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Continua l¿offensiva del governo di Pechino contro i cyber-dissidenti: Huang Qi, un web master cinese condannato a cinque anni di prigione per aver espresso sul web le proprie idee politiche, si è visto confermare la pena anche in appello. Lo rende noto Reporter senza Frontiere (RSF).
Huang Qi aveva iniziato pubblicando sul suo sito Internet – www.6-4tianwang.com – notizie utili a rintracciare le persone scomparse durante la repressione dei movimenti di Piazza Tienanmen o ella setta di Falungong, con l¿andare del tempo, però, Qi si è sbilanciato un po¿ troppo (per i gusti del governo) e ha iniziato a pubblicare notizie ritenute pericolose per l”integrità” dello stato, come lo statuto del Partito democratico.
Qi è stato arrestato nel 2000 e a maggio di quest¿anno è stato condannato dal tribunale del popolo di Chongqing a cinque anni di carcere. La sentenza è stata confermata adesso dall¿Alta Corte di Sichuan.
Reporter senza Frontiere ha dichiarato che Qi non può ricevere alcuna visita, neanche quella della moglie e viene regolarmente sottoposto a violenze.
RSF si dice¿¿costernata da questa nuova decisione presa nel massimo segreto e che conferma la parzialità dei tribunali cinesi quando si tratta di giudicare cyber dissidenti¿.
Secondo RSF sono 36 i cinesi arrestati e a volte condannati a lunghe pene detentive per aver utilizzato internet in modo ritenuto illegale, nella maggioranza dei casi per aver espresso sui forum opinioni non “consone” a un cittadino del regime comunista cinese.
A febbraio, ad esempio, Tao Haidong è stato riconosciuto colpevole, dal tribunale di Ürümqi, capitale della regione orientale di Xinjiang, di sovversione e diffamazione di funzionari alto rango, per aver affermato su Internet che la Cina è al limite del collasso economico. Tao è stato condannato a sette anni di prigione.
Lo scorso 24 settembre poi Li Zhi, un funzionario cinese, è stato formalmente accusato di ¿cospirazione volta a sovvertire il potere dello Stato¿, per essere stato in contatto con dei presunti dissidenti stranieri attraverso dei forum di discussione in rete.
Anche un”altra associazione umanitaria, Free China Movement (FCM), ha denunciato i continui abusi del governo di Pechino nei confronti del web e di chi lo frequenta anche solo per scopi di lavoro: a giugno quattro giornalisti sono stati condannati per aver sollecitato urgenti riforme politiche. Ma la sentenza che ha destato più clamore è quella emessa nei confronti di Li Dawei, un ex agente di polizia condannato a 11 anni di carcere per aver scaricato articoli da siti dei movimenti democratici cinesi all”estero. Tutti i suoi appelli sono stati respinti dalle autorità.
L¿uso di Internet in Cina è in piena espansione, soprattutto fra i più giovani, per questo le autorità considerano la rete come una sorta di minaccia e continuano a intensificare i controlli sull”informazione on-line con misure come il filtro o il blocco di siti stranieri, l”istituzione di corpi speciali di polizia, il blocco di motori di ricerca e la chiusura di siti che pubblicano informazioni sulla corruzione o articoli critici nei confronti della politica.
Lo scorso anno, un rapporto di Amnesty International ¿ ¿Repubblica Popolare Cinese: il controllo dello Stato su Internet¿ – rivelò che il ministero per la Sicurezza dello Stato avrebbe anche fatto installare dei firewall di rilevamento sui sistemi dei service provider con l”obiettivo di controllare le singole caselle di posta elettronica, mentre tutti gli Internet café sono stati obbligati a tenere un registro dei propri clienti e a informarne la polizia.