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È una strada percorribile quella dell’etica d’impresa? Apparentemente no. Sembra che questi due concetti facciano cortocircuito, se accostati l’uno accanto all’altro. Chiunque potrebbe portare numerosi esempi di esperienze proprie o altrui che dimostrano quanto il denaro diventi un ostacolo ai comportamenti etici. Eppure, come ha detto padre Michael Ryan (guarda l’intervento video integrale oppure guarda l’intervista video) al terzo incontro del corso di alta formazione in Etica e sicurezza del lavoro, organizzato a Roma dalla Direzione regionale INAL Lazio, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Fidelis International Institute, l’etica dovrebbe essere vista come un presupposto del business, perché l’economia che funziona è un’economia etica. Lo ha detto anche papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate. Come ha ricordato p. Ryan, della congregazione dei Legionari di Cristo e presidente del Fidelis International Institute, il Pontefice ha scritto nell’enciclica che l’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento, “non di un’etica qualsiasi bensì di un’etica amica della persona”, che sostenga la centralità della persona. L’esclusivo obiettivo del profitto “senza il bene comune come fine ultimo”, osserva Benedetto XVI, “rischia di distruggere ricchezza e creare povertà”. E tra le distorsioni dello sviluppo c’è sicuramente un’attività finanziaria “per lo più speculativa”. La centralità della persona è un elemento chiave di questa argomentazione, ne è assunto di partenza: l’uomo è stato creato ad immagine di Dio; da ciò discende l’inviolabile dignità della persona umana, nonché il trascendente valore delle norme morali naturali. Se l’etica perde queste due connotazioni, ha detto ancora padre Ryan ragionando sull’enciclica del pontefice, allora diventa un mero strumento, diventa strumentale e funzionale agli egoismi e alle prepotenze del mondo economico, anziché una forza correttiva delle disfunzioni del mondo economico.Oggi di questa parola si fa un certo abuso. Come ha sottolineato p. Ryan, non bisogna ricorrere alla parola “etica” come termine ideologicamente discriminatorio (un esempio calzante sono le certificazioni etiche), perché tutto questo porta a sottintendere che non sia etico tutto ciò che non si fregi di questa parola.
Padre Ryan ha poi tracciato, per sommi capi, le prospettive che sono state i tasselli principali negli ultimi 30 anni di studi sull’etica applicata al business. Ha quindi parlato di prospettiva del business, ricordando gli scritti del 1970 di Milton Friedman che vide nella Responsabilità sociale dell’impresa uno strumento per incrementare i profitti. Proseguendo, ha parlato della prospettiva delle “due moralità”, che vuole che vita privata e regole d’impresa siano due mondi distinti e separati, in cui applicare l’etica diversamente (essere un buon padre di famiglia, non significa essere un manager etico, per esempio). C’è, inoltre, una prospettiva dell’etica “professionale”, secondo la quale basta assumere un comportamento etico nel naturale svolgimento della propria professione (ad esempio seguendo il codice deontologico medico per un dottore). C’è anche una “prospettiva dell’etica minima”, ha continuato padre Michael Ryan, o anche detta dell’etica “senza sermoni”; ancora, una impostazione corporativa secondo la quale da solo un individuo non può farcela, ma per essere etico deve avere intorno un contesto di buone strutture e buone corporazioni, insomma deve essere supportato da una cultura di gruppo. Secondo l’impostazione virtuosa, fare bene impresa equivale già di per sé ad essere etici. Infine, tra le prospettive che hanno influenzato gli studi su etica e business, padre Ryan ha ricordato l’impostazione della leadership e la dimensione sociale.
Padre Jesus Villagrasa, professore ordinario di metafisica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ed esperto in tema di rapporti tra metafisica e etica-bioetica, logica e teologia, ha tenuto una lezione dal titolo “Ragioni trascendenti dell’incidente di lavoro” (guarda l’intervento video integrale). Un tema strettamente connesso alle ragioni strategiche del corso di alta formazione, che vuole legare i concetti di etica nel lavoro a quello di sicurezza sul lavoro; per questo un ruolo molto impegnativo è quello che sta giocando, con il suo contributo fattivo, la direzione regionale dell’Inail Lazio.
