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Si sta svolgendo negli Stati Uniti, un processo che potrebbe creare un precedente unico in fatto di spamming e che sta suscitando grande interesse e qualche polemica per il sottile confine tra lo spam, appunto, e la libertà di manifestazione del proprio pensiero attraverso le eMail.
Kourosh “Ken” Hamidi era un assistente tecnico dell”Intel che – secondo quanto lui stesso dichiarato (http://www.intelhamidi.com/ ) – nel 1990, a seguito di un incidente automobilistico, cominciò ad avere problemi alla schiena. Pur continuando a svolgere il suo lavoro presso Intel, Hamidi era costretto a prendere un medicinale molto forte (il Vicodan) per combattere il dolore, che lo rese meno produttivo.
L¿azienda decise, così, di dargli un periodo di permesso malattia nel 1992, per licenziarlo poi in tronco nel 1995. Non sono molto chiari i motivi del licenziamento: secondo la Intel un permesso malattia molto lungo, secondo Hamidi le sue proteste alle politiche della società.
Ma l¿ingegnere non reagì passivamente al licenziamento: egli iniziò, infatti, una vera e propria campagna contro l¿ex datore di lavoro, fondò un gruppo attivista e un sito web interamente dedicato alla sua vicenda (www.faceintel.com). Dal dicembre 1996 cominciò a inviare eMail ai suoi ex colleghi, utilizzando l¿account di posta elettronica aziendale. La società inizialmente gli chiese di fermare la spedizione delle eMail, provando anche a bloccarle attraverso dei filtri. Infine, lo citò in giudizio, accusandolo di introdursi abusivamente nel sistema di elaborazione di sua proprietà e di disturbare il lavoro degli impiegati, provocandole così notevoli danni economici
Hamidi è stato condannato, per aver commesso questa azione, sia in primo grado nel 1999 che dalla Corte d”Appello di Sacramento nel 2001. I giudici americani hanno accolto la richiesta del colosso dell¿elettronica, equiparando tale condotta ad una violazione di domicilio, ¿produttiva di ingenti danni economici¿, dal momento che Hamidi si era introdotto abusivamente nel sistema di elaborazione dati interno.
Intel ha dimostrato che lo spamming dell”ex dipendente ha causato notevoli perdite alla società, derivanti sia dalla spedizione delle email, sia dal tempo sottratto ai colleghi. E” stata così sancita la responsabilità, ai fini del risarcimento del danno, a carico di un soggetto che adoperi per attività di spamming le liste della società presso cui era stato impiegato.
Ora il caso è giunto alla Corte Suprema, dinanzi alla quale, gli avvocati dell¿ingegnere, continuano a sostenere il diritto dell”uomo di spedire quelle eMail ai suoi ex colleghi. I legali di Hamidi hanno, infatti, affermato che costringerlo al silenzio creerebbe un pericoloso precedente che consentirebbe alle compagnie di soffocare la libertà di parola.
Gli avvocati di Intel hanno risposto che la compagnia non intende violare la libertà di parola di nessuno, ma vuole semplicemente limitarsi al controllo del suo sistema interno di eMail, che considera proprietà privata.
Molte associazioni per i diritti civili americane – l”Unione Civile Americana per le Libertà, l”EFF (Electronic Frountier Foundation), e il “Berkman Center for Internet and Society” della scuola di diritto dell”Università di Harvard ¿ hanno sostenuto la battaglia dell¿ingegnere e affermano che il caso giudiziario è un test fondamentale per la libertà di parola su internet.
Già nel 1999, Charles Nesson, professore di Harvard ed esperto di cyber-law, affermava all¿incirca la stessa cosa: “¿Il caso Intel Corp. Vs Hamidi è un caso importante che potrebbe avere un effetto di lunga durata sul rapporto tra libertà di espressione e diritto di proprietà in internet”. Esso potrebbe, infatti, allargare il significato della nozione di spamming anche alla spedizione di eMail non sollecitate a contenuto non commerciale.
In sua difesa, Hamidi ha sempre sostenuto che Internet e un ¿dominio pubblico¿ attraverso il quale è costituzionalmente garantito il libero flusso delle informazioni: come non potrebbe essere considerato lesivo di un diritto di proprietà il passaggio su una strada pubblica, così la trasmissione di informazioni attraverso internet non potrebbe integrare la lesione di un diritto esclusivo di proprietà. Le eMail contestate, dichiara Hamidi, non possono essere considerate spam, poiché non si tratta di pubblicità, bensì di lettere dal contenuto informativo-educativo. Lo scopo di Hamidi era infatti quello di rendere note ai dipendenti, attraverso tali comunicazioni, le politiche laboristiche della Intel, insegnando agli stessi come difendersi da eventuali abusi
Per leggere la sentenza di Appello vai a:
http://www.eff.org/Cases/Intel_v_Hamidi/20011211_appellate_decision.html