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Per l’undicesimo anno consecutivo Coca-Cola (70,452 miliardi di dollari) conquista il podio della Best Global Brands, la classifica dei 100 brand globali a maggiore valore economico stilata ogni anno da Interbrand, la maggiore brand consultancy a livello internazionale. Seguono IBM (n. 2, valore del brand 64,727 miliardi di dollari) e Microsoft (n.3, 60,895 miliardi di dollari). Google accelera il passo e si avvicina ulteriormente al podio: raggiunge la quarta posizione aumentando il valore del proprio brand del 36% rispetto al 2009 (43,557 miliardi di dollari).
“L’undicesima edizione della classifica Best Global Brands mette l’accento sui rischi e le opportunità che i brand hanno nell’era digitale” – osserva Manfredi Ricca, Managing Director della sede italiana di Interbrand – “Il severo e costante esame dei consumatori, la necessità di organizzazioni in grado di reagire in modo istantaneo e l’opportunità di costruire relazioni profonde con i consumatori attraverso i social media. Lo studio di quest’anno è anche quello del ritorno dalle sabbie mobili della recessione globale, e i cambiamenti sono numerosi.”
Il brand con la miglior perfomance è Apple (+37), seguito da Google (+36) e BlackBerry (+32%). Nokia perde il 15% del proprio valore principalmente a causa del relativo ritardo nel segmento smartphone, ma resta nella top 10 (8° posizione), ed è il primo brand non USA. La peggior performance (-24%) è di Harley Davidson, brand storico in cerca di una chiara direzione per il futuro.
Entrano 10 nuovi brand: Sprite (n.61), Santander (n.68), Barclays (n. 74), Jack Daniel’s (n. 78), Credit Suisse (n.80), Corona (n. 85), 3M (n.90), Johnnie Walker (n.92), Heineken (n. 93) e Zurich (n.94). Non stupisce la scomparsa di BP travolta dal peggiore eco-scandalo di tutti i tempi.
L’Italia è rappresentata da tre brand legati al mondo del lusso: Gucci (n.44, 8,346 miliardi, + 2%), Ferrari (n.91, 3,562 miliardi +1), Armani (n.95, 3,443 miliardi, + 4%).
Gucci continua a consolidare il proprio status di brand senza tempo grazie a politiche di comunicazione, retail e prodotto tra loro molto coerenti. Armani si indirizza con successo a un pubblico sempre più ampio, allontanandosi dal lusso in senso stretto. Ferrari, al contrario, coglie i frutti di una assenza di compromessi per quanto concerne il proprio posizionamento e beneficia di alcuni mercati emergenti (da citare il FerrariWorld di Abu Dhabi).
L’introduzione da parte di Interbrand di nuovi requisiti di disponibilità di dati pubblicamente disponibili ha portato all’esclusione di brand quali Chanel, Rolex e Prada, presenti fino allo scorso anno e peraltro forti di significative performance commerciali.
“I sofisticati criteri alla base della nostra metodologia di brand valuation includono puntualmente tutti gli aspetti che incidono sulla capacità di un brand di creare domanda nel tempo, generando ritorni economici aggiuntivi e riducendo il rischio d’impresa“, osserva Manfredi Ricca. “Essi rispecchiano brand che cambiano i propri settori, e settori che cambiano i brand che vi competono. Al di là della quantificazione del valore economico, la nostra analisi rappresenta una scorecard molto estesa, volta a stabilire le priorità di management per accrescere la contribuzione del brand alla creazione di valore economico.”
