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#design #socialmedia #alterazioni
Postmedia Editore
Pubblicato: ottobre 2013
Pagine: 106
ISBN: 9788874901067
Prezzo: 15,00
In italiano siamo abituati a utilizzare il termine “design” per qualificare sostantivi (un oggetto di design, una lampada di design), mentre in inglese, to design è in prima istanza un verbo: progettare.
Si può progettare un edificio, una mostra, un viaggio, la propria vita. “Il mondo nuovo” è una breve guida ad una società in continuo mutamento nel momento in cui la tecnologia influenza le nostre abitudini, un periodo in cui forse può essere utile intendere il design in un altro modo: design come attitudine, design come occhiali speciali attraverso i quali guardare al mondo, alla vita, a noi stessi.
Il design diventa linguaggio e arriva a trasformare il mondo perchè trasforma in prima istanza noi stessi. Tutto questo nell’era dei social media. Ovvero in un mondo dove il design é diventato #design. Detto altrimenti, il “progetto” al tempo di Twitter e Facebook.
Aldous Huxley diceva: “Volevo cambiare il mondo. Ma ho capito che l’unica cosa di cui si può essere sicuri di cambiare, è se stessi“. Concetto peraltro già espresso precedentemente (e in maniera ancora più precisa) da Lev Tolstoy: “Se vedete che c’è qualche aspetto della società che è negativo e volete migliorarlo, c’è un unico modo possibile per farlo: dovete migliorare le persone. E per migliorare le persone, c’è un unico modo per incominciare: migliorare se stessi“.
Lasciando da parte la volontà di migliorare e/o cambiare il mondo, possiamo limitarci a un obiettivo più ragionevole: voler comprendere il mondo (o alcune sue parti). Peraltro, come ci insegnano i geografi contemporanei, le operazioni di descrizione e di analisi sono già progetto. Osservare e descrivere il mondo come primo esercizio di trasformazione diretta e reale.
Il descrivere inteso come strumento di alterazione. Cercare di capire quello che sta succedendo attorno a noi, le mutazioni, le direzioni: carte e pedine che vengono rimescolate a inventare giochi mai visti prima. Relazioni nuove e inaspettate che trasformano il significato e i valori codificati e stratificati da tempi immemorabili. Il mondo sta cambiando a una velocità impensabile, con processi di accelerazione progressiva sempre più evidenti.
In questi processi di trasformazione un ruolo centrale è giocato dai nuovi media (siano essi sociali e/o digitali). La non accettazione di queste nuove sfide è una scelta possibile ma ci condanna a una posizione di marginalità che è a un tempo culturale, sociale, e – ovviamente – economica.
Stefano Mirti, si laurea in architettura al Politecnico di Torino con successivo dottorato di ricerca presso lo stesso Politecnico. Dal 2001 al 2005 è professore associato all’Interaction Design Institute Ivrea, di cui è anche responsabile della exhibition unit. Successivamente coordina i progetti di Id-lab (Interaction Design Lab). Come architetto è tra i fondatori di Cliostraat. Per postmedia books Stefano Mirti ha pubblicato: “Toyo Ito. Istruzioni per l’uso“, “Yung Ho Chang. Luce chiara, camera oscura” e “Interaction Design Primer“.