Italia
Presentato oggi a Roma dal Distretto dell¿Audiovisivo e dell¿Ict il sesto rapporto IBI (Internet Benchmarking Italia). ¿Numeri, fatti e tendenze¿ delle attività produttive presenti su Internet: quante sono le aziende, come sono distribuite sul territorio nazionale, come hanno impostato la loro attività online, quali sono le caratteristiche e la struttura dei siti realizzati, quali esperienze hanno maturato, quali risultati, come li hanno raggiunti.
Dai dati pubblicati nel Rapporto emerge che nel 2002, così come nel 2001, la delusione per la ¿Net Economy¿ rimane forte. La crisi continua a incombere, soprattutto per le Pmi che offrono servizi Ict. Sono scomparse tra il 15 e il 20% delle imprese sorte negli ultimi anni, con relativa perdita di posti di lavoro. Le previsioni stimano una replica di questi numeri nel 2003.
La cosiddetta ¿Old economy¿, cioè le aziende che usufruiscono dell¿Ict, comincia ad avere le idee più chiare, ma il ciclo economico rende lunghi i tempi decisionali; l¿innovazione non si afferma e l¿Italia continua a rimanere indietro pur con qualche notevole eccezione.
Il VI Rapporto IBI mette in evidenza come gli imprenditori sentano il bisogno di darsi regole chiare per autodisciplinare il loro comportamento nei riguardi del mercato e dei consumatori, ben oltre le norme di legge. Si rende necessaria una nuova attenzione ai valori d¿impresa, anche alla luce degli scandali e alle speculazioni finanziarie che hanno colpito il settore dell¿Ict e della ¿Net Economy¿.
Ma veniamo ai dati contenuti nel Rapporto. L¿Italia ha superato la soglia del milione di domini registrati, raggiungendo la settima posizione mondiale. Sono stati verificati 34.000 domini su 1.032.000 registrati, per determinare a quanti siti Web effettivamente realizzati corrispondessero i domini registrati. Su di un totale di 1.032.000 domini registrati, solo 236.300 (cioè il 22,9%) corrisponde a un sito effettivamente realizzato. Nel 2001 erano il 29,2%. Il 77,1% rimanente (pari a 795.700 domini) corrisponde ad alias, pagine di “lavori in corso” (nel 2001 erano il 70,8%).
Dei 236.300 siti effettivamente realizzati, il 62% fa riferimento ad aziende o istituzioni (nel 2001 erano il 77,1%). Ad altri non meglio specificati fa riferimento il 38% (nel 2001 erano il 22,9%).
Marcata flessione dei domini utilizzati, pur essendo aumentato il numero totale dei domini registrati. Questo non si spiega semplicemente con la disillusione che molte aziende hanno avuto per la loro presenza su Internet. Molta influenza ha ora la facilità di registrazione, la velocità e il basso costo, che inducono molti provider a registrare più denominazioni per la stessa Azienda, con lo scopo di proteggere quelle collaterali al marchio, di aumentare la visibilità con più home page trasparenti (o jumping pages). Molte aziende registrano uno o più domini, ma rinviano o allungano la decisione di realizzare un proprio sito.
La crescita dei domini registrati da aziende italiane è rallentata, scendendo dal 18,8% del 2000 al 13,5% del 2001. Mentre per i domini .it la crescita è stabile, di poco superiore al 30%, continua la forte inversione di tendenza nella diffusione degli altri domini. Dalla fine del 1998 alla fine del 2002 il numero dei domini .it è aumentato di oltre diciassette volte, passando da 46.000 a 808.000; alla fine del 1999 i domini .it erano il 57,5% del totale, alla fine del 2002 il 78,3% del totale; la liberalizzazione e la deregolamentazione delle procedure in Italia, insieme alle tariffe particolarmente convenienti, hanno aumentato la preferenza per questo tipo di registrazione. Le difficoltà di gestione oltreoceano dei rapporti e dei disguidi sta inducendo molte aziende ad abbandonare i vecchi suffissi generalisti internazionali (.com, .net, .org e altri) per scegliere quello .it; il decremento ha raggiunto il 22,5%, quadruplicando quello dell¿anno precedente che si era attestato al 5,1%.
