Cina
Amnesty International ha diffuso in questi giorni un dossier intitolato “Repubblica Popolare Cinese: il controllo dello Stato su Internet”, che denuncia le autorità cinesi e chiede l”immediato rilascio di tutte quelle persone arrestate o condannate per aver espresso le proprie opinioni in rete.
Francesco Visioli, coordinatore per la Cina della Sezione Italiana di Amnesty International segnala i casi di almeno 33 persone arrestate o condannate per reati commessi via Internet: si tratta di attivisti politici, scrittori e membri di organizzazioni non ufficiali, tra cui il movimento spirituale Falun Gong.
Il rapporto di Amnesty denuncia i casi di due adepti di Falun Gong (bandita nel 1999 perché ritenuta una “organizzazione eretica”), detenuti per reati relativi a Internet e deceduti a seguito di torture o maltrattamenti da parte della polizia.
Ma la sentenza che ha destato più clamore è quella emessa nei confronti di Li Dawei, un ex agente di polizia condannato a 11 anni di carcere per aver scaricato articoli da siti dei movimenti democratici cinesi all”estero. Tutti i suoi appelli sono stati respinti dalle autorità.
L”industria di Internet in Cina è in piena espansione, soprattutto fra i più giovani, per questo le autorità considerano la rete come una sorta di minaccia e continuano a intensificare i controlli sull”informazione on-line con misure come il filtro o il blocco di siti stranieri, l”istituzione di corpi speciali di polizia, il blocco di motori di ricerca e la chiusura di siti che pubblicano informazioni sulla corruzione o articoli critici nei confronti della politica
Dopo il blocco, a fine agosto, al motore di ricerca Google e le successive polemiche, nelle ultime settimane Pechino ha cambiato tattica, consentendo l”accesso ad alcuni siti Internet in precedenza bloccati, ma rendendo impossibile agli utenti la consultazione di documenti sui siti cinesi.
Secondo quanto rilevato da Amnesty International, il ministero per la Sicurezza dello Stato avrebbe anche fatto installare dei firewall di rilevamento sui sistemi dei service provider con l”obiettivo di controllare le singole caselle di posta elettronica, mentre tutti gli Internet café sono stati obbligati a tenere un registro dei propri clienti e a informarne la polizia.
L”associazione umanitaria chiede al governo di Pechino di rivedere i regolamenti e le misure che limitano la libertà di espressione su Internet, per renderli conformi agli standard internazionali.
Per tutta risposta le iniziative governative volte a frenare l”uso della rete, si susseguono incessantemente: recentemente è stato promulgato un disegno di legge per cui chiunque diffonda su Internet informazioni considerate “segreti di Stato” può essere passibile di condanna a morte. Le autorità cinesi, inoltre, hanno obbligato le società che si occupano di Internet ad assumersi maggiori responsabilità nel controllare la rete.
I sottoscrittori dell”Impegno pubblico di autodisciplina, introdotto nell”agosto 2002, accettano a non pubblicare informazioni “dannose” che possano “mettere a repentaglio la sicurezza dello Stato, disgregare la stabilità sociale, contravvenire alle leggi e diffondere superstizione e oscenità”.
L”Impegno è stato sottoscritto da oltre 300 società, compreso il noto motore di ricerca internazionale Yahoo.
L”organizzazione per i diritti umani ha anche espresso la propria preoccupazione per il fatto che alcune società straniere avrebbero venduto alla Cina tecnologia che è stata usata per censurare Internet.