Si chiama VHIL, Virtual Human interaction Lab ed è un gioiello di tecnologia e ricerca nato nel 2003 all’Università di Stanford, in California.
Il suo fondatore ed esperto di Comunicazione, il Professor Jeremy Bailenson, ha scommesso sul futuro della realtà virtuale e nel 2010, raccolti i necessari finanziamenti, ha dato vita all’attuale versione del laboratorio, in cui oggi è possibile studiare gli effetti della realtà virtuale sul comportamento delle persone e le relative e possibili implicazioni sulla società.
Per capire meglio cosa abbia spinto il Professore e il suo team a sviluppare questo progetto, provate a immaginare come potreste sentirvi, se per qualche minuto la vostra mente fosse convinta di poter volare come Superman.
Vento tra i capelli, braccia tese avanti e un bellissimo quartiere di Los Angeles che si rimpicciolisce sotto i vostri piedi, man mano che raggiungete le nuvole.
Un’esperienza piuttosto divertente, almeno a raccontarla, ma come potrete immaginare, le implicazioni fisiologiche e psicologiche non possono mancare.
Il battito cardiaco aumenta, così come la sudorazione. Per qualcuno subentra una repentina perdita dell’orientamento, per qualcun altro una modesta difficoltà nel coordinamento degli arti.
Per tutti, si registra una maggiore inclinazione ad aiutare le persone in difficoltà che persiste anche dopo l’esperienza virtuale.
Ed è proprio questo lo scopo del Professore: capire come la realtà virtuale possa influenzare i comportamenti delle persone nella vita reale.
Gli esperimenti si svolgono soprattutto nella Multisensory Room, una sala attrezzata con Oculus, lo schermo di realtà virtuale che si indossa un po’ come un casco, oggi soprattutto utilizzato nell’industria dei video games.
Ventiquattro altoparlanti per un effetto dolby surround, telecamere e relativi bracciali e cavigliere per monitorare i movimenti delle persone e dulcis in fundo, un pavimento capace di simulare vibrazioni di diversa natura, più o meno intense.
Non mancano poi alcuni piccoli trucchi per rendere il tutto ancora più reale, come ad esempio un piccolo ventilatore portatile per simulare gli spostamenti d’aria.
L’unico senso non coinvolto, per capirci, è l’olfatto, questione tuttavia in via di sperimentazione in un altro laboratorio a Los Angeles.
Gli esperimenti avvengono soprattutto attraverso tre tipi di immersioni:
– “The Present“, in cui viene simulata una realtà identica a quella presente (in questo caso viene ricostruita la Multisensory Room), ma che in quanto virtuale, può variare in infiniti modi: la simulazione di un terremoto e l’apertura di una voragine nel pavimento, ma anche lo scoperchiarsi del tetto e un innalzamento del pavimento stesso fino a 30 metri sopra la stanza ne sono solo alcuni esempi.
– “Pro social behaviour” ossia la manipolazione della realtà, per osservare quanto questa influisca sul comportamento delle persone nei confronti del mondo circostante. In questa categoria ricade l’esperimento “super hero”, forse uno dei più divertenti.
– “Avatar” in cui si osservano le reazioni delle persone il cui avatar non corrisponde esattamente alle sembianze reali, ma anzi ne altera razza, genere e fisionomia.
Provate ad immaginare un soldato americano che camminando in una stanza virtuale si specchi e per sbaglio scopra di essere un civile iracheno.
È proprio così che il Professore, che oggi collabora anche con Dipartimento della Difesastatunitense, ha potuto constatare come le persone siano inclini a estendere i comportamenti corretti e socialmente utili acquisiti nella realtà virtuale, al di fuori della stessa.
I progetti attualmente in corso includono (tra i più interessanti), l’uso degli Avatar per educare ad un uso consapevole e ridotto dell’energia, la mappatura dei comportamenti virtuali per prevedere i comportamenti nella vita reale e lo studio della collaborazione in ambito virtuale.
L’ultimo ostacolo alle applicazioni immaginate dal Professor Bailenson, era (fino a qualche mese fa), l’ingresso di tecnologie più economiche e maneggevoli nel mercato consumer, tuttavia la nuova e più leggera versione di Oculus ed il lancio sul mercato del nuovo Google Cardboard VR, potrebbero permettere un’evoluzione sistematica dell’uso della realtà virtuale anche nell’ambito di industrie molto diverse, come quella della comunicazione, ma anche dell’educazione e del turismo. Una piega tutta nuova per una tecnologia che sembrava non poter andare oltre ai video games.
Una scommessa tutto sommato molto più reale che virtuale.