Italia
di Giancarlo Livraghi GANDALF
Esperto in Comunicazione
La stampa
Sembra che ci sia una ¿soglia¿ nella diffusione della stampa in Italia. Sono stati superati solo in parte i tradizionali vincoli distributivi e, nonostante un miglioramento graduale dei livelli scolastici, la propensione alla lettura non dà segni di grande crescita. Poco più di metà degli italiani (56%) dice di leggere un quotidiano ¿ e solo il 43% in modo ¿abituale¿ (che non significa ¿tutti i giorni¿, ma ¿almeno tre volte alla settimana¿). Più bassi i dati della stampa periodica (per i settimanali 43%, di cui solo il 16,6% ¿abituali¿ ¿ e ancora meno per i mensili). La lettura è più concentrata, naturalmente, fra le persone che hanno un ¿menu¿ più esteso. Questo è l¿utilizzo di ¿altri strumenti¿ da parte dei lettori di quotidiani.
I lettori di quotidiani leggono molti più libri dei non lettori (+126%) ma la propensione non è altrettanto forte per i settimanali (+62%). Sono minori le differenze nell¿ascolto della radio (+21%) e nell¿uso del cellulare (+31%). Il divario è rilevante nel caso dell¿internet (il doppio) più che del computer (+ 46%).
La prospettiva è diversa dal punto di vista dei lettori di settimanali ¿ che hanno un menu più ¿povero¿. Hanno una propensione superiore alla media alla lettura di quotidiani e di libri; per il resto la loro gamma di strumenti non ha differenze significative rispetto alla media della popolazione.
Anche se, ovviamente, molti lettori di quotidiani, e specialmente di periodici, ne leggono più di uno, rimane un curioso (e tradizionale) contrasto fra la moltiplicazione delle testate e il numero relativamente basso di lettori ¿ specialmente in confronto ad altri paesi paragonabili all¿Italia per evoluzione economica e culturale.
Sono comunque smentite (in Italia come in tutto il mondo) le lugubri previsioni di chi parlava di ¿morte della carta stampata¿. È difficile sapere se un giorno ci sarà davvero qualcosa che possa sostituire la carta. Ma ¿allo stato dell¿arte¿ il consumo di carta è in aumento: perché si continuano a stampare libri, giornali e riviste e perché si moltiplicano gli usi della carta dovuti alla diffusione delle fotocopiatrici e delle stampanti per computer.
Inoltre il mondo della ¿parola scritta¿ si è molto allargato per l¿uso dell¿elettronica e dell¿internet. E perfino nella telefonia cellulare si sono diffusi, al di là di ogni previsione, i ¿messaggini¿ sms. In totale è evidente che si legge, e si scrive, molto più di quanto accadeva qualche anno fa.
È soprattutto un problema di contenuti, e di formule editoriali, il fatto che in questo contesto non ci sia una crescita più marcata nella lettura di quotidiani e periodici. Anche se l¿affollamento e la molteplicità di risorse disponibili sono un problema per tutte le forme di comunicazione. La tendenza nel ¿lungo periodo¿ dovrebbe essere verso una maggiore differenziazione dei ruoli e specializzazione di contenuti. Ma la forza dell¿abitudine (nei produttori di informazione come in chi la riceve) e l¿ostacolo più difficilmente superabile.
I libri
Questo è il più antico fra tutti gli strumenti considerati nel rapporto. Naturalmente i libri (¿codici¿ o ¿manoscritti¿) esistevano anche prima dell¿invenzione della stampa. Ma un cambiamento sostanziale nella riproducibilità dei testi è nato cinquecento anni fa. Una vera ¿industrializzazione¿ dei libri (e dei giornali) si è verificata nel diciannovesimo secolo, con metodi più ¿meccanizzati¿ di stampa (in particolare con l¿invenzione della linotype nel 1886). Un¿ulteriore semplificazione dei processi è arrivata nella seconda metà del ventesimo secolo, prima con la fotocomposizione e poi con l¿elettronica.
Ma non sempre il progresso tecnico porta a un miglioramento della qualità. Produrre libri costa molto meno. Il risultato è che sta andando in estinzione l¿editoria come impresa culturale. Oggi un libro può andare ¿in pareggio¿ se vende millecinquecento copie. La ¿tiratura media¿, secondo l¿Aie, è scesa da 8.500 copie negli anni ¿80 a 4.800 nella situazione attuale. Gli editori sono diventati librifici di serie. Si pubblicano ¿troppi¿ libri, badando più alla quantità che alla qualità.