Sono stati monitorati 18.000 dei 236.300 siti Web effettivamente realizzati. Il 48,6% sono solo home page o abbandonati, cioè non aggiornati da oltre un anno o evidentemente incompleti (nel 2001 era il 52,4%). Il 36,5% sono amatoriali o personali, cioè non imprenditoriali (nel 2001 era il 31,0%); il 14,9% sono operativi, cioè strutturati e gestiti a livello imprenditoriale; di questi il 2,8% sono di commercio elettronico. Nel 2001 erano rispettivamente il 16,6% e il 3 %.
Si può stimare, quindi, che su 1.032.000 domini registrati e sui 265.000 siti Web effettivamente realizzati con questi domini, in Italia esistono circa 35.000 siti Web che sono operativi (nel 2000 erano 44.000), cioè strutturati e gestiti a livello imprenditoriale.
La distribuzione regionale dei siti operativi presenta molte variazioni: la Lombardia perde oltre cinque punti percentuali, pur rimanendo in testa alla classifica. Si avvicina invece il Lazio; il merito dell¿impennata di oltre il 6% è da ascrivere sostanzialmente alla Pubblica Amministrazione, alla politica e alla formazione. Ulteriore decremento dell¿Emilia Romagna: nel 2000 era la seconda regione nell¿uso di Internet mentre ora è la quinta. Forte decremento del Trentino Alto Adige e del Friuli, mentre recupera il Veneto. La Sicilia aumenta significativamente e insieme alla Basilicata rappresenta l¿unico incremento del Mezzogiorno.
Dall¿analisi per settore merceologico, la principale e, forse unica, nota positiva è la crescita dei siti riconducibili alla Pubblica Amministrazione; non solo per quantità, ma anche per qualità e interesse generato.
Perde colpi il commercio elettronico: in Italia si contano circa 6.600 siti, con una flessione rispetto al 2001, quando ne furono identificati 8.000.
Con una ricerca a tappeto sui principali motori di ricerca e directory sono stati contati solo circa 2.500 siti di commercio elettronico. Questo significa che oltre il 60% dei siti di commercio elettronico non compare sui motori di ricerca (nel 2001 la percentuale era peggiore, il 70%).
Il numero dei siti di e-commerce diminuisce: si tratta in effetti di un¿auto-eliminazione delle iniziative frettolose e poco professionali che avevano caratterizzato la fine del millennio, ignorando le regole del marketing e del mercato. In sostanza, l¿e-commerce italiano arretra come quantità, ma migliora, in parte, come qualità.
Nei precedenti Rapporti sono stati individuati i quattro i principali ostacoli, che risiedono nella struttura stessa del sito, che i navigatori incontrano nel fare acquisti su Internet.
Il primo ostacolo emerge da un monitoraggio effettuato presso 250 Pmi (con meno di 100 dipendenti), che hanno un sito di qualità superiore di Commercio Elettronico. Solo nel 11,7% dei casi (nel precedente Rapporto IBI era il 14,8%) vengono raccolti dati sui visitatori e sul loro comportamento (analisi dei log file). L”88,3% dei siti, quindi, non trae informazioni utili in relazione al traffico generato, evitando iniziative di marketing appropriate o ignorando i segnali utili raccolti per migliorare la gestione del sito stesso. Nella quasi totalità delle implementazioni neanche si pensa ad attivare politiche di Crm (Customer relationship management).
La conclusione è che un primo ostacolo per l¿affermazione del Commercio Elettronico continua a essere la carenza di impegno nella gestione del sito e la inadeguata professionalità nel rapporto con i clienti.
