Mondo
C’è chi pensa, come lo scrittore inglese Ekow Eshun, che i videogiochi non possano proprio rientrare nella consueta definizione di “arte”. E c’è chi, invece, li ritiene tra le sue massime espressioni.
Il mondo è bello perché è vario, e le due posizioni, non troppo distanti, sono oggi rappresentate dal guru dell’arte inglese Ekow Eshun e Robin Hunicke, il producer diThatgamecompany che sta attualmente lavorando all’adventure Journey.
Parola all’ex direttore dell’Institute of Contemporary Arts, che ha spiegato la sua posizione, più conciliante di quella espressa dal critico cinematografico Roger Ebert, nel corso del programma BBC Radio 4’s Today:
“Suggerirei che le cose da considerare davvero ‘arte’ siano quelle che ci permettono di porci domande profonde su chi siamo, come viviamo e sullo stato del mondo che ci circonda. Penso che gran parte dei giochi non tocchi certi argomenti, ed è importante porre quella barra (relativa all’acquisizione dello status di arte, ndR) piuttosto in alto“.
Entrando nel dibattito, Hunicke ha affermato che l’esperienza personale è più importante di ogni altra considerazione e che, se i giochi hanno un qualunque tipo di impatto sull’utente, allora possono essere considerati ‘arte’.
“Per me i giochi sono arte perché creano dei sentimenti dentro di me, nello stesso modo in cui lo fanno la musica o il ritratto dell’Arnold Feeney Wedding nella National Gallery. Non tutti amano guardare i quadri di Jan van Eyck o Flemish Masters, ma io sì. Per me è un’arte straordinaria. Sono un grande fan dell’opera. Non è per tutti, ma la amo. I giochi fanno per me allo stesso modo. Li metto nella stessa categoria perché è questa la mia esperienza“.
Infine, stando al produttore di Journey, “tutti i giochi sono arte, tutti i giochi richiedono arte. Tutti i giochi hanno gente alle spalle che intende comunicare per immagini. Le meccaniche del gameplay, le regole stesse sono un’arte“.