Un fenomeno analogo, naturalmente, accade nella stampa ¿ e specialmente nei periodici. Con una moltiplicazione di testate in cui l¿impegno redazionale è ridotto al minimo e i contenuti sono rifritture di fondi di magazzino o scopiazzature di ciò che capita, quando non sono riproduzione di ¿veline¿ o di note stampa di varia provenienza.
Perfino un ¿bibliofilo¿ inguaribile come l¿autore di queste righe oggi si trova in grave difficoltà quando entra in una libreria e cerca di orientarsi negli scaffali affollati di novità che non meritavano di essere pubblicate. Ed è ormai raro che si possa chiedere un¿opinione al libraio, perché è più disorientato dei suoi clienti.
Il mondo affollato e confuso dei libri è una risorsa e un problema per una parte relativamente ristretta del nostro paese. Sono meno di metà della popolazione gli italiani che leggono libri ¿ e meno di un terzo ¿almeno tre nell¿ultimo anno¿. Anche le persone abituate a leggere usano poco i libri (per esempio, come abbiamo visto, sono il 43% fra i lettori ¿abituali¿ di quotidiani).
Sarà vero, come dicono malinconicamente gli editori, che i lettori sono sempre gli stessi e che c¿è solo una più aspra e disordinata concorrenza? Forse. Ma vuol dire che non si è trovato un modo efficace per allargare l¿interesse alla lettura.
Secondo l¿Aie «Il principale (e strutturale) ostacolo all¿allargamento del mercato della lettura deriva dalle scadenti competenze alfabetiche degli italiani acquisite nel percorso scolastico. Un insufficiente possesso collettivo di strumenti che consentano autonome capacità di lettura-comprensione-interpretazione di un testo di complessità appena superiore a quella consentita da una scolarizzazione di base». Ma l¿associazione degli editori rileva che «Le imprese ¿ editori e canali commerciali ¿ non sono state in grado di trasformare i potenziali clienti delle case editrici e delle librerie in lettori e clienti abituali, o un po¿ meno occasionali». Insomma la scarsa lettura, di libri e giornali, rimane un problema serio della cultura italiana di cui non si è ancora trovata una soluzione.
Non è vero (come è un po¿ troppo facile affermare) che sia ¿tutta colpa della televisione¿. I bambini che crescono con la televisione imparano a leggere più presto dei bambini d¿altri tempi. Il problema è capire come le persone di ogni età possano essere indotte a passare meno tempo davanti a un televisore (o attaccate a un cellulare) e un po¿ più di tempo a leggere ¿ o comunque ad allargare la loro gamma di risorse cognitive.
In questo quadro piuttosto confuso, i lettori di libri hanno un profilo relativamente ¿ricco¿ per quanto riguarda gli altri strumenti di comunicazione e di informazione.
I lettori di libri usano gli altri strumenti di comunicazione molto più dei non lettori. Non si tratta solo della carta stampata (+ 81% per i quotidiani, + 33% per i settimanali), ma anche del telefono cellulare (+ 35%) e della radio (+ 21%). Quasi il doppio nel caso del computer ¿ e ancora di più l¿internet.
Il più ¿classico¿ degli strumenti di conoscenza e approfondimento rimane l¿elemento più caratterizzante delle persone ¿abbienti¿ di informazione e comunicazione ¿ e coincide con una gamma di risorse notevolmente più ricca della media.
Non merita un approfondimento la cosiddetta ¿editoria elettronica¿, che (almeno finora) rimane un dettaglio di scarso rilievo. Non ha avuto quell¿effetto ¿rivoluzionario¿ che alcuni, assurdamente, si aspettavano ¿ anche perché la qualità dei prodotti offerti finora è carica di apparenze e scarsa di valori reali di contenuto e utilità. Una struttura ¿ipertestuale¿ può essere utile, talvolta, per alcune categorie di prodotti editoriali (testi di consultazione). Ma i ¿libri¿ su supporti elettronici fissi hanno uno spazio molto limitato fra due fenomeni di assai maggiore rilevo: da un lato l¿insostituibile libro stampato, dall¿altro le più ricche ed efficaci (e meglio aggiornate) risorse disponibili online.