Il secondo ostacolo per l¿affermazione dell¿e-commerce, soprattutto B2C, continua a essere la carenza di fiducia generata dai siti. Non solo per le transazioni e per i pagamenti. Rientra nella fiducia la valutazione della reale utilità che il sito offre come servizio.
Analizzando 1.550 siti di commercio elettronico, si è riscontrato quale “senso e percezione” di affidabilità offrissero a un visitatore. Si è provato in pratica, navigando sui siti campione, a porsi le stesse domande che si farebbe un potenziale cliente (le stesse dell¿anno scorso). Domande tipo: il proponente è il produttore o un intermediario? Il bene è conveniente e di valore? La descrizione del bene è fedele e sarà veramente quello che mi serve? Ci saranno lati oscuri ovvero obbligazioni occulte? E altre. Il risultato è che solo il 3,1% dei siti di commercio elettronico ha saputo generare fiducia (nel precedente IBI era il 3,8% su 2.500 siti). Ciò significa che la quasi totalità dei siti non ha saputo organizzare le proprie informazioni in modo da rassicurare il visitatore, dandogli una percezione di rischio irrilevante e concretizzando l”attesa di una esperienza positiva. La visita al sito non ha saputo insomma prospettare concreto valore per l”utente, in modo chiaro e credibile; non è stata attuata un¿azione di marketing che ha generato valore.
Un terzo ostacolo è la difficoltà nella navigazione (oltre la lentezza che non dipende dal sito ma dalla rete in generale). I siti si fanno più complessi, articolati; i servizi proposti impongono tecnologie che complicano la vita invece che semplificarla. Manca ancora una adeguata usabilità, una facile accessibilità.
Il quarto ostacolo è la mancanza di attenzione e di impegno nella pianificazione dell¿attività su Internet; in effetti questo ostacolo riepiloga e spiega i primi tre.
In sintesi, si può confermare che gli aspetti ancora più trascurati nella realizzazione di un sito di commercio elettronico sono: la gestione, successiva alla progettazione, alla realizzazione e alla promozione del sito; l”usabilità e l¿accessibilità, cioè la facilità con cui l”utente può navigare tra le pagine web, l”immediatezza con cui i contenuti e gli intenti vengono recepiti, la velocità di scaricamento delle pagine; il tempo impiegato per effettuare un ordine sui siti italiani rimane tra i più lunghi d¿Europa; il costo della consegna è il più caro, così come il tempo di consegna è il più lungo di tutti.
L¿insuccesso dell¿attività commerciale su Internet viene spiegata da questo dato: nel 2000, solo il 19,3% delle 250 Pmi intervistate (con meno di 100 dipendenti), che hanno un sito di qualità superiore, ha destinato più del 25% del budget in analisi, pianificazione e progettazione. Quindi nell”80,7% dei casi si è attuato un investimento senza adeguata preparazione.
Nel 2002 solo il 16,8% delle 250 Pmi intervistate (con meno di 100 dipendenti) che hanno un sito di qualità superiore, ha destinato più del 25% del budget in analisi, pianificazione e progettazione. Quindi nell”83,2% dei casi si è continuato ad attuare un investimento senza adeguata preparazione.
Allo stato dei fatti, non sorprende più che siano pochissimi quelli che hanno avuto risultati concreti e convincenti. Tutto ciò spiega anche perché il 77% dei siti viene abbandonato dalla home page, il 98% dalle prime tre pagine.
Il VI Rapporto IBI indica anche che la larga banda si sta rivelando la chiave della ripresa. Anche se in Italia sono ancora intorno al 10% le imprese che utilizzano le nuove tecnologie di rete per migliorare i propri affari, contro i due terzi del totale negli Usa, quasi la metà in Francia, Germania e Inghilterra. Ma rispetto alla UE i prezzi sono ancora alti, i tempi di attivazione troppo lunghi, il rapporto con i benefici basso.
Intervista a Gianni Celata, presidente del Distretto dell¿Audiovisivo e Ict