Ricerca e innovazione: proposte per il rilancio del mercato Ict

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Italia



di Maurizio D&#232cina

Professore ordinario di Telecomunicazioni
POLITECNICO DI MILANO

Direttore Scientifico
CEFRIEL

Quando si parla di ricerca, innovazione e sviluppo bisogna innanzitutto definire gli elementi che entrano in gioco. Questi sono:

  • gli organismi di ricerca pubblica (Cnr, Enea, eccetera)

  • le universit&#224, organismi tuttora completamente statali che hanno per&#242 il duplice ruolo di formazione e ricerca (si noti che negli altri Paesi avanzati la ricerca viene fatta principalmente negli atenei)

  • l¿industria, tutta, grande e piccola

  • il potere politico centrale, e soprattutto

  • l¿infrastruttura territoriale (Regioni, Province e Comuni)

E¿ difficile formulare una strategia di innovazione e sviluppo prescindendo da un intreccio sinergico tra tali fattori.
Fatta questa dovuta premessa, veniamo ad analizzare alcuni dati riguardanti il ritardo del nostro Paese.
La Confindustria ha presentato di recente una spietata analisi sugli indicatori dei ritardi dell¿Italia rispetto alla sfida lanciata al summit europeo di Lisbona2000: l¿Italia, pur investendo pi&#249 di Spagna e Grecia in R&S, risulta ultima in classifica considerando che i due suddetti Paesi mostrano una progressione positiva, mentre il nostro Paese ristagna.

Un”altra recente analisi sullo stato dell¿innovazione nei Paesi europei fatta dalla DG Research della Ue, Benckmarking 2002, conclude dicendo: l¿Italia deve investire molto di pi&#249 in conoscenza per convergere con l¿andamento e i livelli degli altri Paesi europei.

I parametri utilizzati in tale analisi, non si limitano a quello quantitativo relativo alla spesa pro capite in R&S, pubblica e privata, ma riguardano anche:

  • il numero dei ricercatori e dei dottori di ricerca

  • il nuovo numero di brevetti, e di pubblicazioni scientifiche

  • la spesa in educazione primaria e secondaria

  • la spesa in formazione permanente

  • la diffusione e l¿uso delle tecnologie dell¿Ict

  • la sensibilit&#224 del mondo finanziario alle attivit&#224 innovative nel settore dellatecnologia

In altre parole questi sono gli elementi indicatori della ¿knowledge economy¿.

Veniamo ora ad analizzare un dato particolarmente citato: l¿1.04% speso dall¿Italia in R&S rispetto a una media europea di 1,92%. Tale cifra &#232 in realt&#224 costituita da due componenti: quella pubblica e quella industriale. Qui dobbiamo registrare una notevole difformit&#224 tra l¿Italia ¿ 50,1% di ricerca pubblica e 49,9% a carico delle imprese ¿ e la media europea ¿ 35% di ricerca pubblica e 65% di ricerca industriale.

Nella ricerca pubblica il distacco rispetto alla media europea &#232 piccolo: l¿Italia investe un 20-30% in meno.

Il divario diventa molto grande quando andiamo ad analizzare la R&S a carico delle imprese. Tale indicatore – il ¿business financed R&D as a percentage of industrial output¿ – per l¿Italia &#232 pari a 0,53%, su una media europea di 1,28%. Quindi poco pi&#249 di un terzo. Tra poco poi entreranno altri 10 partner e allora verremo superati anche da Slovenia e Repubblica Ceca. Ma altri indicatori sono allarmanti: in Polonia, paese con un reddito pro capite e una popolazione inferiore all¿Italia, il numero dei ricercatori &#232 pari a 82mila circa (circa 20mila persone in pi&#249 rispetto all¿Italia), mentre in Romania sono 44mila.

Dobbiamo quindi aspettarci una pressione concorrenziale nel settore dell¿innovazione non soltanto da parte dei nostri partner europei di oggi, ma anche da quelli di domani.

In effetti tutti i parametri di questa analisi della Confindustria sono sconfortanti: quanto si investe in istruzione secondaria, in istruzione universitaria, eccetera. Vorrei solo citare un parametro che mi sembra straordinario: in Francia, Regno Unito e Germania la percentuale di stranieri impiegati nell¿attivit&#224 di R&S nel settore delle tecnologie avanzate supera il 50%, mentre in Italia si attesta intorno al 10%. In Italia non solo si fa poca ricerca, ma non si riescono ad attrarre ricercatori esterni affinch&#233 intervengano nei processi innovativi del Paese.

Vorrei inoltre ricordare che, analizzando la realt&#224 del Cnr, ma anche delle universit&#224 italiane, si constata che l¿et&#224 media dei ricercatori pubblici &#232 molto vicina ai 50 anni. E¿ impressionante la citazione emersa nell¿intervento predente: per raggiungere a medio termine un numero di ricercatori dell¿universit&#224 e della ricerca pubblica non molto inferiore a quello odierno, servono almeno 5mila giovani l¿anno per i prossimi cinque anni.

