La teoria

eJournalism: diritto all’oblio, tra dati effimeri e buchi di memoria del web

di André Gunthert, Imagesociale |

Il diritto all’oblio si basa sull’errata convinzione che lo spazio digitale abbia una super-memoria. Il problema è invece governare gli algoritmi dei motori di ricerca.

Lo spazio digitale non è un super-archivio e il cosiddetto diritto all’oblio (Scheda) si basa sulla convinzione errata di una super-memoria: internet, al contrario, perde la memoria molto velocemente – spiega André Gunthert su Imagesociale – e il suo archivio ha più la forma di una geografia che di una storia. Mentre è l’attrazione del presente a governare gli algoritmi dei motori di ricerca.

#eJournalism è una rubrica settimanale promossa da Key4biz e LSDI (Libertà di stampa, diritto all’informazione).

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Données éphémères, un trou de mémoire?

di André Gunthert

Dopo il successo di Snapchat (applicazione di messaggeria mobile che prevede la cancellazione delle foto qualche secondo dopo la loro consultazione) l’espressione “dati effimeri” (ephemeral data) ha conquistato nel mondo anglosassone gli studi specializzati in uno storytelling che li oppone ai vecchi media sociali, e annuncia un mutamento delle pratiche conversazionali, alimentate dalle rivelazioni sugli usi della profilazione o della sorveglianza delle nostre tracce elettroniche (1).

Questo approccio tradizionalmente ridotto al solo teatro digitale presenta diversi difetti. Come nota Nathan Jurgenson, bisognerebbe cominciare a rivedere lo stereotipo che assegna al mondo digitale il fascino di un super-archivio (2).

Le pratiche effettive su Facebook o Twitter, strumenti che non facilitano la ricerca retrospettiva, si iscrivono in una ecologia del flusso piuttosto che della memoria. La favola della scoperta da parte di un raccoglitore di tracce di un passato poco brillante, su cui è stata elaborata la rivendicazione di un diritto all’oblio, pecca chiaramente di realismo di fronte all’attrazione del presente che governa gli algoritmi di ricerca. Il web perde la memoria molto velocemente, e il suo archivio ha più la forma di una geografia che di una storia.

In secondo luogo l’idea che il gusto per le forme effimere corrisponderebbe a una svolta recente, contrasta con tutta la storia della comunicazione. I media di flusso, come la radio o la televisione, ma anche i media di massa, come la pubblicità o anche solo la stampa, producono da tempo una informazione fuggitiva, consumata come distrutta assai velocemente, e il cui carattere deperibile condiziona molto spesso i contenuti.

Ma il carattere forse più irritante di questo sedicente trionfo dell’effimero è il rifiuto di pensare l’integrazione fra le forme e i loro utilizzi. Paul Ricœur ha proposto la nozione di ”identità narrativa” per spiegare l’intellegibilità della rappresentazione di sé attraverso le peripezie dell’esistenza (3). Se si abbandona la falsa idea di un archivio integrale che ospiterebbe tutto il nostro passato (l’archivio esistente non conserva che una piccola parte dei nostri scambi immateriali, e non potrebbe essere utilizzata se non da esperti), sembra bene che si possa estendere questo modello alla gestione dell’informazione in generale, che prende la forma di una conoscenza cumulativa, basata sulla memoria individuale.

Ognuno di noi colleziona con cura tutti gli articoli di stampa di cui prende conoscenza? Si può invece rilevare che il ritaglio eventualmente conservato solo raramente diventerà oggetto di una consultazione retroattiva. La comprensione dell’attualità si elabora a partire da un consumo al volo, non da una verificazione erudita. La strutturazione a medio termine dell’informazione funziona per l’individuo con lo stesso principio dell’identità narrativa, per accumulazione mnemonica e produzione di schemi interpretativi, concretizzati dalla forma conversazionale.

Come avviene per la consultazione dei giornali o il visionamento televisivo, l’intellegibilità degli scambi su Snapchat si elabora nella durata, basata sull identificazione delle firme e dei motivi narrativi ricorrenti, esattamente come la vecchia conversazione. La pseudo-svolta dei “dati effimeri” si baserebbe quindi su nient’altro che un vuoto di memoria?

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(1) Vanessa Marin, «‘Ephemeral Data Is the Future’: The Rise of Self-Destructing Social Media», Perspectives on History, mars 2014.

(2) Nathan Jurgenson, «Temporary Social Media» Blog Snapchat, 19 juillet 2013.

(3) Johann Michel, «Narrativité, narration, narratologie. Du concept ricœurien d’identité narrative aux sciences sociales», Revue européenne des sciences sociales, XLI-125, 2003, p. 125-142.

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