#Odiens è una rubrica a cura di Stefano Balassone, autore e produttore televisivo, già consigliere di amministrazione Rai dal 1998 al 2002, in collaborazione con Europa.
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La risposta dell’Auditel è che il Ballarò del disinvolto Giannini è riuscito (11,76%, poco meno della puntata di esordio del settembre 2013) a tamponare lo sbarco del Ballarò (pardon, del DiMartedì) del compito Floris (3,46%) e che tutti e due i programmi hanno avuto più spettatori al momento di Benigni per l’uno e di Crozza per l’altro (argomento fisso: Renzi). Nell’insieme il pubblico delle due reti contrapposte è cresciuto di un punticino di share rispetto a quello che Ballarò raccoglieva tutto solo nella stagione passata.
Delusione per Floris?
Probabilmente sì, tutto per colpa dai maschi più anziani, quelli che costituivano e costituiscono la parte più cospicua dell’ascolto che Floris usava rastrellare su Raitre. Un segmento di pubblico che a seguire il conduttore fuori dal luogo usato proprio non ci pensa.
Sicché nel pubblico di Floris pesano di più i laureati (che superano il 6% di share, il doppio del risultato complessivo) mentre tra gli spettatori di Giannini è decisamente forte lo share dei titolari di licenza elementare (oltre il 17%). Giannini è sovradimensionato al Sud, Floris ottiene di più nel Nord Est.
In sintesi Floris, col suo programma DiMartedì ha sussunto il profilo socio demografico già usuale per tutti i programmi della rete in cui è finito. Come è ovvio che accada, perché l’insediamento strategico è delle reti e non dei singoli programmi. Anche se nessuno riuscirà mai a persuaderne gli autori e i conduttori, mestieri come si sa un po’ da Narcisi.
Ed ora un consiglio: evitate di fare come noi ieri sera, che avendo un solo televisore e volendo seguire tanto Ballarò che DiMartedì continuavamo a zappare avanti e indietro. Risultato: non distinguevamo tra le due zuppe e, peggio ancora, rompevamo il filo del racconto-scaletta. Volendo essere spettatori ipercritici, iperconsapevoli e onnivedenti finivamo col non essere spettatori affatto.
Perché rinunciavamo all’essenza dell’essere spettatori e cioè al lasciarsi andare, al farsi trastullare dai marchingegni del comico o del conduttore.
Insomma, correndo di qua e di là vedevamo sì lo scheletro delle due trasmissioni (che è poi lo scheletro di ogni talk show) ma ne perdevamo la specifica atmosfera, proprio il fattore che, prima dei contenuti, dà un senso alla serata. Anche se a volte i contenuti prendono la loro rivincita, come nel Formigli dello scorso lunedì sera, su islamismo, Isis, peshmerga coi fucili di latta, profughi e scafisti in Libia, con utile netto di 200.000 euro a viaggio, senza la clausola del “salvo buon fine”.
Ma, lasciando perdere l’informazione e tornando ai talk show, in futuro eviteremo l’errore di non scegliere, a priori, tra i due, oppure di non guardare altrove.