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Un ragazzo di 21 anni si è tolto la vita con un mix letale di Klonopin, Metadone e Restoril. La notizia, di per se scioccante, difficilmente avrebbe trovato spazio sui giornali se non fosse per il fatto che il poveretto ha compiuto il tragico gesto mentre chattava in Rete e – pare – che i suoi amici virtuali lo abbiano spinto non a fermarsi ma a ingurgitare dosi sempre più massicce di medicinali.
Brandon Vadas era un appassionato di elettronica e passava quasi tutto il suo tempo libero in rete col nomignolo Ripper: il suo sito preferito è stato sommerso da messaggi di dolore.
Tuttavia, di fronte alla tragedia,sono in molti a chiedersi quanto ci si possa fidare dei “compagni di navigazione” e di quelle chatroom dedicate a come reperire illegalmente medicinali difficili da farsi prescrivere. E in tutto questo, quale responsabilità si deve attribuire agl”ISP?
“Quel che è certo – dice l”avvocato Robin Bynoe – è che la sera in cui si è ucciso stava vantandosi in chat della sua resistenza a quelle sostanze. Le trascrizioni dimostrano che, mentre alcuni cercavano di metterlo in guardia su quanto stava facendo, molti altri lo incitavano ad andare avanti”.
Dalle trascrizioni, da cui sono stati ricostruiti gli ultimi momenti di vita del ragazzo, si evince che i più erano preoccupati di essere implicati legalmente nella sua morte, ma c”è anche chi, preso dal panico, ha chiamato la polizia.
Almeno 12 persone erano collegate con la web cam in quella chat room e il fratello della vittima vuole denunciarle per aver contribuito alla sua morte anche se – continua l”avvocato Bynoe – non ci sono precedenti per una simile accusa.
La tragedia ha comunque riaperto il dibattito sul controllo delle chat room e sulla responsabilità – legale e morale – dei fornitori d”accesso.