BIBLIOTECH
Garzanti, Roma 2003
Pagine 300
ISBN 881159748-X
Prezzo 14.50
Introduzione di Aldo Grasso
“La censura è come un filo rosso (o nero) che percorre la tessitura della grande storia dello spettacolo e la sua pretesa segreta è quella di aggiungersi, con il suo colore, all’intreccio del tutto. Cara, vecchia censura, così visibile ed esplicita da mettersi in ridicolo da sola, così rigida da creare alternative retoriche di grande pregio linguistico, dall’allusione alla reticenza, dalla parafrasi alla sineddoche!”
(dall’introduzione)
Ci sono state epoche in cui non si potevano ascoltare Crapa pelada e Pippo non lo sa, e poi Modugno e “Il cielo in una stanza“, e i brani di Celentano, Gaber e Dalla venivano “corretti”.
Saint Louis Blues diventava La tristezza di san Luigi e le gambe della ballerine dovevano essere inguainate in calzamaglie a righe. Non era lecito dire “alcova”, “divorzio”, “verginità”, “gozzoviglie”, e neppure “membri del Parlamento” o “amante della libertà”. Si tagliavano i versi di Carducci e Pascarella, le commedie di Eduardo e “La dolce vita“.
I gialli dovevano essere ambientati in Sudamerica, uno sketch sugli infortuni sul lavoro si pagava con il licenziamento da Canzonissima e si bruciavano gli archivi con i filmati delle manifestazioni sindacali.
La storia dei mezzi di comunicazione è prima di tutto la storia di quello che si può dire e degli argomenti di cui non si può parlare.
(dalla quarta di copertina)
Menico Caroli è dottore di ricerca in filologia classica. Esperto in storia della canzone d’autore, collabora con riviste e siti Internet specializzati. Ha scritto “Eufemismi e tabù” (Bari 1999), “Il silenzio degli usignoli” (Roma 1996), “Il mio canto universale“.