Le principali evidenze per settore merceologico
Lusso. La classifica di Interbrand evidenzia l’impatto complessivamente contenuto della crisi sui brand del lusso, e in particolare quelli in grado di restare fedeli al proprio DNA, pur rendendolo costantemente attuale. Louis Vuitton (n.16, 21,86 miliardi di dollari) ed Hermès (n.69, 4,782 miliardi) sono esempi eccellenti in tal senso. Bene anche Cartier (n.77 + 2%), Tiffany & Co (n.76 +3%) e Burberry (n.100- stabile)
Automotive. Andamento positivo per quasi tutti i brand: mostra un’inversione di tendenza per Ford (n.50, 7,195 miliardi) che guadagna un 3%. Nel segmento premium, Mercedes sale del 6% (n.12, oltre 25 miliardi di dollari) e BMW (n.15, 22,322 miliardi) resta sostanzialmente stabile, mentre continua la propria corsa Audi (n.63, 5,461 miliardi di dollari, +9%). Nel segmento sportivo il valore di Porsche (n. 72, 4,404 miliardi) cresce del 4%. Unica nota negativa è quella di Toyota (n.11, 26,192 miliardi), con un valore considerevolmente ridimensionato (-16%): tra le cause, il maxi-richiamo di prodotti a inizio anno, evidentemente dannoso per un brand da sempre sinonimo di qualità totale.
Finanziario. La classifica di quest’anno mostra i primi segnali positivi dopo la crisi. JP Morgan, tra i pochissimi brand del settore a restarne immuni, sale del 29% (n.29, 12,314 miliardi), mentre resta stabile Goldman Sachs (n.37, 9,372 miliardi), sia pure con molte pressioni sul piano della reputazione. Ogni crisi porta con sé cambiamenti e opportunità, come dimostrano quattro ingressi in classifica: Santander (n.68, 4,846 miliardi), Barclays (n.74, 4,218 miliardi), Credit Suisse (n.80, 4 miliardi) e Zurich (n.94, 3,496 miliardi).
Tecnologia. Cinque dei primi dieci brand in classifica appartengono al mondo della tecnologia, così come i tre brand con i maggiori incrementi di valore economico. Un sintomo di come i nuovi modi di lavorare (Blackberry, 6,762 miliardi di dollari, +32%, n.54), informarsi (Google, 43,557 miliardi di dollari +36%), intrattenersi e comunicare (Apple, 21,143 miliardi di dollari, + 37%, n.17) giochino un ruolo ormai centrale delle nostre vite. Positivo anche l’andamento di Samsung (n.19, 19,491 miliardi di dollari, +11%), Intel (n.7, +4%; Cisco (n.14, +5%), Oracle (n.22, +9%) e Adobe (n.88, +15%).
Food and Beverage. Il settore è segnato dall’ingresso di tre brand nell’ambito beverage – Sprite (n. 61), Corona (n.85) e Heineken (n.93), – che hanno sfruttato i nuovi punti di contatto offerti dai mezzi digitali e mobili. Entrano anche brand di alcolici: Jack Danierl’s (n78) e Jonnie Walker (n.92).
La metodologia
Lo studio di Interbrand si basa sulla omonima metodologia che è da oltre vent’anni lo standard indiscusso nella valutazione dei brand. È importante notare come, con quest’anno, vi sia stata un’ulteriore evoluzione dei princìpi per la determinazione della Brand Strength Score, ossia profilo di rischio del brand. Un affinamento volto a riflettere quei fattori che stanno rapidamente ridefinendo i settori: dalla proliferazione dei social media alle politiche ESG, dalla capacità di attrarre e capitalizzare il talento alla frammentazione del pubblico di riferimento.
Il valore del brand, espresso in termini monetari, è dato dal valore attuale netto dei flussi economici attesi attribuibili esclusivamente al brand, scontati per un tasso in grado di rifletterne il profilo di rischio. La metodologia di Brand Valuation è coerente con i moderni princìpi di valutazione aziendale.
Diversamente rispetto alle valutazioni condotte su richiesta, le valutazioni che appaiono in questa classifica si basano su dati pubblicamente disponibili e fanno riferimento alle condizioni di utilizzo attuali dei brand da parte degli attuali proprietari. Non rappresentano pertanto il potenziale valore di cessione di tali brand.