Padre Villagrasa si è chiesto, all’inizio del suo intervento, che cos’è un infortunio e perché esso accade nella vita delle persone. Per rispondere al una domanda tanto spinosa, da metafisico qual è ha ricorso all’aiuto di Aristotele, di Tommaso d’Aquino e di Voltaire. In particolare, citando San Tommaso, padre Villagrasa ha così argomentato quel “per accidens” che tante volte è infortunio, è male: “Essendo Dio il provveditore universale di tutto l’essere, appartiene alla sua provvidenza il permettere alcuni difetti in qualche cosa particolare perché non sia impedito il bene perfetto dell’universo. Ed invero, se si impedissero tutti i mali, molti beni verrebbero a mancare all’universo; per esempio, non vi sarebbe la vita del leone se non vi fosse la morte di altri animali; né vi sarebbe la pazienza dei martiri se non vi fosse la persecuzione dei tiranni. Perciò S. Agostino può dire ‘l’Onnipotente Iddio non lascerebbe trascorrere alcun male nelle sue opere se non fosse tanto potente e buono da trarre del bene anche dal male‘”.
Appurata la dipendenza dell’infortunio dalla provvidenza, padre Villagrasa ha continuato ad argomentare così il tema, con dei passaggi di Tommaso d’Aquino: “È evidente che nel mondo alcuni eventi dipendono dalla fortuna e dal caso. Capita però, qualche volta, che un evento, in rapporto alle cause inferiori è fortuito o casuale, in rapporto invece a una causa superiore, si scopre che è voluto direttamente. Si pensi, per esempio, a due servi mandati dal padrone, in una stessa località, l’uno all’insaputa dell’altro; l’incontro dei due servi, per loro è casuale, perché avviene senza che essi lo vogliano; per il padrone invece che lo ha preordinato non è casuale, ma voluto direttamente“. Insomma, vi furono alcuni i quali non vollero ricondurre a nessuna causa superiore gli eventi fortuiti o casuali. Altri, invece, vollero farlo, riconducendoli ad esempio ai corpi celesti. Secondo costoro, ha spiegato padre Villagrasa, il fato non sarebbe altro che “la posizione degli astri sotto la quale fu concepito o venne alla luce”. Ma anche questa sentenza è insostenibile, primo in rapporto alle cose umane (infatti gli atti umani sono soggetti all’azione dei corpi celesti soltanto in maniera accidentale e indiretta. Invece la causa fatale, essendo ordinata ad eventi fatali, deve essere causa diretta e per sé dell’evento), secondo in rapporto a tutto ciò che si verifica per accidens.
Quindi padre Jesus Villagrasa, ha concluso: “Bisogna perciò affermare che gli eventi casuali, sia quelli del mondo fisico, sia quelli del mondo umano, dipendono da una causa preordinante, che è la provvidenza divina. Niente infatti impedisce che una cosa capitata per accidens, sia concepita come un tutt’uno da una intelligenza“. In definitiva, “noi possiamo ammettere il fato, perché quanto accade quaggiù è soggetto alla provvidenza divina e accade come un evento preordinato e quasi pre-detto da essa“.
“Noi indaghiamo sempre sul perché avvengono gli infortuni e quasi sempre ci diamo una risposta“, ha esordito il Direttore regionale di Inail Lazio, Antonio Napolitano, rivolgendosi a padre Villagrasa (guarda l’intervento video). E ha continuato: “Mi pongo una domanda quando accadono certe cose, ‘dov’è Dio’? Non so se è il disegno di Dio, se è il disegno del fato, ma un uomo semplice queste cose se le chiede”. Padre Jesus Villagrasa ha risposto citando ancora una volta San Tommaso d’Aquino dicendo “Dio non annulla le leggi della natura e non annulla la libertà degli uomini. Dio è presente anche soltanto permettendo le trascuratezze, le incapacità, la libertà, la malvagità degli uomini“.