe allora mantenere un approccio ¿multipiattaforma¿, che si muova con flessibilità tra le diverse tecnologie disponibili a seconda di quale sia maggiormente efficiente (sia sul piano tecnologico che su quello economico) con riferimento a ciascun contesto territoriale e di servizi. Questo dovrebbe tradursi, ad esempio, in un incentivo alla diffusione dell¿infrastruttura di accesso che demandi ad ogni singolo utente di scegliere la piattaforma televisiva sulla quale vuole ricevere il segnale o, il che è lo stesso, nell¿incentivare decodificatori ¿multipiattaoforma¿ (sembra siano già disponibili).
Una simile scelta assicurerebbe maggiore flessibilità e più spazio all¿evoluzione delle tecnologie e – al tempo stesso – minore centralità di ciascuna rete distributiva.