BIBLIOTECH
Corraini Editore
Pubblicato: maggio 2011
Pagine: 160
ISBN: 8875702861
Prezzo: 12,00
Pubblicato per la prima volta nel 1967 con grafica di Quentin Fiore, The Medium is the Massage. An inventory of effects è uno dei testi fondamentali del Novecento sulla teoria della comunicazione. A partire dalla constatazione che i media sono estensioni delle facoltà fisiche e psichiche dell’uomo, McLuhan vi tratteggia l’effetto che ogni mezzo di comunicazione “in sé” ha sui sensi. La particolare struttura di ogni mezzo di comunicazione lo rende infatti non-neutrale, e il mezzo tecnologico attraverso cui è veicolata l’informazione produce effetti sull’immaginario indipendentemente dai contenuti dell’informazione stessa.
La riflessione di McLuhan si dilata a comprendere il mondo delle merci, della stampa, della pubblicità e delle arti, e la mescolanza di testo e immagini – messa a punto da Quentin Fiore – riflette sulla carta il suo controverso pensiero, diventando appunto parte integrante del messaggio.
Secondo Eric McLuhan, figlio di Marshall, il titolo del volume fu il risultato di un refuso del tipografo, che nelle bozze riportò “Massage” anziché “Message”. L’autore decise di mantenere l’errore, che creava un involontario gioco di parole nel pieno spirito della sua celebre frase “il mezzo è il messaggio”, “arrivando persino a fare il verso a se stesso in un modo spiritoso e supremamente intelligente”.
(Dalla quarta di copertina di Marco Belpoliti).
Marshall McLuhan (Edmonton, 1911 – Toronto, 1980) deve la sua fama alle riflessioni sul ruolo e il potere dei media nel mondo della comunicazione. Professore in molte università degli Stati Uniti e inventore di espressioni come “Il mezzo è il messaggio” e “Villaggio globale”, continua ad essere una delle figure più influenti e discusse nel panorama degli studi sugli strumenti e i metodi della comunicazione. Quentin Fiore (1920) è stato allievo di George Grosz e si è formato presso il New Bauhaus di Chicago. Noto soprattutto per i propri lavori di grafica editoriale negli anni Sessanta, è stato “il più anarchico possibile muovendosi all’interno dei limiti della costruzione del libro” (Steven Heller).