Italia
Avv. Donatella Boccali
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. N. 4900/2003) si è occupata della trasmissione di files a contenuto pedopornografico attraverso una chat.
Il problema giuridico del caso sottoposto alla valutazione del giudice di legittimità riguarda i criteri da seguire per stabilire se nel caso di specie trovi applicazione il comma 3 dell¿art. 600-ter cp che punisce la ¿distribuzione, la divulgazione e pubblicizzazione del materiale pornografico, ovvero il comma 4 che punisce soltanto la cessione. Nella decisione in esame la Corte di Cassazione afferma che si ha divulgazione e diffusione quando le immagini pedopornografiche siano raggiungibili da chiunque: “occorre che l¿agente inserisca le foto pornografiche minorili in un sito accessibile a tutti, al di fuori di un dialogo ¿privilegiato¿, o le invii ad un gruppo o lista di discussione, da cui chiunque le possa scaricare, o le invii ad indirizzi di persone determinate ma in successione, realizzando cioè una serie di conversazioni private con diverse persone”.
Si ha cessione nell¿ipotesi in cui il materiale sia indirizzato a un soggetto determinato o comunque all¿interno di un rapporto privilegiato: ¿ quando la cessione avviene attraverso una chat line è necessario verificare, al fine della contestazione dell¿ipotesi del comma 3, se il programma consenta a chiunque s colleghi la condivisione di cartelle, archivi e documenti contenenti le foto pornografiche minorili, in modo che chiunque possa accedervi e prelevare direttamente le foto. Laddove, invece il prelievo avvenga solo a seguito della manifestazione di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, si versa nell¿ipotesi più lieve dei cui al quarto comma¿.
In passato altre pronunce della Cassazione hanno ritenuto sussistente l¿ipotesi di cui al comma 3 nel caso:
di cessione a pluralità di soggetti sia pure attraverso una serie di diverse conversazioni private;
di un uso di un programma o di una rete che consenta la condivisione con gli altri utenti delle foto pornografiche registrate sul proprio disco rigido o in un altro supporto, così da mettere a disposizione di tutti la parte di disco rigido o di altra memoria di massa dove sono contenute le foto pornografiche minorili in modo che chiunque possa accedere alle cartelle condivise e prelevare direttamente le foto ( Corte Cass, sent. n. 5397/2002).
La Corte osserva come di fronte a una trasmissione di materiale pedopornografico realizzata attraverso un canale di discussione (la chat line), sia sempre e comunque necessario verificare, al fine della contestazione dell¿ipotesi del comma 3, se il programma consenta a chiunque si colleghi di accedere alle immagini. (nella sentenza n. 1762 del 2000 la Corte Cass. ritiene sussistente l¿ipotesi di cui al comma 3 rispetto a qualsiasi divulgazione realizzata attraverso una chat e cioè senza richiedere una preliminare verifica dell¿accessibilità a soggetti indeterminati).
La Suprema Corte svolge un¿altra considerazione secondo la quale l¿indeterminatezza dei soggetti non può essere desunta dal fatto che dietro un solo nickname, e quindi dietro un solo computer, possano nascondersi più soggetti. Tale circostanza non può valere come argomento a sostengo dell¿applicabilità del comma 3 dell¿art. 600-ter cp, perché se così fosse l¿operatività dello stesso varrebbe anche rispetto all¿ipotesi della foto allegata a un messaggio di posta elettronica, che invece rientra nell¿ipotesi più lieve di cui al comma 4.
Per materiale pornografico oggetto della trasmissione telematica è da escludersi che possa intendersi qualsiasi immagini ritraente minori. È evidente come altrimenti la stessa raffigurazione potrebbe essere o non essere ritenuta pornografica a seconda di chi la guarda.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno osservato (sent. 13/2000) che lo sfruttamento sessuale del minore richiesto dal comma 1, art. 600-ter cp non vada inteso unicamente come utilizzo per fini di lucro o comunque con ricaduta economica, in quanto il legislatore ha adottato il termine sfruttare nel significato di utilizzare a qualsiasi fine, non necessariamente di lucro, sicché sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e valore in sé.
Commette il delitto di cui all¿art. 600-ter, comma 1, chiunque impiega uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici con il pericolo concreto di diffusione di materiale pornografico prodotto.
L¿accertamento di tale pericolo secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione potrà avvenire facendo ricorso a elementi sintomatici della condotta , tra i quali:
l¿utilizzo, contemporaneo o differito nel tempo di più minori per la produzione del materiale pornografico;
i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile, altri indizi significativi che l¿esperienza può suggerire;
l¿esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale, atta a corrispondere alle esigenze del mercato dei pedofili; il concreto collegamento dell¿agente con soggetti pedofili , potenziali destinatari del materiale pornografico.
Per quanto concerne la rilevanza del consenso prestato dal minore, l¿art. 600-ter cp manca di un¿indicazione espressa.
Parte della dottrina richiama l¿art. 609-quater cp che incrimina gli atti sessuali con un minorenne e che prevede la perseguibilità di tali atti se compiuti da un maggiorenne con un minore ultra quattordicenne (eccezionalmente con un sedicenne), lasciando intendere che il consenso all¿atto sessuale possa essere validamente espresso anche dalla persona quattordicenne. Questo orientamento sembra preferire la tesi secondo cui sia dia escludere lo sfruttamento quando l¿immagine sia prodotta con il consenso prestato dal minore, e che non possa essere considerato materiale pornografico quello prodotto senza un interessamento fisico del minore (es: l¿immagine pornografica risulta essere il frutto di una manipolazione effettuata su una foto o un filmato innocente raffigurante un minore).
Altra norma riferibile alla pedofilia telematica è l¿art. 600-quater cp, che consente di punire la detenzione consapevole del materiale pedopornografico anche all¿interno del computer.
La richiesta consapevolezza della detenzione porterebbe escludere la sussistenza del delitto quando non possa dimostrarsi che il soggetto conoscesse il contenuto del materiale procurato o da lui detenuto. Si sottolinea come attraverso l¿uso degli strumenti tematici si possa entrare nella disponibilità di determinati dati senza conoscerne preventivamente il contenuto.
Questa ipotesi si verifica ad esempio quando viene ¿scaricato¿ nel proprio computer un file ¿zippato¿ senza preventivamente aprirlo per conoscerne il relativo contenuto.
Come per qualsiasi reato realizzato attraverso le tecnologie dell¿informazione, si rileva come spesso sia difficile individuare l¿autore del reato, nonché l¿effettiva sussistenza del delitto contestato. L¿individuazione dell¿autore del reato non è sempre agevole da provare atteso che spesso le indagini consentano di risalire all¿intestatario del nickname, potendo lo stesso essere stato utilizzato da qualsiasi altro utente (ad esempio quando non si conosce l¿indirizzo Ip dell¿utente che si celava dietro il nickname).
Ancora più difficile da dimostrare la sussistenza del delitto quando il materiale trasmesso raffigura soggetti di cui non si conosce l¿identità e che potrebbero anche essere maggiorenni o aver prestato il consenso all¿esibizione pornografica.
L¿intero impianto accusatorio è messo a rischio anche dall¿impossibilità di rintracciare il soggetto ritratto nell¿immagine dato che secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. 5397/2002) ¿spetta all¿accusa provare che si tratta di un minorenne e non già alla difesa dimostrare che si trattava di maggiorenni¿.
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