La necessit&#224 di un ricambio &#232 quindi un¿urgenza di notevole impellenza.

Accanto a questi dati scoraggianti, resi noti dalla Comunit&#224 Europea e dalla Confindustria, ne esistono tuttavia altri che fanno ben sperare per il futuro.

Innanzi tutto la nostra bilancia dell¿import-export di tecnologia &#232 ancora significativa, inoltre una rilevante percentuale dei lavoratori italiani lavora tuttora nell¿¿hi-tech¿ e nel ¿medium-tech¿.

Osservando poi la penetrazione di Internet per accessi domestici, negli ultimi anni il nostro Paese ha avuto una performance notevole, ¿staccando¿ nettamente la Spagna e la Francia andando ad ¿agganciare¿ (ma seguendo il trend positivo dell¿incremento &#232 imminente il sorpasso) Paesi come Il Regno Unito e la Germania. Per renderci conto al meglio del grande balzo in avanti si pensi che secondo una chart del Ripe (Rete IP Europea) dal 1998 al 2002 passiamo da 200mila ¿host attivi¿ a 2 milioni e 600 mila; in termini di accessi, diciamo, da 1 milione a 12 milioni di utenti abituali. Tutto questo testimonia che il nostro &#232 un mercato grande e ricco, un mercato dove i giovani si avvicinano sempre pi&#249 alla tecnologia Ict e ad Internet.

L¿Associazione Futura di Milano alcuni mesi fa pubblic&#242 un documento di riflessione sul modello da adottare per ristrutturare la ricerca pubblica italiana. Emerse subito che si dovevano distinguere due sistemi: quello nazionale e quello territoriale. Facciamo riferimento alla figura allegata.

A livello nazionale vanno enucleati e valorizzati i ¿Centri Nazionali di Ricerca¿ che svolgono ricerche fondamentali non sostenibili da singole imprese o universit&#224. L¿orientamento delle Regioni, delle Province e dei Comuni, ma anche del Ministero dell¿Innovazione, &#232 invece quello di creare centri territoriali di competenza, centri tecnici di formazione che abbiano forti relazioni con le universit&#224 e i centri di ricerca, come il Cnr. Realt&#224 ben radicate sul territorio italiano, si pensi alla Regione Toscana, ma abbiamo importanti esempi anche in Piemonte, in Lombardia e in Emilia Romagna. Una opportunit&#224 &#232 quella di trasformare le entit&#224 del Cnr pi&#249 vicine alle istituzioni locali in ¿Centri Territoriali per il Trasferimento Tecnologico¿: dei luoghi in cui la ricerca pubblica, le amministrazioni pubbliche, le industrie e le universit&#224 trovino uno sfogo applicativo all¿innovazione.

Il cuore della ricerca in tutti i Paesi &#232 rappresentato dalle universit&#224: &#232 il primo momento in cui i giovani sono esposti alla tecnologia e all¿innovazione. Poi troviamo le imprese, nazionali e territoriali, grandi, medie e piccole. In Italia com¿&#232 noto prevalgono le ultime due. La necessit&#224 &#232 di avvicinare le piccole imprese e i distretti industriali alle universit&#224: si devono creare questi centri territoriali per il trasferimento tecnologico. Si rende necessaria una politica di programmazione, di erogazione e di valutazione dei risultati della ricerca.

Nella nostra proposta, erogazione e valutazione dovrebbero essere affidati ad un ente super partes che abbiamo chiamato ¿Agenzia Nazionale per la Ricerca¿.

Tale agenzia non &#232 un player (non posso valutare, erogare e allo stesso tempo svolgere attivit&#224 di ricerca): deve essere un¿entit&#224 a livello Presidenza del Consiglio dei Ministri con un forte potere di coordinamento degli altri attori a livello del Governo in materia di ricerca, come il Ministero delle Attivit&#224 Produttive, il Miur, il Ministero dell¿Innovazione, e molti altri.

Il problema a questo punto &#232 come coordinare un programma d¿innovazione tra centro e realt&#224 diffuse sul territorio. Gli strumenti a disposizione oggi sono modesti: abbiamo la Conferenza Unificata Stato Regioni che certamente non &#232 un meccanismo adatto per pianificare un¿attivit&#224 di innovazione che dovrebbe darsi programmi e scadenze per lo meno triennali.

Questi sono alcuni grandi temi di riforma a cui riusciamo a dare una risposta per ora solo parziale. Bisogna comunque affrontare la ristrutturazione della ricerca pubblica secondo delle linee che seguano un progetto strategico di¿innovazione e sviluppo che coinvolge le imprese, le pubbliche amministrazioni, e le università.

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